La presenza massiccia delle compagnie di betting nel calcio rappresenta allo stesso tempo sia ciò che favorisce la sostenibilità dei club come ciò che può potenzialmente mortificare la salute dei loro tifosi e persino quella dei loro calciatori.
Secondo un’indagine condotta dal The Guardian, nei 31 campionati europei considerati più rilevanti, almeno 145 club presentano attualmente una maglia in cui compare uno sponsor di betting. Una pratica che non solo coinvolge i club, ma le stesse leghe organizzatrici: in ben 14 campionati sui 31 studiati, una compagnia di betting rappresenta lo sponsor principale della lega. La Liga Betclic in Portogallo, la William Hill Premiership in Scozia, Admiral Bundesliga in Austria, la Chance Liga in Repubblica Ceca e la Superlega Stoiximan in Grecia rappresentano solo alcuni esempi. Se il campo si restringe ai top 5 campionati europei - Serie A italiana, Premier League inglese, Bundesliga tedesca, Liga spagnola e Ligue 1 francese - ben 27 club sono partner di società di scommesse di provenienza asiatica.
La percentuale più alta di sponsor di betting sulle maglie da gioco appartiene alla Premier League con ben 11 club. Stando a una ricerca di Global data, le compagnie di scommesse avrebbero speso 104 milioni di sterline per comparire nelle maglie del massimo campionato inglese 24/25. Dalla prossima stagione calcistica, in Premier League saranno vietate le divise che presentano sponsor o partner di betting nella parte anteriore della maglia del club.
La presenza massiccia delle aziende di betting non è diffusa solo in Inghilterra: il 70% delle maglie ufficiali in Portogallo, Grecia, Bulgaria e Romania presenta un logo di un’azienda di scommesse. Negli altri top 5 campionati europei la percentuale scende sotto al 50% e rappresenta un introito remunerativo e fondamentale per i bilanci dei club: in Italia rappresentano un terzo dei ricavi ed in Germania 15 club su 18 di Bundesliga intrattengono rapporti di sponsorizzazioni con aziende di scommesse (ma solo una squadra, lo Stoccarda, presenta uno sponsor di betting sul fronte della maglia).
Anche in Italia è una pratica vietata, ma le compagnie hanno individuato la maniera di aggirare la norma: il divieto è stato introdotto dal 1° gennaio 2019 con il cosiddetto decreto Dignità, ma Betsson Sport utilizza il suo sito di notizie sportive per comparire sulla maglia nerazzurra dell’Inter. La medesima situazione si ripete per AdmiralBet news sulla divisa del Parma e BetItalyPay su quella del Lecce. L’Italia è stato il primo paese europeo ad introdurre il divieto, ma tutt’ora vi sono dubbi sulla bontà della scelta: nel marzo 2025, la Commissione cultura del Senato ha approvato una risoluzione che intende modificare il divieto, considerando “la perdita del valore economico della Serie A”. Favorevoli i club, contrarie le organizzazioni pro consumatori che stimano costi altissimi per la spesa pubblica nel conseguente rischio di curare una crescente dipendenza dal gioco.
In Belgio, il divieto è già entrato in vigore ad inizio 2025, ma diversi club percorrono delle scorciatoie legali che eludono la norma: le aziende di betting compaiono sulle maglie utilizzando un marchio secondario che presenta solo una parte del nome della società di scommesse. Un esempio concreto ed evidente è rappresentato dal Club Brugge, la cui maglia non ha più come sponsor Unibet, ma U-Experts, un’app di notizie sul calcio dove compaiono link al sito principale di betting.
La sponsorizzazione del betting sulle divise da calcio è tuttavia solo la punta dell’iceberg. Un’indagine condotta dall’Università di Bristol rileva come nel weekend della prima giornata della Premier League 24/25 sono state trasmesse negli stadi, in tv, in radio e sui canali social quasi 30.000 pubblicità e sponsorizzazioni di compagnie di betting: circa il 165% in più rispetto alla stagione precedente, laddove gli sponsor sulla maglia rappresentano solo il 10%. Una percentuale così bassa già di per sé manifesta una mancata efficacia del provvedimento nel tentativo di allontanare la Premier League dall’ambito scommesse, senza considerare che i club verosimilmente inseriranno i loghi betting sulle maniche e sui pantaloncini, come già pronosticano alcuni studiosi.
Facile comprendere il perchè il gioco d’azzardo sia così particolarmente intrecciato con il mondo del pallone e non con altri sport: stando a H2 Gambling Capital, la popolarità del calcio lo conduce a rappresentare circa il 68% delle scommesse sportive nel mondo (escluso il Nord America dove basket, hockey e baseball sono molto più in voga). Ciò che sorprende è la quantità enorme di pubblicità di così tante diverse aziende di scommesse.
Charles Livingstone, professore universitario e membro degli esperti appartenenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha spiegato come l’industria del gioco d’azzardo debba necessariamente investire ingenti quantità di denaro in una così massiccia pubblicità per favorire l’ingresso di nuovi giocatori: “i clienti migliori sono quelli che finiscono al verde. Le aziende devono costantemente trovare nuovi scommettitori per sostituire quelli che hanno perso tutto”.
Le sponsorizzazioni di compagnie di betting popolano ogni angolo del palcoscenico calcistico: sui led pubblicitari intorno al campo, sulle maniche, sul retro e sul fronte delle divise da gioco. Gli effetti sulla salute mentale dei consumatori sono già ampiamente documentati e confermati. La dipendenza dal gioco d’azzardo concerne persone di ogni status: persino i giocatori stessi diventano protagonisti e vittime della dipendenza da gioco, talvolta in situazioni anche illecite che costringono ad interrompere la loro carriera.
Un problema, quello del betting nel calcio, che coinvolge etica ed economia, talvolta difficilmente conciliabili tra loro.