Una volta, da piccolo, stavo rientrando a casa, di ritorno da una delle ricorrenti scampagnate di famiglia, a bordo dell’auto che mi piaceva di più, una stupenda Ford Capri bianca, che ricordo ancora. Ero con i due zii più giovani, quindi più pazzerelli degli altri ed ero, tutto sommato, abituato alle loro “stranezze”. Per cui non mi sorprese più di tanto il fatto che si fossero fermati, d’improvviso, in aperta campagna, a pochi chilometri dall’abitato. Li vidi scendere dall’auto, armeggiare un poco nel bagagliaio e scendere in un campo di carciofi, che si stendevano a perdita d’occhio dal margine dell’asfalto. In pochi minuti riempirono il bagagliaio di carciofi.
Ovviamente, adesso è una cosa che, per motivi etici, non potrei mai fare, soprattutto per rispetto del duro lavoro di chi i campi li coltiva, spesso fra difficoltà immani e problemi a ottenere un giusto guadagno. Ciò è dovuto alle sconsiderate dinamiche dei mercati, che tendono a premiare le transazioni del prodotto più che la sua produzione.
Ma allora i tempi erano diversi e, già detto, i due un po' pazzerelli. Non erano riusciti a resistere al richiamo dei carciofi. Perché, per i brindisini, il carciofo è un irresistibile elemento identitario, presente da sempre nel DNA gastronomico, talmente importante da aver meritato il riconoscimento, assai ambito, di IGP come Carciofo Brindisino, dal 2011, con un capitolato stringente (che regola perfino il numero massimo di capolini che vanno in una cassetta), volto alla tutela di questo eccezionale prodotto di un territorio che abbraccia la città capoluogo e altri otto comuni limitrofi.
La territorialità è importante sia per quanto riguarda la conformazione dei terreni seminativi, calcarei di origine costiera, ricchi di potassio che conferiscono ai capolini un caratteristico sapore sapido, unito alla tenerezza, dovuta a bassa presenza di fibre, che per le caratteristiche condizioni climatiche, con inverni miti che creano condizioni ideali per lo sviluppo delle piante, che sono già disponibili, precoci, a partire da ottobre e si raccolgono fino a fine maggio.
Assolutamente rilevante è anche il ruolo dei produttori, che si tramandano le tecniche di messa a coltura di padre in figlio, garantendo la sopravvivenza della specie (Cynara cardunculus subsp scolymus), la cui presenza sulle tavole locali è testimoniata fin dal Settecento in diversi ricettari, ma si pensa che fosse già presente fin dall’era dei Messapi, in un lungo connubio con il territorio, che ha portato a diverse ricette identitarie. La produzione ha avuto un forte impulso intorno al 1930, aumentando sempre più le aree vocate e la resa produttiva, partendo da circa 60 ettari per raggiungere i 9000 ettari negli anni Ottanta. Gli ultimi dati attestano che la produzione del carciofo brindisino copre circa il 20% del totale nazionale, costituendo quindi un importante volano economico, nonostante i già citati problemi di bassa redditività per i produttori.
Si tratta di un prodotto che ha saldi legami con la popolazione, tanto da entrare in numerosi detti e proverbi ed è, ovviamente, in cucina che dà il suo meglio, in svariate ricette tradizionali, pur presentando qualche difficoltà nella preparazione. I capolini devono, infatti, essere privati delle brattee (le foglie) più esterne, operazione da eseguire assolutamente con le mani coperte da guanti, per evitare di ritrovarsele tutte nere a causa dei polifenoli presenti nelle foglie, che ossidandosi rilasciano pigmenti. È buona norma passare del limone sui carciofi puliti contro l’annerimento e lasciarli a bagno in acqua e limone fino all’utilizzo. La pulizia va, infine, completata eliminando la peluria interna, la cosiddetta barba, perché fibrosa e amara, sgradevole al palato.
Direttamente dalla tradizione rurale arrivano i carciofini sott’olio, classico modo “povero” per prolungare la disponibilità degli alimenti. Alla fine del ciclo produttivo, arrivano sui mercati i carciofi più piccoli, meno pregiati, che vengono usati proprio per le conserve. Nulla toglie che si possano utilizzare anche i prodotti più pregiati, per godere, nel tempo, non solo del gusto, ma anche dei colori, che vanno dal verde a sfumature violacee.
La ricetta che mi riporta direttamente agli anni spensierati in famiglia è quella dei carciofi ripieni della mamma. Dopo la solita pulizia delle foglie, i carciofi, ben allargati e privati della barba, si condiscono con un ripieno composto da pangrattato, formaggio grattugiato (grana o pecorino), uova, prezzemolo e un pizzico di pepe. Una volta sistemati in pentola, si aggiunge brodo, nel quale si mettono i gambi, fin quasi all’orlo dei carciofi e si cuoce per almeno quaranta minuti. Una vera bontà.
La stessa bontà, in gradazione maggiore, che si trova in un’altra preparazione eccezionale nella sua semplicità: i carciofi fritti. Si tratta solo di friggere in olio bollente i carciofi, dopo averli pastellati in un composto di semola e acqua, per avere un piatto irresistibile. Tanto buono che sembra non bastare mai. Dopo aver gustato il primo, si innesta un meccanismo del tutto simile a quando di mangiano le ciliegie, uno tira l’altro, fino alla fine.
Un utilizzo particolare che faccio dei carciofi è a crudo, tagliati sottili per un carpaccio con del salmone affumicato, condito con olio di oliva, limone, e scaglie di grana. Un piatto gustoso e fresco, ottimo antipasto. Ovviamente, per un maniaco dei risotti, non può mancare una menzione per il risotto ai carciofi, sicuramente uno dei miei preferiti.
Di solito, proprio per le caratteristiche del prodotto, preferisco farlo utilizzando esclusivamente carciofi, così in purezza, senza altri ingredienti, salvo una spolverata di formaggio, ma, grazie alla sua versatilità, il carciofo si presta ad un’infinità di accostamenti, anche con carne e pesce. Non è invece facilissimo trovare il giusto vino da abbinare, a causa del sapore fin troppo particolare del carciofo, che a differenza di altri tipi di carciofo ha uno spunto meno amarognolo. Io ho trovato un buon risultato con i bianchi Fiano e Bombino.
Infine, una curiosità, una piccola nota di “colore”. Se lasciati non raccolti sulle piante, i carciofi producono un bellissimo fiore azzurro, perché in realtà si tratta di un bocciolo, non di un frutto vero e proprio. Così, non è raro vedere che, dal mese di giugno, i campi distesi al sole caldo di Puglia siano punteggiati da macchie azzurrognole che sembrano galleggiare pigramente nell’aria.














