L’Environmental Art Museum si inserisce nella produzione progettuale di Giuseppe Panza, impegnato sin dagli anni ’70 nel proposito di rendere la sua collezione pubblica evitandone la dispersione. Nel corso della sua lunga attività di collezionista, Panza ha ideato una notevole quantità di progetti museali e disegni di allestimento, oltre 80, comprendenti soluzioni per nuovi musei, per mostre temporanee e in occasione di acquisizioni di nuclei della collezione presso istituzioni già esistenti.

Questi progetti, nonostante siano rimasti in gran parte irrealizzati, documentano la visione globale ante litteram della sua pratica collezionistica e curatoriale, così come i suoi tentativi di istituzionalizzare la collezione. Dal Giappone, agli Stati Uniti e all’Europa, a partire dal 1970 la proposta di Panza di acquisizioni e prestiti a lungo termine si diffonde alle istituzioni internazionali, corredandosi dal 1973 con disegni di allestimento ai quali il collezionista si dedica in maniera sistematica dal 1976, quando interrompe l’attività di acquisto per riprenderla nel 1987.

L’attività progettuale di Panza origina dalla ricerca di sedi museali adeguate alle necessità espositive della collezione, in ragione del crescente numero di opere di cospicue dimensioni e in vista dell’esecuzione dei progetti degli artisti. Tra gli anni ’60 e ’70, i coniugi Giuseppe e Giovanna Panza introducono nel collezionismo d’arte la pratica di acquistare progetti non ancora realizzati, ideati dagli esponenti di Minimal Art, Conceptual Art e del Light and Space californiano. Si tratta di un passaggio storico negli sviluppi artistici contemporanei in quanto è delegata al collezionista la possibilità o meno di far esistere l’opera d’arte, come testimonia il progetto esposto in mostra che include opere della collezione non ancora eseguite.

Nell’Environmental Art Museum emerge la ricerca di un rapporto di reciprocità tra opera e spazio quale elemento centrale del paradigma espositivo di Panza, elaborato in prima istanza nella dimensione privata della Villa di Biumo, luogo di sperimentazione dei criteri espositivi in seguito attuati nello spazio museale. Considerati nel loro complesso, i progetti fanno emergere il modus operandi del collezionista il quale procede all’esecuzione di disegni d’installazione a mano su carta a quadretti e riportando l’allestimento sulla pianta architettonica. I disegni chiariscono i criteri di distribuzione delle opere nello spazio, ma anche la sequenza e l’interrelazione tra un ambiente ed il successivo. Nell’essenzialità del tratto grafico evidenziano la capacità di visualizzare lo spazio espositivo, configurandolo in maniera immediata, e un occhio sensibile alle proporzioni. Qualità che, insieme alla notevole perizia nell’illuminazione delle opere d’arte, hanno valso al collezionista il dottorato honoris causa in architettura conferito nel 2005 dall’Università della Svizzera Italiana.

Dall’Idea di Museo al Museo Ideale
La vocazione museale della collezione Panza si manifesta a partire dagli anni Settanta con la necessità di trovare nuovi spazi per un numero sempre crescente di opere e il desiderio del collezionista di condividere la propria ricerca con il pubblico. Il museo è per Giuseppe Panza l’ambiente più idoneo dove esporre l’opera d’arte: non inteso come spazio da riempire, ma luogo di relazione tra il visitatore e l’opera, come scrive lui stesso nel 1974 sulla rivista “Data” Il primo tentativo di esporre la collezione Panza risale al 1973 al Museo di Mönchengladbach in Germania. Passano nove anni perché la collezione sia mostrata una seconda volta: questa volta al MOCA di Los Angeles. I documenti dell’Archivio del Getty Center di Los Angeles raccontano una precisa visione, ma anche le difficoltà nel fare accettare le sue opere alle istituzioni. Non trovano seguito i numerosi progetti ideati da Panza per la Villa Medicea di Poggio a Caiano, Kunstmuseum di Basilea (1976), Milano (tra il 1976 e il 1982), Varese, Venaria Reale, Torino (1978), Castello di Rivoli, Villa Doria Pamphili di Roma (1980), Castello di Vigevano, Parma e Arsenale di Venezia (1982).

L’idea di Giuseppe Panza per il Museo si articola in modo sempre dettagliato e preciso, come dimostrano i tre progetti da lui pensati per un – mai realizzato museo d’arte contemporanea a Milano. La prima e avanguardistica proposta per il capoluogo lombardo risale al 1976: l’idea è quella di trasformare Villa Scheibler a Quarto Oggiaro in un Museo Sperimentale Polivalente di Arti Visive, con un intero piano dedicato alle attività per far dialogare il museo con la collettività. Panza prevede spazi per la “libera espressione della creatività e dell’ immaginazione dei bambini”, per la biblioteca, la videoteca, per mostre e conferenze. Gli ambienti dedicati ai laboratori per giovani artisti sottolineano la consapevolezza della necessità di dare un sostegno alla sperimentazione di un’arte difficile per dimensioni, costi e committenze.

Il secondo progetto si inserisce nel piano di valorizzazione delle Cascine del Comune di Milano del 1977. Panza immagina un Centro per l’Arte Contemporanea all’interno di Cascina Taverna nel Parco Forlanini. Panza voleva installare tra gli altri lavori, uno Structural Cut di James Turrell. La proposta è di nuovo accompagnata dalla volontà di fornire alla collettività un background per comprendere le opere proposte attraverso corsi e mostre di fotografia, design, grafica e architettura. Il terzo progetto riguarda infine la proposta per un Museo d’Arte Contemporanea a Palazzo Reale. Significativa la scelta degli artisti selezionati dal collezionista (FIG: B C). Nel 1976 Giuseppe Panza formula principi e criteri espositivi all’avanguardia anche con le più innovative proposte internazionali che in Italia dovettero aspettare anni prima di trovare realizzazione: l’idea di museo come istituzione pubblica con la missione di coinvolgere il territorio, promuovere i giovani e la sperimentazione, colmare la distanza tra le persone e le opere.

Villa Scheibler
Nel 1976 Giuseppe Panza iniziò il progetto di un Museo Sperimentale Polivalente di Arti Visive nella Villa Scheibler di Quarto Oggiaro (Milano). La ricerca del collezionista di una sede adatta ad ospitare una parte della sua collezione di Arte ambientale, immaginata come laboratorio artistico in dialogo con il territorio, si incrociava, nel 1977, con il programma di recupero di Ville e Cascine promosso dal Comune di Milano e con la volontà di creare una rete di musei civici del contemporaneo intorno a Palazzo Reale. L’ispirazione pubblica del progetto era evidente già nella scelta delle opere: l’Arte minimal, la Land Art, l’Arte concettuale e l’Arte ambientale erano caratterizzate secondo Panza da una concezione dell’arte come un bene di uso collettivo. Il progetto di allestimento della collezione permanente era curato con rigorosa attenzione ai dettagli dallo stesso collezionista sia nelle stanze interne che all’esterno nel parco. La progettazione di un Museo Polivalente arrivò nel 1982 a un punto d’arresto: le difficoltà incontrate nel realizzare un museo di Arte ambientale in una zona periferica come Quarto Oggiaro o, nel 1986, un ricambio ai vertici dell’amministrazione comunale con l’insediamento del nuovo sindaco Paolo Pillitteri furono probabilmente motivi decisivi. Oggi Villa Scheibler è sede della Casa delle Associazioni della Zona 8 di Milano.

Palazzo Reale
Nel 1978 si delineava a Milano un nuovo progetto che coinvolgeva Giuseppe Panza come protagonista nella costituzione di un Museo del Contemporaneo per Milano: il sindaco Carlo Tognoli e il direttore delle Civiche Raccolte Mercedes Garberi si rivolsero al collezionista per avere prestiti di lunga scadenza della durata di dieci o quindici anni, di artisti italiani e americani. Giuseppe Panza aderì con entusiasmo contattando galleristi e fondazioni, progettando la collocazione delle opere nelle sale di Palazzo Reale e proponendo il prestito della propria raccolta di arte africana. Dopo un’indagine preliminare, svolta attraverso lettere e colloqui a New York, scriveva al Sindaco che la Fondazione Rothko si rendeva disponibile ad esaminare dei prestiti per formare una sala Rothko e che una “fondazione americana” (la Dia Art Foundation) era interessata ad un deposito permanente di opere di artisti come Flavin, De Maria, Turrell, Judd. Nell’Archivio del Getty Center di Los Angeles sono conservate le lettere scritte dal collezionista a Renato Guttuso, Clyfford Still, Joseph Beuys, Jean Dubuffet e al gallerista Claude Bernard per ottenere i prestiti a lunga durata, ma le risposte degli artisti e dei mercanti d’arte manifestarono fin da subito riserve sul prestito di opere senza la prospettiva di costituire un fondo per gli acquisti nel nuovo museo .

Nonostante i numerosi rifiuti, Giuseppe Panza divise in “disponibili sicuramente”, “probabilmente” e “desiderabili”, i nomi degli artisti che immaginava di coinvolgere per la realizzazione di un Museo di Arte Contemporanea a Palazzo Reale e ideò una collocazione delle opere in modo da non esporre mai opere di diversi autori nella stessa stanza. Come risulta dalle piante, il secondo piano sarebbe stato dedicato all’Arte concettuale e minimal e alla raccolta di arte africana, il primo piano invece all’Arte ambientale. La scarsa presenza di artisti italiani, oltre all’effettiva difficoltà di avere in prestito le opere per l’impossibilità di costituire un fondo per gli acquisti, sono probabilmente i fattori che influirono sulla mancata realizzazione del progetto.

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