La fotografia, riconosciuta come forma d'arte, negli ultimi anni ha subito un violento processo commerciale. Immagini che raccontavano momenti speciali, che hanno contribuito a raccontare e a testimoniare la storia di eventi drammatici, o spettacolari, sono state "mortificate" da immagini artefatte, create ad uso e consumo solo per monetizzare. Purtroppo, il concetto di fotografia come arte, si è un po’ sbiadito ultimamente e questo perché molti pensano che sia facile improvvisarsi fotografi.

Sempre più persone, prese dall'entusiasmo di essersi visti regalare una fotocamera di ultima generazione, credono di poter dare il via al loro business. Ecco, quindi, che spuntano dal nulla fotografi pronti a scattare qualunque cosa, a svendere i loro servizi pur di apparire e di mostrare i loro scatti. Ma funziona davvero così?

No, non ci si può improvvisare fotografo. Per essere un bravo professionista ci si deve preparare. Bisogna cominciare dallo studio della fotografia: quando e come è nata, come si è evoluta, chi ha fatto la storia della fotografia, quali sono le immagini celebri, da prendere come riferimento, per comprendere cosa sia una foto. Poi, ovviamente, si passa alla parte pratica. Si studia il corpo macchina, le funzioni, si studiano le lenti, i parametri, la creazione di una composizione. Poi, si passa allo studio dello storytelling, come crearlo e come svilupparlo. Infine, si comincia a praticare (la classica gavetta). Durante questo periodo ci saranno alti e bassi, fatti di errori e di soddisfazione, di confronto e di crescita professionale.

La storia della fotografia è ricca di vere perle proprio come lo sono la pittura, la scultura, l'architettura. La fotografia è arte perché è comunicazione, è bellezza. Si basa sull'empatia e sull'emotività. Per questo va trattata con dovuto rispetto e va affrontata con impegno. Ci sono immagini che hanno colpito per la loro intensità drammatica, come lo scatto di Nick Ut, fotografo di Associated Press, che bloccò in un istante eterno l'urlo della bambina vietnamita (durante la guerra in Vietnam) colpita, durante un errato attacco dei cacciabombardieri, da una bomba al napalm. Era l'8 giugno del 1972, una foto era diventata testimone dell'orrore della guerra, capace di inculcare, negli animi di chi allora la stava combattendo questa guerra, un sentimento di riflessione. Una foto controversa perché sì stava denunciando l'abominio di un'inutile violenza ma anche perché raffigurava il corpo nudo, di una bambina, devastata dalle fiamme. Lo scatto superò qualunque barriera e non solo venne pubblicata ma fece anche il giro del mondo.

Ma la brutalità della guerra, negli anni, è stata raccontata anche attraverso immagini meno violente ma comunque suggestive. 1984, Steve McCurry, in un campo profughi in Pakistan, ritrasse il volto di una bambina afghana, diventata il simbolo della dignità di un popolo durante i conflitti degli anni ‘80. Nessun corpo nudo, nessun volto di disperazione nell'atto di gridare. Solo il volto, in primo piano, in una prospettiva a tre quarti, di una bimba. Lei, col capo parzialmente coperto dal velo, in un chiaro tratto distintivo delle origini di appartenenza. Lei con i suoi grandi occhi verdi e uno sguardo che comunica stanchezza, animato da una fiammella di paura e di incertezza, mista all'incredulità verso una realtà che non dovrebbe appartenere alla propria infanzia.

Ma ci sono foto che ci hanno anche raccontato della bellezza della vita e dell'amore. Come non ricordare lo scatto, Parigi 1950, di Robert Doisneau, che ritrae una coppia di giovani innamorati che si baciano, mentre tutto intorno a loro è in fervente movimento. In questo caso non parliamo di un'immagine spontanea ma di una scena costruita a tavolino, dallo stesso fotografo, con la collaborazione di due giovani attori. Eppure, quel momento è stato, e lo è tutt'ora, così iconico. Simbolo di una Parigi libera, dove due giovani, erano liberi di baciarsi per strada. Quella foto venne esposta insieme ad altre foto ma non ottenne il successo che conosciamo fino a quando non venne chiesto, al fotografo, il permesso di farne un poster.

Ecco che, lo scatto artistico, conosce la sua fama attraverso la commercializzazione. Perde la sua unicità per finire appeso alle pareti di qualunque ambiente, lasciando il suo originale significato e diventando un oggetto decorativo di produzione industriale. Ma, intanto, è diventato famoso. Certo non attraverso le pagine del National Geaographic ma attraverso i poster, ma comunque conosciuto.

E poi ci sono gli scatti che hanno documentato altri momenti importanti, documentando la storia e raccontando emozioni: lo sbarco sulla luna, Martin Lutehr King che saluta la folla, dopo il celebre discorso "I Have a dream", gli undici operai seduti su di una trave, sospesi a più di 800 metri, in una pausa dalla costruzione del Rockfeller Center, New York 1945 (il bacio tra l'ammiraglio e l'infermiera) alla fine del secondo conflitto mondiale. La fotografia, quando emoziona, quando racconta, quando celebra è arte. Non deve per forza essere famoso ma sì deve essere unico, immortale e irripetibile. Deve cristallizzare un attimo che non tornerà più, che è destinato a rimanere, come ricordo nella mente e come emozione nel cuore.