Ni una mujer menos, ni una muerta más.
[Né una donna in meno, né una morta in più].

(Susana Chavez, poetessa messicana)

Care amiche, sono nata il 5 novembre 1974 nello stato in cui anche il dolore e la sofferenza sono colorati: il Messico, che, non è solo quello dei sombrero, margarita, tequila, nachos e peperoncino, calaveras e il carnevale che voi tutti conoscete. È anche Ciudad Juarez, nello stato di Chihuahua, sulla riva del Rio Bravo, che segna il confine con gli Stati Uniti, una delle città più pericolose al mondo che detiene il primato di omicidi di donne.

Ed è qui che io sono nata e morta.

Nel mondo siamo tante, troppe. Tutte diverse, per età, religione, nazionalità. Donne con la terra sotto le unghie, con le schegge conficcate nella pelle, puzziamo di carne bruciata, abbiamo il viso trasfigurato dall’acido, alcune di noi sono fantasmi in terra, donne scomparse e mai più ritrovate. Siamo state uccise, assassinate, stuprate, mutilate, accoltellate.

E quelle scarpe, indossate per uscire, lavorare, giocare, ballare, camminare, adesso sono vuote, rosse come il sangue, contenitori di corpi assenti, oggetti inanimati, divenuti il simbolo della sensibilizzazione per debellare il femminicidio, grazie ad Elina Chauvet, anche lei messicana. Subì in famiglia un lutto violento: la sorella morì per mano del marito.

Nel 2009 progettò l’installazione di scarpe rosse davanti ai luoghi del potere con l’obiettivo di sensibilizzare le coscienze per debellare il femminicidio, mentre il 27 luglio 2012 le pose davanti al consolato di El Paso, in Texas, per ricordare le donne uccise a Ciudad Juarez. Le scarpe, le zapatos rojos, sono sistemate in ordine lungo un percorso. Una marcia di donne, assenti, che camminano, addolorate, verso una società migliore.

Le nostre voci, le nostre morti, attraversano i media, si propagano come un boomerang in ogni parte del mondo per poi finire schiantate su muri pieni di nomi che scalpitano insieme ad ogni nuova donna che vi si aggiunge.

Molte di noi rimangono anonime, senza un nome o una sepoltura. Non hanno memoria o ricordi che le riguardino, se non quelli della morte e di una vita vissuta all’insegna della povertà, dello sfruttamento e della violenza.

Mi chiamo Susana Chavez e sono stata trovata morta, seminuda, con una mano mozzata e la testa avvolta in un sacco nero il 6 gennaio 2011. Le autorità messicane hanno tentato in ogni modo di scollegare il movente del mio assassinio, alla mia militanza contro la violenza di genere, alludendo al fatto che me la sono andata a cercare, la morte, per il mio comportamento.

Far sentire in colpa la vittima è la via più breve per chiudere le bocche a ogni indagine che possa coinvolgere lo Stato, la società e la mascolinità primitiva che uccide, offende e devasta l’universo femminile.

Sono stati arrestati, per il mio omicidio i presunti assassini, tre ragazzi diciassettenni, con cui io, a detta degli inquirenti avrei intrattenuto una notte brava di alcool, droga e sesso, finita con la mia uccisione. Una teoria che non regge, che è stata creata per adattarla all’evento. Inoltre tutti sapevano che io ero omosessuale.

Potete leggere le mie poesie, che stavo per pubblicare, nel mio blog Primera Tormenta, rimasto a testimoniare la mia vita letteraria e da attivista. Nell'ultimo post, nel luglio 2010, ho raccontato di provare «vuoto, impotenza e impotenza» di fronte alla crescente violenza nella mia nativa Juarez.

Io so che anche voi, nel subire violenza vi sentite vuote e impotenti. So che vi sentite in colpa e sole. Alzate la testa, una mano aspetta la vostra. Per sorreggervi, denunciare chiunque vi tratti male, fisicamente e moralmente, annientando la vostra persona e dignità.

Parlatene e la violenza finirà.

Una persona amica, una persona sconosciuta, le forze dell’ordine in cui dovete sempre aver fiducia, oppure chiamate il 1522.

Con affetto Susana.

N.d.A. “Faccio parlare i morti perché la vita possa esplodere nelle coscienze, dormienti, silenti, malate, oppresse”.

Il territorio della microfisica del potere è il corpo, e uno dei meccanismi di appropriazione e di disciplinamento del corpo di tutte le donne, è la violenza.

(Marcela Lagarde, 2001)