Il 25 novembre è la data di sangue che ricorda le vittime femminili della violenza. L'uccisione di Giulia sembra dare corpo ancora un'ennesima volta a questo massacro. Sembra inspiegabile che al giorno d'oggi si perpetri una violenza intrafamiliare senza che non si riesca a trovare il modo per stoppare questo crimine. Ne parlo con Cristina Mazza, prima sassofonista donna nel panorama musicale internazionale, dove il sax obbligatoriamente suona al maschile ed è anche attivista e promotrice della LAV per la protezione e cura degli animali.

Tu che ti occupi di armonia e di cura, cosa puoi dire di questa ripetizione di violenze che lacerano la società?

Per cominciare ti rispondo con un dato: dal rapporto “Il sistema della protezione per le donne vittime di violenza” dell’Istat, nel 2021 oltre 21mila donne hanno intrapreso percorsi di aiuto. In Italia sono attivi 373 Centri antiviolenza e 431 case rifugio, questo ci dice quanto il problema è vivo, ci tocca da vicino e non possiamo girare la testa dall’altra parte e far finta che non ci riguardi, non è questione di altri da noi.

I soprusi, i maltrattamenti, gli omicidi avvengono soprattutto in ambito familiare o amicale. Questo ci interroga tanto sulle dinamiche affettive all’interno della famiglia, anche nella famiglia allargata, o nei rapporti di coppia, ci interroga anche sul perché di queste relazioni così malate, così sofferenti e così attorcigliate da non poter pensare ad una separazione. Cosa succede?

Sì, infatti più del 90% degli omicidi sono consumati in ambito familiare e commessi da partner o ex-partner che vedono insomma le donne come vittime designate. Sembra non esserci scampo.

Tra l’altro l’uso della parola femminicidio dà fastidio, sembra essere vissuta come un voler forzatamente sottolineare un tipo di uccisione, ad alcuni suona anche dissonante, esteticamente brutta, sonoramente stonata.

Mi viene spontaneo risponderti con le parole di Michela Murgia che mi pare ne dia una versione davvero illuminata, una interpretazione acuta e che mi è piaciuta molto. “A cosa serve chiamarlo femminicidio? La parola omicidio comprende già i morti di tutti i sessi! No. La parola "femminicidio" non indica il sesso della morta. Indica il motivo per cui è stata uccisa. Una donna uccisa durante una rapina non è un femminicidio. Sono femminicidi le donne uccise perché si rifiutavano di comportarsi secondo le aspettative che gli uomini hanno delle donne. Dire omicidio ci dice solo che qualcuno è morto. Dire femminicidio ci dice anche il perché."

Veramente profondo ed illuminante il suo significare questo termine così rifiutato, ma forse perché mai così connotato in maniera toccante e convincente. Quanto conta, secondo te, una società fondata sul patriarcato?

Riflettendo sulla teoria da lei popolarizzata riguardo al patriarcato, mi sono resa conto che non è semplicemente un sistema in cui tutti gli uomini dominano tutte le donne. Piuttosto, è una complessa struttura in cui alcuni uomini (i patriarchi), insieme a alcune donne (le ancelle del patriarcato), esercitano dominio su altri uomini e donne. Ho trovato questo spostamento di prospettiva rivoluzionario: per abbattere il patriarcato, donne e uomini devono unirsi per lottare insieme.

Sai, confrontandomi con la dottoressa Elena Paganini del Centro Antiviolenza di Busto Arsizio, dove si dà accoglienza, ascolto e consulenza psicologica e legale alle vittime di violenza domestica, si evince che si incontrano quotidianamente situazioni di degrado psicofisico in donne, soprattutto sulla quarantina e di estrazione sociale e culturale buona, da parte di compagni o mariti che non presentano patologie rilevanti, sono coppie “normali”, mentre è patologica la natura del loro legame. Molte situazioni infestate dalla violenza, si accompagnano a storie di infanzie mal-trattate, di traumi cumulativi, apparentemente insignificanti, di dissintonie relazionali, ma che hanno sortito un assassinio dell’anima che si ripercuote nella vita adulta con un irrinunciabile bisogno di riparazione, con una richiestività di dedizione assoluta pena un cieco e prepotente bisogno di vendicare la mancata responsività, vissuta come alto tradimento.

Rimane razionalmente inspiegabile cosa succede tra quella coppia e cosa lega indissolubilmente, nonostante tutto, entrambi i partners di questa tragedia. Come te lo spiegheresti?

Ho pensato di scrivere questo breve racconto, come unico modo per dare senso all’insensato. Compare anche un gatto. La violenza che si consuma dentro le mura domestiche coinvolge infatti anche bambini e animali. Ecco la mia storia.

Mi chiamo Clara, ho 22 anni e sono al settimo cielo perché presto conseguirò la laurea. E poi finalmente io e il mio amore andremo a vivere insieme. Ci amiamo tanto e lui è il ragazzo perfetto. Dice che non potrebbe vivere senza di me, che il destino ci ha unito per sempre. Mi chiamo Clara....Ho coronato il mio sogno d'amore, mi dispiace solo che i miei genitori abbiano delle perplessità, ma sono sicura che con il tempo tutto sarà superato. Non potranno non riconoscere le sue qualità...anche se, a dire il vero, lui non ha ancora dato tutti gli esami universitari. Ecco, ci siamo sposati e io sono la sposa più bella e felice.

C'è una cosa che mi angustia: lui dice di essere allergico ai gatti e proprio non sopporta il mio amato Gigio, il micio che ho salvato dalla strada tanti anni fa. Non posso lasciarlo ai miei genitori perché con loro ho rotto ogni rapporto . Mi ha convinto a portarlo in un gattile. Mi si spezza il cuore, ma in fondo ha ragione lui, perché presto sarò in dolce attesa e si dice che i gatti portino malattie. Prometto che andrò a trovarlo e a vedere come sta.

Ma no, meglio un taglio netto...ha ragione lui. Non andrò al gattile. A dire il vero esco sempre meno. Le mie amiche me lo fanno notare, ma forse loro non hanno mai vissuto un amore così totale e magari sono anche un po' invidiose. Questa sera lui mi ha sgridato perché la pasta era scotta. È vero, non sono una brava cuoca, lo dice anche mia suocera. Niente...Non c'è verso che riesca a cucinare un piatto di pasta decente. Questa sera lui è proprio uscito dai gangheri e ha scagliato il piatto contro al muro. Il sugo colava come sangue sulla bianca parete del nostro nido d'amore. Sono Clara e giaccio sul freddo tavolo dell'obitorio. Mi ha massacrato di coltellate. Sono morta in un giorno di novembre, uno di quei giorni in cui il sole tramonta sempre un po’ più presto. Il mio ultimo pensiero è stato per Gigio, il gatto che mi amava. Almeno lui si è salvato.”

Racconto da brividi, poche parole, concise, potenti, toccano più di qualsiasi trattato psicologico sul tema. Sembra non ci sia via di scampo, l’ineluttabilità la fa da padrone. Oggi però 25 novembre le piazze erano gremite come non mai per manifestare tutto l’orrore che il femminicidio comporta. Non ci può essere allora speranza?

Confido nelle nuove generazioni. Le manifestazioni imponenti che si sono svolte in molte città e che hanno visto la partecipazione anche di uomini mi fanno ben sperare.

Proviamo allora a sognare un epilogo diverso, una trasformazione nella tua storia?

Scrivere il finale, ecco quello che bisogna fare e possiamo farlo solo noi. Questo finale è stato influenzato e condiviso con un’amica: "Stasera mi ha detto un’altra volta che la pasta era scotta e prima che scagliasse di nuovo il piatto sul muro l’ho fatto io sulla sua testa, in effetti è rimasto spiazzato, ho preso solo la borsa e sono uscita, ho chiesto aiuto al centro antiviolenza e ora sto bene, ho ripreso il mio Gigio e sono tornata dai miei in attesa di trovare una sistemazione autonoma, ho avviato le pratiche per il divorzio, ho preso il porto d'armi e una pistola, piccola da borsetta, non si sa mai.”

Mamma mia Cristina, questo finale arriva senza tanti giri di parole, veloce, sorprendente e inaspettatamente “armato”. Arriva come uno sparo. Sembra condensare in un punto di estrema densità una storia di dolori e soprusi che, per il momento non possono ancora essere metabolizzati. È un’immagine potente. Lascia senza fiato. Un finale da Giustiziere della notte… Ma lasciamo aperto anche ad un’altra storia, diamo possibilità alla speranza perché ci siano soluzioni diverse, perché no? Tu hai anche detto: “Confido nelle nuove generazioni…”