Che cosa c’era nel luogo che oggi ospita il complesso monumentale famosissimo e visitatissimo di Machu Picchu in Perù? La domanda può sembrare peregrina in termini di semplice conoscenza del luogo e delle vestigia da parte di un turista, ma per la scienza il discorso cambia. Lo studio stratigrafico dei suoli, la conoscenza degli strati e delle sovrapposizioni nel corso dei secoli costituisce un approccio di rilevante importanza perché consente di comprendere appieno le origini e le evoluzioni dei luoghi nonché di capire in che modo nel lento scorrere del tempo e con l’opera costante dell’uomo, ha preso forma un luogo inimitabile della nostra Terra pieno tuttora di misteri, di zone d’ombra sul suo stesso significato ma la cui sola esistenza ci permette e in certo senso ci spinge ad approfondire il valore di un luogo in cui è passata la storia di popoli e la Storia di quelle latitudini in senso ampio con il mutare dei tempi, delle civiltà che si sono succedute o che hanno preso il posto di altre. Una storia secolare che non può che affascinare e riempirci ancora di stupore e di anelito di conoscenza.

A parlarci e raccontare questa antica evoluzione quasi a significare la sete di conoscenza e la ricerca da parte dell’uomo, un progetto internazionale - cui hanno partecipato anche due istituti del nostro Consiglio Nazionale delle ricerche: l’Ispc, Istituto di scienze del patrimonio culturale e l’Imaa, e Istituto di metodologie per l'analisi ambientale - dal nome quanto mai significativo: Missione Itaca.

Il lavoro degli scienziati e delle diverse metodologie intervenute ha permesso di comprendere a fondo la “storia” geologica del luogo. Inizialmente si trattava del letto di un torrente incastonato tra le rocce a strapiombo, poi venne trasformato in cava, poi in piazza, fino a diventare il capolavoro dell’architettura Inca che tutto il mondo conosce. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports. Machu Picchu è il monumento simbolo della civiltà Inca, indicata come una delle sette meraviglie del mondo moderno, è sempre fonte di attrazione non solo per la sua bellezza misteriosa e disarmante come è stato detto e la sua fragilità, ma anche per le continue scoperte che la ricerca archeologica è in grado di restituire.

Quello che è risultato è una visione a tratti sorprendente del luogo anche grazie all’integrazione tra saggi di scavo e la combinazione di tecnologie di osservazione della Terra. Ed è emersa dall’oscurità della storia l’immagine di Machu Picchu prima che l’uomo vi iniziasse a costruire le monumentali architetture. Parlando della missione il ricercatore italiano Nicola Masini dell’Ispc, coordinatore di Itaca, ha osservato che «la storia costruttiva di un sito è parzialmente conservata nel sottosuolo e solitamente viene rivelata attraverso indagini archeologiche classiche, come gli scavi. Nel caso di Machu Picchu, non essendo più possibile effettuare operazioni di rilievo in campo, diventa importante integrare le informazioni acquisite nel passato con i metodi di indagine messi a disposizione dalle nuove tecnologie».

Lo studio mostra e racconta a noi posteri le fasi preparatorie di costruzione del sito monumentale, quando Machu Picchu era un cantiere brulicante di maestranze ed operai impegnati a cavare e trasportare le pietre, a realizzare opere di drenaggio e di stabilizzazione dei versanti montuosi.

«L’integrazione di diverse tecniche di indagine geofisica (georadar, geomagnetica e geoelettrica), di imaging multispettrale da satellite e da drone, con alcuni saggi di scavo disponibili, ha rivelato, nel sottosuolo della Plaza Principal, una storia costruttiva tanto sorprendente quanto sconosciuta», le parole di Rosa Lasaponara, ricercatrice Cnr-Imaa che, in collaborazione con Masini e Jose Bastante, già direttore del Parco archeologico di Machu Picchu, ha condotto la ricerca.

Secondo il suo resoconto lo studio condotto in loco ha evidenziato una grande capacità degli Inca «di sfruttare al meglio le caratteristiche geomorfologiche e la disponibilità di materiale lapideo tra gli affioramenti in superficie del caos granitico».

«L’esame dei dati disponibili e la ricostruzione di essi hanno rivelato la presenza, al di sotto dell’attuale piazza, di un bacino idrografico poi trasformatosi in cava. Successivamente, nella prospettiva di riempirla per realizzare la piazza, vi si interviene con opere di drenaggio. La piazza a sua volta viene costruita in due fasi: la prima relativa a una plaza hundida, ovvero una piazza incassata adibita ad attività rituali, la seconda è l’attuale Plaza Principal, posta tra i due settori architettonici dell’Hurin e dell’Hanan, visitata da migliaia di turisti ogni giorno» osserva Masini.

L’approccio utilizzato ha fatto emergere una storia, conservata nel sottosuolo di Machu Picchu, relativa alle fasi costruttive preparatorie che raramente viene allo scoperto se non attraverso estensive e distruttive campagne di scavo o, in alternativa, come dimostrato dai ricercatori italiani, massimizzando in termini areali il contenuto informativo di saggi e sondaggi, combinando e integrando diverse metodiche e tecnologie di indagine non invasiva basate sulla geofisica e il remote sensing.

Itaca, dunque, ha mostrato le grandi opportunità di studio e di approfondimento con un approccio assolutamente nuovo e diverso dal passato, soprattutto in termini di rispetto dei luoghi e di non invasività, consentendo la conoscenza del passato remoto del luogo senza provocare ulteriori danni e complessità in un area delicata che già deve sopportare la presenza durante l’anno di una moltitudine di turisti che vanno condotti e guidati onde preservare i beni momumentali e il loro significato. Un metodo nuovo che ha tuttavia permesso di “vedere” nel sottosuolo e di riuscre a disegnare quello che è emerso restituendo al mondo una lettura diversa e affascinante di un luogo unico al mondo, tra i tanti luoghi unici al mondo che studi e ricerche e azioni di difesa ci permettono ancora di ammirare e conoscere. La nostra memoria di umanità che va preservata e svelata contro ogni forma di ideologica necessità di ricostruire la storia o di narrarla secondo canoni per taluni “corretti” ma certamente non veri e genuini.

Quel che è stato è stato si diceva e si dice, va analizzato, approfondito, raccontato per quello che è. Poi è consentito ragionare e inserirlo nel quadro ampio della conoscenza mondiale. Altrimenti raccontare come piace o si vorrebbe falsa la storia e impedisce ad essa di essere se non magistra vitae quanto meno una luce nella penombra e nel buio di secoli e millenni che ci hanno preceduto. Una responsabilità anche per i nostri posteri cui dobbiamo il racconto vero e saggio del passato remoto e allo stesso tempo del nostro presente che per loro sarà il passato!