A Mantova, all’interno dell’appartamento ducale situato in un’ala della Domus Nova, si può ammirare un originalissimo soffitto a cassettoni lignei che riproduce un labirinto dorato su fondo azzurro: proviene, con altre decorazioni, dal Palazzo di San Sebastiano, edificato per il volere di Francesco II Gonzaga al principio del XVI secolo. Nei corridoi del labirinto, spicca la famosa scritta “Forse che sì forse che no”, motto estrapolato dal testo di una frottola amorosa di Marchetto Cara (1504) e divenuto ancor più celebre grazie all’omonimo romanzo dannunziano.

Un labirinto è una sorta di proiezione nel concreto del concetto stesso di ermeneutica, una ricerca di un senso e di un significato che parte da un’idea che poi si risolve in un inganno di muri e di angoli. La ricerca, e forse anche il “ricercare” musicale, altro non sono che un perdersi simbolicamente per raggiungere un centro, un punto di convergenza in cui si spera di trovare la manifestazione dei nostri voleri e delle nostre idee nel sensibile.

Concetto pagano, quello del dedalo per antonomasia, ma anche cristiano, tanto da avere ancora una testimonianza sul pavimento della navata centrale della cattedrale di Notre-Dame a Chartres e un’incisione su una lastra di pietra nel Duomo di San Martino a Lucca. Con una differenza però: il dedalo greco era spesso inestricabile, quello cristiano invece è unicursale: lungo da percorrere, come un intestino enorme ma per nulla labirintico. È probabile che in tempi remoti esistessero vere e proprie danze da effettuarsi sui labirinti raffigurati sui pavimenti degli edifici sacri o, come ad Auxerre, giochi rituali da effettuarsi con la palla. Sta di fatto che dall’antichità più remota al film Labyrinth di Jim Henson (passando obbligatoriamente per Shining di Kubrick) il concetto affascina le menti creative nei modi più disparati.

Torniamo ora al labirinto dei Gonzaga: è un cammino tortuoso ma anch’esso unicursale; facile da risolvere perché lo vediamo a volo d’uccello ma inquietante come qualunque altro se lo si dovesse percorrere nella realtà. Essendo rinascimentale calza per lui l’aggettivo ermetico, intendendolo naturalmente non solo nella sua sfaccettatura meccanica di contenitore impenetrabile, ma soprattutto filosofica; il rimando all’Arte, quella alchemica, lo si trova nelle opere d’arte talvolta anche quando non è stato del tutto voluto: è un messaggio, quasi un archetipo, che ci fa visualizzare il cammino ascoso frutto dell’arte di Dedalo e del valore di Teseo (“Dedalee industrie et Teseie virtutis”), scritta che campeggia al centro del soffitto.

Ricercare: poiché il rimando alla musica è evidente sia nella parola sia nel motto utilizzato nella frottola mi sono chiesto come potesse ‘suonare’ un labirinto e ho proseguito il gioco di rimandi convertendo l’immagine in musica, un ludus enigmatico che strizzasse l’occhio all’Atalanta fugiens (1618) di Michael Maier e al Mercury: or the secret and swift messenger (1641) di John Wilkins in cui l’autore delineò diversi metodi di comunicazione basati su linguaggi cifrati o su sistemi combinatori tra cui un alfabeto musicale.

E proprio sfruttando l’idea di Wilkins, il procedimento di composizione melodica è stato di tipo associativo: ho fatto corrispondere, proseguendo del resto una tradizione ben consolidata in ambito organistico, a ogni lettera del motto una nota secondo lo schema A=do, B=do#, C=re, etc., ricavandone così una linea melodica che può fare da voce superiore in un corale e quella di pedale in una passacaglia.

image host

Entrambi i brani sono nati solo aggiungendo voci superiori o inferiori, e dunque complessità armonica a una sequenza assai spigolosa (la casualità non ha giovato all’estetica). Il vero gioco però è stato trasformare il labirinto in spartito labirintico: ho ipotizzato di far coincidere con ogni svolta ad angolo retto del percorso un cambiamento di lettera del motto (e dunque di nota), così da creare un lungo serpente melodico che dall’ingresso giunge fino alla stanza centrale, lasciando sospesa la frase sulla nota sol (H).

image host

A questo punto l’ultima parte del meccanismo è consistita nel ricreare la struttura labirintica originale sul pentagramma: osservando l’immagine del soffitto riprodotto su un piano orizzontale si potrà notare come dall’alto verso il basso si vengano a formare 12 linee di camminamento più la camera di arrivo centrale (che ho convertito nei 13 pentagrammi) e 13 linee di camminamento verticali da sinistra verso destra (trasformati in battute da 13 quarti in corrispondenza dei 13 spazi). Leggendo questo spartito si otterrà come risultato ovvio una frammentazione casuale del motto ma altresì un effetto di grande simmetria ritmica.

Buon ascolto.