Come dimenticare gli occhi tristi di Amy Winehouse, la forza travolgente della chitarra di Jimi Hendrix, le tenebre che scaturivano dalla voce di Jim Morrison, la presenza scenica di Elvis Presley e il carisma di Freddie Mercury?

Naturalmente questi titani della musica moderna non avevano soltanto le caratteristiche che ho descritto poco sopra ma erano soprattutto grandi, grandissimi artisti, artisti a tutto tondo, interpreti fenomenali del loro tempo e icone che nessuna iconoclastia potrà mai cancellare.

Amy Winehouse, bianca come il latte ma dalla voce soul che più nera non si può; una bellezza atipica ma fortemente evocativa e una intensa tenerezza circondata da un alone di sensualità inusitato. Tutto ciò ha permesso alla sua figura di giganteggiare nel panorama musicale dei primi anni 2000 e le ha permesso di imprimere profondamente la sua immagine sul pavimento sonoro britannico ed internazionale. Impossibile non lasciarsi trasportare dal ritmo soul delle sue canzoni che ci permettono di rievocare a pieno sonorità di qualche lustro fa.

Jimi Hendrix, il mago e lo stregone nella stessa persona. L’uomo che creava incantesimi unici con le sue dita che passavano sulle corde della chitarra e che al tempo stesso evocavano spiriti malvagi e atmosfere psichedeliche piuttosto che diaboliche. Il ragazzo che aveva imparato a suonare la chitarra da autodidatta in un modo eccezionale tanto da divenire senza alcun dubbio il miglior chitarrista rock - e non solo - di sempre. E pensare che suonava da mancino pur mantenendo la tastiera dello strumento da destri, un rovescio al rovescio: soltanto un mostro eterno della musica saprebbe fare altrettanto!
La sua interpretazione della psichedelia ha portato la musica a livelli stratosferici e nessuno dopo di lui è stato capace di raggiungere tali altezze.

Jim Morrison, il re lucertola come si faceva chiamare dal palco e come si chiamava da poeta maledetto. Una voce unica, profonda e altisonante al tempo stesso capace di infondere sensazioni difficilmente riproducibili fuori dal contesto della sua musica. I Doors erano la giusta cornice per esaltare le sue qualità canore e di uomo da palco ma la sua figura resta unica nel panorama sonoro degli anni Settanta e i testi delle sue canzoni sono inni al fenomeno hippie che ha contribuito profondamente alla formazione di tanti adulti odierni nel bene e nel male. Le tenebre di un esistenzialismo nudo e crudo si propagano spiraleggiando da ogni nota e ogni parola della sua musica, Jean-Paul Sartre sarebbe stato fiero di lui se mai lo avesse conosciuto.

Elvis “The pelvis” Presley, il re del rock and roll, il re e basta; colui i cui tanti suoi estimatori credono sia ancora vivo nascosto in qualche recesso recondito e che partecipano ai pellegrinaggi in suo onore a Graceland, la sua avita magione (ora museo e tempio pagano) in quel di Memphis, Tennessee. L’uomo della “mossa” d’anca, la voce più profonda ed insinuante del rock, il bello che rifiutò di andare in Vietnam e che faceva strappare i capelli a migliaia di ragazze che accorrevano a frotte ad assistere ai suoi concerti; Il frontman che ha vissuto gli ultimi anni della sua vita saltando di tournée in tournée senza mai fermarsi un attimo e che ha dedicato tutto se stesso alla gioia dei suoi fans sparsi su tutto il globo.

E last but not least: Freddie Mercury, la voce assoluta per eccellenza (non la voce del rock o del soul o di altri generi musicali ma la voce totale). Ma anche l’istrione, l’animale da palco, colui che riusciva a coinvolgere folle intere che seguivano le sue parole e le sue mosse ai piedi dei palchi calcati dai Queen durante tutta la loro carriera. Un essere fortissimo e fragilissimo al tempo stesso, caparbio nelle scelte musicali e nella sua capacità di dirigere la band e trasmettergli tutta la sua intensità creativa ma anche un uomo combattuto e trascinato da più mani in direzioni diametralmente opposte. La figura con più sfaccettature di tutto l’universo della musica contemporanea; un compositore e paroliere furibondo: una fucina in azione costante, il creatore di alcuni dei brani più belli e profondi dei nostri tempi.

Queste cinque istituzioni musicali dovrebbero avere uno spazio fisico dedicato a loro come quello del monte Rushmore per i quattro presidenti USA; dovrebbero entrare a pieno diritto negli annali della musica (di tutta la musica) e cosa assai importante dovrebbero essere studiati ed insegnati a livello accademico poiché sono stati e non tornano più. Queste cinque deità sono la summa della musica contemporanea e la raffigurazione sonora della scelta artistica dei tempi moderni e questo dovrebbe bastare per far decidere i parrucconi, assisi sugli scranni dei senati universitari, a far sì che possano sciogliere i nodi delle loro parrucche antiquate e a far posto al nuovo che più nuovo non è ma che ha plasmato tutto un mondo di visioni e realizzazioni artistiche assolutamente tuttora attuali.