Qualcuno l'ha definito 'il Giotto della Georgia'. Altri ci hanno visto solo un naïf e altri ancora un semplice pittore di taverna. Nell'entusiasmo che seguì la 'russificazione' postrivoluzionaria della nazione venne riconosciuto come 'pittore del popolo' e da Mosca arrivarono applausi e interesse. Ma non è mancato chi lo ha visto come un avanguardista, legato sì alla sua terra, ma dotato di quella capacità eccezionale che gli permetteva di legare la cultura popolare con la modernità. Lui, d'altronde, non appare meno enigmatico delle sue opere. Non sappiamo con precisione quando è nato, né dove è sepolto, non scrisse mai nessuna lettera, visse una vita randagia e la sua biografia è costellata di aneddoti più vicini alla leggenda che alla storia vera. Di lui esiste una sola foto, ma molti dipinti, anche se assai meno degli oltre mille che si narra abbia prodotto girovagando senza fissa dimora lungo le strade di Tbilisi.

Lui è Niko Pirosmani, artista georgiano, vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento quando il suo Paese era crocevia di scambi tra Oriente e Occidente e Tbilisi una capitale multicolore dove mercati, cantine, carrozze e carovane di cammelli stracolmi di merci in arrivo dalla Persia convivevano con teatri e circhi equestri in un rumoroso fermento cittadino condiviso da uomini d'affari, ma anche da poeti e letterati che si incontravano nelle taverne. Pirosmani arriva in questa Parigi dell'Est a 8 anni, orfano di entrambi i genitori, contadini della Cachezia, e vive in una famiglia benestante che gli offre una buona istruzione ma lo lascia al suo destino quando dice loro che lui vuole dipingere. Dopo aver lavorato per alcuni anni per la ferrovia Transcaucasica si impegna in attività di commercio. Non ha fortuna e forse nemmeno voglia, così torna ben presto a dedicarsi soltanto all'amata pittura, decorando insegne e locande in cambio di vitto e alloggio. Ma poiché la sua arte non è mai sembrata classificabile in nessuna categoria artistica, il suo nome è rimasto pressoché sconosciuto in tutto l'Occidente, pur se in Georgia Pirosmani è oggi un’icona e il suo volto fino a pochi anni fa appariva persino sulle banconote.

A questo artista solitario e dimenticato dalla critica e dal grande pubblico internazionale, la Fondazione Beyeler dedica la più importante esposizione che su di lui sia mai stata realizzata in Europa. Cinquanta sono le opere in mostra nella fantastica cornice dell'edificio di Renzo Piano nella campagna di Basilea (Riehen), grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale di Tbilisi e il Louisiana Museum di Arte Moderna di Humlebaek, in Danimarca. «L'ambizioso programma di esposizioni del nostro museo presta particolare attenzione alle emergenze e allo sviluppo dell'arte moderna», spiega Sam Keller, direttore della Fondazione Beyeler. «Oggi Pirosmani, fuori dalla Georgia, è conosciuto soltanto dagli amanti dell'arte. Il nostro desiderio e il nostro fine è quello di rendere la sua arte accessibile ad un pubblico più vasto, sostenere la conservazione del suo lavoro, promuovere su questo studi accademici e incoraggiare la comprensione e la consapevolezza della sua importanza».

Certo, Pirosmani non sembra essere mai stato una figura facile, né come artista, né come persona. Indipendente e orgoglioso non si curò mai troppo delle critiche che gli piovevano addosso dagli intellettuali locali, molti dei quali lo disprezzavano, ma non ebbe grande considerazione nemmeno per l'ammirazione di altri artisti che portarono il suo nome e i suoi quadri fino a Mosca, esposti insieme a opere di Chagall, Goncharova e Malevic. Però quando, nel 1916, un giornale georgiano pubblicò la sua caricatura come un primitivo a piedi nudi, augurandogli di diventare un buon pittore nell'arco di dieci o venti anni, Pirosmani si offese, tagliò i suoi appena nati rapporti con la Società degli Artisti georgiani e si dileguò nelle strade di Tbilisi senza che nessuno riuscisse più a trovarlo. «Per essere capaci di vedere», sentenziò , «non bisogna avere gli occhi coperti da pregiudizi».

Nei suoi quadri Pirosmani racconta la Georgia, soprattutto quella delle campagne, più che della capitale, dove pure lui lavorava per poi appendere i suoi quadri all'interno delle taverne. La Georgia delle feste e delle vendemmie, quella delle tradizioni che lui faceva rivivere nelle sue tele cerate, attraverso una grande semplicità di composizione, come nella Festa dei cinque nobili, tutti dotati di baffi pronunciati e con il vestito delle occasioni, seduti davanti a una tavola imbandita. Molti i ritratti che ci restituiscono i tipi umani che popolavano le strade di paesi e città. Tra loro incontriamo il Conduttore tartaro di cammelli, la Contadina che porta l' acqua insieme a bambini, il Pescatore con la sua giubba rossa e il cappello di paglia e la prosperosa Donna con un boccale di birra, anch'essa vestita di rosso, probabilmente una delle belle di notte che gremivano vicoli e taverne di Tbilisi. L'Attrice Margarita ci appare invece in abito bianco con un mazzo di fiori altrettanto bianchi nella mano sinistra. È l'immagine del suo amore romantico e sfortunato per l'attrice e cantante Marguerite de Sèvres, in tournée a Tiblisi nel 1905. La storia, o forse la leggenda, racconta che Pirosmani se ne innamorò perdutamente e per conquistarla le inviò un milione di rose rosse, con cui si ricoprì tutta la piazza davanti al teatro. Inutile sottolineare il rifiuto di Margarita, ma vale la pena invece ricordare che questo gesto ridusse l'artista in miseria per il resto dei suoi giorni. Comunque l'impresa e il suo tragico amore gli valsero (postuma) una canzone - Un milione di rose rosse - che Alla Pugacheva cantava negli anni Ottanta con grande successo popolare in tutta la Russia.

Il mondo di Pirosmani è anche popolato da animali, dal cinghiale alla capra, dal cervo alla giraffa e all'orso. Molti di questi abitavano le campagne georgiane, ma altri l'artista poteva averli visti solo su alcune pubblicazioni o fotografie. Come non pensare a Ligabue e al mitico Rousseau? Un confronto con il Doganiere, di cui Pirosmani non conosceva neanche l’esistenza, è subito a portata di occhi essendo Il leone affamato che si getta sull'antilope nella collezione permanente della Fondazione Beyeler.

Le figure di Pirosmani sono ugualmente gigantesche, ma più statiche di quelle di Rousseau e Ligabue. Uomini e animali riempiono l'intera dimensione della tela senza lasciare spazio a paesaggi e non sono mai minacciosi. Piuttosto, nella loro essenzialità, hanno spesso sguardi malinconici che sembrano volerci riportare alla vita che il pittore stesso aveva sofferto. «Pirosmani dette voce ad una cultura passata che era nello stesso tempo primitiva e altamente sviluppata, generando un linguaggio che rifletteva la sua era», scrive Kirill Zdanevich nel catalogo. E aggiunge: «Non c'era modo migliore per trasmettere la Georgia prerivoluzionaria, per afferrarne la vita in tutta la sua forza e pienezza».

La cultura che l'artista eredita è quella dei bassorilievi assiri e delle forme grafiche persiane. Tutte le tradizioni locali affondano, infatti, in quel Medioevo, rimasto intatto nei secoli, e quando lo stile e l'iconografia russa nel corso dell'Ottocento cominciarono a dominare nelle chiese, l'iconografia religiosa georgiana dalle influenze orientali continuò a vivere nell'arte folk. Come spiega Ana Shanshiashvili, che ha a lungo studiato Pirosmani, l'artista raccoglie questa eredità e la inserisce in una storia differente, rendendola contemporanea. «La sua arte non nasce dal nulla», sostiene la ricercatrice. «Lui era profondamente interessato alla storia, alla cultura, alle poesia e alle tradizioni georgiane».

Molti sembrano essere anche i simboli che le sue immagini evocano, simboli di cui oggi si è persa memoria, spesso perché cancellati dall'era sovietica. Il Dottore sull'asino, nella sua scarna descrizione, appare condensare il vecchio e il nuovo, il passato e il presente o, come scrive Nana Kipiani nel catalogo, «è la conclusione di una visione epica del vecchio mondo che però parla un linguaggio moderno». Se il dottore è infatti il sapiente da cui i contadini si aspettavano miracoli, l'asino è invece l'animale dei vecchi culti legati al sole e alla fertilità. L'asino, però, è anche l'animale di Gesù, quello con cui il figlio di Dio entra a Gerusalemme. Pirosmani era molto religioso e la metafora della nuova cultura cristiana è altamente plausibile. Scrive ancora Kipiani: «Vecchi miti, tradizioni e simboli creano metafore del nuovo tempo, cosicché il concetto di società arcaica gradualmente svanisce e la sua struttura continua ad esistere nella forma di un nuovo processo storico».

La Fondazione Beyeler ha ora condotto Pirosmani dalla Georgia al resto del mondo. Sta al resto del mondo valutare la sua arte e accoglierla.