Lo ricordo nelle interviste televisive di molti anni fa. Occupava tutto lo schermo del televisore, la testa coronata dai bianchi capelli, con ciuffi ribelli, occhi spiritati, voce impostata e stentorea, bocca molle e sdegnosa: una persona assai improbabile, esagerata, al di sopra delle righe. Giorgio De Chirico, è nato in Grecia nel 1882, da genitori di origine italiana, di una certa levatura sociale e con pretese nobiliari, per cui ha ricevuto un'educazione adeguata alle aspirazioni genitoriali.

Quindi studi severi, con un occhio di riguardo verso l'arte, la poesia, la letteratura, la musica e la pittura. Con grandi aspirazioni e la convinzione di avere “qualcosa di più” di un cittadino qualsiasi, in forza di quell'essere internazionale, di conoscere le lingue, di avere genitori di larghe vedute, di praticare ambienti intellettuali, di essere accettato in società come una persona di rispetto, di una certa classe, soprattutto convinto, fin dall'infanzia, vista la sua predisposizione per il disegno, di essere destinato a diventare un artista assecondato dai genitori.

Gli studi classici, l'essere cresciuto in Grecia, culla della cultura occidentale, di cui si sente orgoglioso, gli hanno dato la certezza del proprio valore. L'incontro con la cultura tedesca e con i grandi filosofi Schopenhauer, Nietzche e Kierkegaard, l'hanno convinto di avere la preparazione giusta per affrontare una vita da artista. In seguito, a Firenze, approfondisce la conoscenza dei nostri grandi Maestri del passato, quindi si reca a Parigi, dove ha modo di conoscere gli ambienti delle Avanguardie artistiche e culturali francesi. All'inizio, dipinge soggetti vari, senza lasciarsi influenzare dalle mode del tempo, come il Cubismo e le altre Avanguardie.

Frequentare il bel mondo parigino gli dà subito la possibilità di conoscere i personaggi più famosi e influenti, Picasso si interessa a lui, Apollinaire ne diventa amico, sarà lui che chiamerà “Metafisica” la sua tematica. Nonostante l'arte in quel momento raggiunga audacie mai viste e arrivi a punte trasgressive rispetto all'accademismo, mai pensate, De Chirico è piuttosto tradizionale e utilizza il figurativo, immergendolo in atmosfere e visioni stranianti, ma estremamente realistiche.

Il pubblico e la critica gli sono favorevoli, anche perchè le novità dell'arte dei primi del Novecento, li hanno un po' disorientati, rivalutando questo artista che rimane nella tradizione, pur rivelando la sua originalità. Sono i suoi anni migliori, quelli di cui tutti riconoscono il valore, anche i suoi denigratori. La sua ispirazione è nuova, raffinata e genuina, pare riportare l'arte nel solco della tradizione, con un pizzico di creatività in più. I Surrealisti lo inneggiano, Magritte, come Dalì, subirà la sua influenza, molti artisti prendono spunto da lui per iniziare le loro opere.

Vedono l'artista come loro maestro e iniziatore di una nuova visione, ma De Chirico si stanca subito di loro, che ritiene troppo legati ad un' ideologia. Iniziano i primi screzi, continuati e ingigantiti negli anni. Ad un certo punto i Surrealisti lo dichiarano defunto, lui li ricambia insultandoli, poiché lui esprime la propria creatività utilizzando nuovi linguaggi, ma ispirandosi a quelli antichi, tira dritto nelle sue convinzioni, senza timore di non essere capito e apprezzato, molto sicuro di sé e della sua grandezza. Dopo Parigi, tornando in Italia, matura sempre più l'idea della Metafisica, anche per il contributo di artisti italiani come Carrà, con cui per un certo periodo è amico.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, a cui non aveva partecipato per problemi psicofisici, parla di “Un Ritorno al Mestiere” e ne scrive anche un saggio e un'autobiografia l'”Hebdomeros”, per dimostrare ai Surrealisti che lui è il solo “Argonauta”, insieme al fratello Savinio. E' un uomo di ingegno, che diventa anche un ottimo scenografo e costumista, con grandi successi di pubblico, mettendo a frutto l'idea di creare scene straniate, una novità che incontra l'approvazione dei critici. Col tempo De Chirico ha sempre più un'alta opinione di sé, si ritiene un “Pictor Optimus”, si definisce un genio al di sopra della mediocrità, intimamente classico e legato alla storia del passato. Ma nelle sue opere non sempre riesce a mantenere un livello superiore, perchè passa con disinvoltura da opere accademiche e impegnate a banalità, dipinte in modo affrettato e nervoso. A difetto della sua ispirazione, negli anni '30, riprende gli stessi soggetti del passato, solo con qualche variante. Anche per questo motivo circolano molte sue opere falsificate, il che ha creato polemiche e scandali nel mondo dell'arte.

Negli anni '60 viene accusato di non saper distinguere tra sue opere originali e opere falsificate. Il critico d'arte Philippe Daverio, che ha avuto modo di conoscere De Chirico molto bene, ha dichiarato che, quando all'artista si presentavano persone che volevano farsi autenticare sue opere che avevano acquistato altrove, lui, secondo se aveva simpatia per la persona, ne certificava l'autenticità, non tenendo conto in alcun modo dell'opera.

De Chirico, poco socievole, ironico e umorale, convinto di essere superiore, si scaglia contro tutto quello che è moderno, anche nei confronti dei grandi artisti, come Picasso, è addirittura contro gli Impressionisti, tanto da arrivare ad organizzare una Contro Biennale di Venezia, ritenendo quest'ultima il ricettacolo del peggior Modernismo.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale è diventato un personaggio pubblico col suo peso e lui celebra quella che ritiene la sua grandezza con pose auliche, dipinge opere di sapore barocco, con l' intento di ironizzare. Continua intanto a riproporre opere già dipinte. La critica lo attacca apertamente e lo abbandona, ma lui si dice soddisfatto della cosa, sfidandoli apertamente.

La moglie, irritata per il suo interesse nei confronti di una giovane donna, cerca di interdirlo e ne nasce un processo che ha ampia eco sui giornali e alla televisione. De Chirico riesce a dimostrare la sua lucidità, ma la moglie ottiene di poter gestire, da quel momento, il patrimonio di opere, che intanto hanno raggiunto un apprezzamento notevole.

Un uomo difficile, strano, dalla doppia personalità, con un carattere che lascia poco spazio alle amicizie: ma l'unica cosa che lo interessa è dipingere e lo fa ogni giorno, per lui non esistono vacanze, né ripensamenti. Eppure ci ha lasciato opere che hanno avuto un profondo significato nella Storia dell'Arte, perchè è riuscito a rappresentare una parte originale della realtà umana: il momento dello spaesamento e dell'immobilità del pensiero, che ci conduce in un dimensione superiore, in cui l'uomo scopre la sua realtà e si collega all'assoluto, che, nel suo caso, non è religioso e neppure spirituale, ma è umano e vero, disvela il significato della vita, pur negandolo: è la sacralità terrena, che prende il posto della sacralità celeste, simulacri al posto degli dei.

La sua è la Metafisica del nulla, il suo obiettivo è spiazzare le nostre certezze per insinuare il dubbio che la vita sia solo una menzogna, l'ombra di un sogno fuggente, un vuoto di senso di un uomo incapace di reggere il peso della vita, che mette in scena le malinconie che lo attanagliano: la pittura per lui è il rifugio in cui consolarsi. E' questo che ci vuole comunicare nelle sue opere, spiazzanti di una magia misteriosa, che si rivela osservando le visioni architettoniche, le piazze desolate, i monumenti solitari, le torri e gli edifici carichi di mistero e solitudine, le ombre inquietanti, che tanta importanza hanno nelle sue opere. Il dubbio che vuole insinuare nella nostra mente, è che la vita sia menzogna: dovrebbe svelare all'uomo il mistero del suo nichilismo.

Alla base delle certezze umane di De Chirico, c'è la profonda conoscenza della filosofia, che per tutta la vita ha continuato ad approfondire, in particolare Schopenhauer, il filosofo del pessimismo, il quale ritiene che l'esperienza estetica liberi ed elevi.

Un altro filosofo a cui attinge è Nietzche, quello che vuole distruggere le certezze del passato, la cui morale è basata sulla fedeltà alla Terra, col rifiuto di qualsiasi consolazione metafisica divina, una sorta di Nichilismo che si rifugia nel sentirsi geniale, senza speranze di premi finali nell'aldilà. Per lui l'uomo, per essere felice, deve elevarsi al di sopra di se stesso ed ergersi nel cosmo: un Superuomo. Una sorta di potenza che si deve raggiungere, di senso di superiorità che De Chirico ha incarnato alla perfezione, coi suoi atteggiamenti di superiorità rispetto al mondo.

La prima opera che si può definire Metafisica De Chirico l'ha dipinta nel 1910, ed è stata anche la prima metafisica esposta a Parigi al Salon d'Automne del 1912. E' “L'Enigma di un pomeriggio d'autunno”, in essa si riconosce Piazza S.Croce a Firenze, dove si trovava l'artista quando immaginò per la prima volta questo suo nuovo modo di dipingere. Tuttavia l'architettura della chiesa è molto semplificata, le porte sono state sostituite da tende, a ricordo e memoria del tempio greco.

La statua, in realtà dedicata a Dante, è spostata sulla destra ed esprime il “non-sapere” dell'uomo con la sua testa decapitata. De Chirico si ispira alle tematiche leopardiane che si perdono nel tempo e nella riflessione filosofica, alla ricerca di un nuovo significato che lo fa naufragare nel mare misterioso dell'Essere, come naufragarono gli Argonauti alla ricerca del Vello d'Oro. Essi sono evocati attraverso l'immagine di una vela bianca, che compare spesso nelle sue opere di questo periodo.

Vi è una ricerca spasmodica di un significato, un eterno bisogno umano, ma che infine naufraga nel “non-senso” della vita. Quest'opera prima è un po' il consuntivo di quelle che verranno dopo, che esprimono sempre questa stessa atmosfera di attesa e straniamento, al fine di indurre l'osservatore ad una riflessione più profonda che lo congiunga con la sua spiritualità.

E' l'artista stesso che racconta, in un suo scritto del 1912, come sia nata l'idea dell'opera “L'Enigma dell'ora”, dipinta nel 1910/11: è convalescente da una lunga malattia e si trova, un bel pomeriggio d'autunno soleggiato, in Piazza Santa Croce a Firenze, seduto su di una panchina a riposarsi. Gli viene in mente, in quell'attimo di sospensione, che forse è possibile fermare il tempo, immerso in quell'atmosfera che quasi lo strania.

Pensa che questo momento lo può immortalare anche in un dipinto e non solo nella sua memoria, desiderando tramandare ad altri questi attimi vissuti con un senso di eternità. Lo dipinge a Parigi, incoraggiato anche dal successo ottenuto con l'opera precedente.

Vi è raffigurato un porticato che riempie quasi tutto lo spazio dell'opera: all'interno, nell'oscuro dell'ombra, vi è una figura umana immobile, poco definita e molto misteriosa, che sta aspettando nella seconda arcata destra. Sotto, i raggi del sole pomeridiano lambiscono una vasca dalla quale fuoriesce un timido zampillo d'acqua e proseguono raggiungendo una figura femminile di spalle, vestita elegantemente di bianco. Al piano superiore compare la sagoma nascosta di una terza persona, ancora più misteriosa delle precedenti. Da questa loggia emerge un lembo di cielo limpido, mentre al centro campeggia un orologio gigantesco che attira lo sguardo e l'attenzione.

Le sue lancette sono ferme e trasmettono la sensazione di una dimensione senza tempo, in un attimo di attesa e di immobilità, che crea un senso di angoscia: è un tempo metafisico, quello del vuoto, legato all'inconscio, ma sempre presente nella coscienza. In questo modo riesce ad esprimere il mistero dell'incomunicabilità della condizione umana e la sua solitudine, attraverso un senso delicato di malinconia. L'artista dimostra tutta la sua abilità, fin dall'inizio, di rendere immobili figure e architetture, collegandole a stati d'animo perturbanti e indefiniti. De Chirico vuole creare opere che esprimano il senso di attesa e di mistero, che conducono il pensiero verso una spiritualità più profonda: non a caso sono state definite “Metafisiche”.

”La Melanconia” è un'opera del 1912 ed è tra le prime che raffigurano la principessa di Creta Arianna dormiente, tante volte dipinta in seguito, anche a ricordo del tempo vissuto in Grecia. Al centro dell'opera campeggia una statua di gesso bianco in cui la figlia del re cretese Minosse, riposa in un atteggiamento di accorata sofferenza, poiché Teseo, il giovane eroe ateniese che lei ha aiutato e salvato dal Minotauro con tanto coraggio, l'ha abbandonata: il dio Dioniso la voleva per sé e aveva obbligato il giovane ad andarsene.

Per De Chirico è l'immagine stessa della malinconia, si narra che in seguito a tanto dolore Arianna si sia suicidata gettandosi in mare. Per sottolineare maggiormente il suo intento l'artista incide sul piedistallo della statua “Melanconia”. Tutta l'atmosfera dell'opera è intrisa da un sentimento di solitudine che allude ad un presagio funesto. Nell'intera piazza, attorno alla fanciulla, vi sono grandiose opere architettoniche, cariche di mistero con le loro ombre inquietanti, e anche il colore che domina, molto scuro, non è da meno. Le sole due persone sono lontane, piccole da parere formiche, a ricordarci quanto si è soli nel dolore. E' un crepuscolo e la sua luce attenuata contribuisce a creare un'atmosfera di attesa e di sofferenza.

Chiaramente De Chirico vuole esprimere l'incapacità dell'uomo del '900 a sostenere il peso della vita, minacciata in tutte le direzioni, quando ormai l'uomo ne ha scoperto il non-senso. La malinconia insieme all'enigma è uno degli aspetti fondamentali della pittura metafisica dell'artista, ed è uno stato fondamentale della coscienza di fronte al mistero della vita che lui sa esprimere con grande efficacia con queste figure sospese nel tempo della storia, svuotate della loro identità e popolate da ombre ambigue pervase da latente malinconia, che ne accentua ancor più il senso di solitudine e di assordante silenzio.

La serie delle opere definite “Piazze d'Italia” viene dipinta dall'artista nel periodo parigino successivo, in molte delle sue opere compaiono piazze, assolate, vuote, desolanti, attorniate da palazzi dalle architetture ingombranti e contornate, quasi aggredite, da lunghe ombre scure. Lo spettatore prova un senso di disagio e di ansia che De Chirico ha cercato volontariamente di far scaturire in noi che lo ammiriamo.

E per rendere più efficace lo smarrimento compie errori voluti di prospettiva, spiazzanti. Anche le luci e i colori sono contrastati, senza un'apparente motivazione: vi si alternano zone chiare ad altre oscure e velate, con ombre che si dilatano lunghissime e raggiungono ogni cosa, anche la più lontana. Gli spazi vuoti hanno grande significato perchè sono particolarmente accentuati e contengono talvolta personaggi di piccole dimensioni, ma non meno importanti per il significato che rappresentano, il poeta, il filosofo, il personaggio storico o mitologico.

Ma più allontananti ancora sono gli oggetti, spesso fuori luogo, perchè appartenenti a contesti slegati, molto distanti tra di loro, ma che, ravvicinati, creano un cortocircuito che incuriosisce e contribuisce ulteriormente a dare all'atmosfera un aspetto intempestivo, perdendo il loro primario significato.

Tra queste opere, ce n'è una, “Melanconia di una strada”, 1914, che ha colpito particolarmente il mio cuore e la mia fantasia, che mi lascia ogni volta incantata ed estasiata nel rimirarla. Questa volta, nella piazza, desolata come tutte le altre, compare l'ombra di una bambina che sta correndo giocando col suo cerchio. E' un'immagine che conduce a momenti di tenerezza e ai ricordi dell'infanzia: tuttavia le architetture imponenti che incombono sulla piazza, di un colore ocra improbabile, riportano ad una realtà spiazzante, resa ancora più cupa dall'ombra allungata di una statua, che pare sporgersi verso la bimba, minacciandola e che compare dal lato opposto.

L'opera crea un misterioso e strano senso di attesa e di sospensione, la bambina appare solo come un'ombra, un'apparizione fugace, destinata a scomparire, per togliere alla vista l'attimo di dolcezza suscitato. Gli elementi qua dipinti, come nelle altre opere metafisiche, provocano un senso di disagio: il tempo sembra essersi fermato, luoghi, oggetti, figure, anche quando sono familiari, vengono trasfigurati, lasciandoci increduli ad osservare questa realtà complicata e difficile, un'alternativa pessimistica alla vita che conosciamo, provocano un senso di soffocamento, come mancasse l'aria.

Tutte le opere del periodo metafisico hanno una profondità di sentire e di esprimere che di rado è stata raggiunta da artisti italiani del Novecento. Delude che l'artista, passato questo periodo particolare, non sia più riuscito a realizzare opere di quel livello, ripetendosi e non raggiungendo un grado di creazione adeguata alla sua prima grande ispirazione.