Sfondo in serie tv e protagonista di numerosi film, tutti ci siamo chiesti come sia dal vivo la Sin City per eccellenza, universalmente conosciuta come Las Vegas. Ho avuto la pazza idea di visitarla e questa è la mia personalissima visione delle 38h vissute nella città, o meglio nella Strip.

Diciamo che è ben difficile partire dall'Italia proprio per andare a Las Vegas, molto più probabile intraprendere un viaggio per visitare la costa o i grandi parchi della California e decidere di fare una deviazione. Ciò che inganna è trovarsi davanti alla cartina degli USA a pianificare le tappe e vederla lì...appena oltre il confine ed è inevitabile pensare: “Quante altre volte nella vita sarò così vicina a Las Vegas?”

Così, incurante delle quindici ore di volo e delle ore di sonno sacrificate al cambio di fuso orario sulle spalle, illudendosi che qualche giorno trascorso a Los Angeles sia sufficiente per riprendersi, ti ritrovi in auto pronta ad affrontare le quattro ore di auto che ti separano dalla The Entertainment Capital of the world. Abbandonata la periferia di Los Angeles saranno quattro lunghe ore di strada a doppia corsia, con poche curve, in mezzo al deserto, in cui il paesaggio è sempre uguale a se stesso e ti capiterà di perdere il senso del tempo e del luogo, ma, soprattutto, di sperare di avere abbastanza benzina per giungere alla meta. A interrompere questo sonno vigile comparirà il cartello con la scritta “Nevada” e, un metro dopo, l'entrata di un casinò a tema indiano abbandonato. Triste e malinconico rimasuglio di un'epoca in cui Las Vegas non era ancora la regina incontrastata del gioco d'azzardo.

Mezz'ora dopo ecco comparire la città sorta in pochi anni come un miraggio nel mezzo del deserto del Nevada. Arrivando di sera indubbiamente fa un effetto maggiore, ma arrivarci di giorno permette di capire un aspetto banale, ma spesso dimenticato: Las Vegas, in realtà, è un insieme di unità amministrative. Quello che noi chiamiamo Las Vegas in realtà è l'area uncorpored di Paradise, o, ancora, quando noi pensiamo a Las Vegas la nostra mente si figura la Strip (o Las vegas Boulevard South) di Paradise. Prima considerazione: Las Vegas non è una città, ma una metonimia della città.

“Welcome to faboulous Las Vegas. Nevada”, la nota insegna rossa e blu su sfondo bianco, dà il benvenuto proprio all'inizio della Strip. D’ora in poi il tempo sarà sospeso e dilatato, si è compiuto il passo volontario di entrare in questa città, ora sarà lei a decidere i prossimi passi. Non resta che percorrere in auto la strip e passare in rassegna le varie insegne e landmark fino a trovare quella del luogo prescelto per posare le proprie valigie.

Sì, ho parlato di scritte, insegne e non di edifici, non a caso. Come sostengono Robert Venturi e Denise Scott Brown nel libro Imparare da Las Vegas, questa è una città che sembra far a meno non solo degli architetti ma anche dell'architettura: “le insegne sono diventate l'architettura di Las Vegas”. Il libro prosegue in un'analisi che, anche se pubblicato nel 1977, ha alcuni capisaldi riscontrabili ancora oggi. La Strip si sviluppa senza un piano urbanistico alla base, gli edifici si susseguono senza garantire una città d'insieme e senza sviluppare dei fronti urbani continui. La Strip infatti lavora per layer: in primo piano insegne, scritte e simboli enormi, specchietti per gli automobilisti e visibili da grande distanza, in secondo piano gli edifici.

Grandi costruzioni, figlie del proprio tempo, in cui viene curata solo la facciata visibile dalla strada, si possono dividere in due grandi categorie: Papere o Shed decorati. Nei primi i sistemi architettonici di spazio, struttura e programma sono sommersi e distorti da una forma simbolica, ne è un esempio il Circus Circus, nei secondi invece i sistemi di spazio e la struttura sono direttamente al servizio del programma e la decorazione è applicata indipendentemente da questi, come accade nel Bellagio. Ma percorrendo la Strip mi sovviene un consiglio dato da Venturi “la sospensione del giudizio può essere usata come strumento per successivi giudizi più approfonditi”. Giudicherò questa notte, quando la strada sarà al suo massimo splendore, non resta che raggiungere il mio Shed (o la mia Papera).

Selezionare l'hotel a Las Vegas è scegliere un mondo parallelo in cui vivere per alcune ore. Ce n'è per tutti i gusti: resort moderni o dalle ambientazioni antiche, eccentrici o tradizionali, introversi od estroversi. L'unica cosa che manca è la sobrietà: non pervenuta. Io ho deciso come prima e, verosimilmente, ultima esperienza a Las Vegas, di giocarmi la mia notte da leoni al Caesar Palace. Dopo un veloce check in, in cui più che registrare i documenti è importante registrare una carta di credito, al cospetto della statua di Giulio Cesare seguono buoni venti minuti per trovare l'ascensore che porti alla torre che ospita la stanza. E’un labirinto in cui tutti i percorsi portano ai tavoli da gioco… iniziate a capire quando dicevo che la città guiderà i vostri passi?

Breve passaggio in camera che, nota a margine, ha una tv anche nel bagno, prima di tuffarsi in piscina, dove la maggior parte si rifugia fino al tramonto per sopportare la calura di una città immersa nel deserto. Ovviamente fra le piscine addobbate con statue romane c'è anche la piscina con il tavolo da gioco in acqua. Ovvia licenza ad un contesto che dovrebbe richiamare le terme romane. Usciti dalle piscine, si può più o meno consapevolmente iniziare a perdersi nei meandri del Caesar in cui tutto è illuminato da luci sfavillanti e la luce del sole è l'unica vera assente. Vecchio trucco per far perdere la concezione del tempo.

A parte i tavoli da gioco e le slot machine, che si trovano in un'area in cui la moquette ricopre pavimenti e soffitti, l'hotel è creato per soddisfare (ma forse sarebbe meglio suscitare) qualunque tipo di desiderio. Negozi dei più noti brand, ristoranti e fast food di tutte le cucine mondiali aperti a tutte le ore, cocktail-bar, discoteca e night club sistemati lungo un posticcio sistema di vie cittadine corredate di lampioni, panchine e fontane sotto un cielo sereno, rigorosamente dipinto. L'obiettivo è non farti uscire ma solo far uscire i dollari dal tuo portafoglio.

Se non si è giocatori incalliti, però, ad un certo punto si sente il desiderio di andare a scoprire gli altri mondi. Si esce così dal proprio hotel-casinò e ci si avventura negli altri. Sicuramente lo spettacolo, che ogni mezz'ora anima con getti d'acqua e luci al ritmo di musica lo specchio d'acqua antistante il Bellagio, è uno sprone ad avventurarsi nella Strip.

Una volta entrati nel turbinio della strada ci si inserisce nel flusso di persone e di auto che fino all'alba la percorrerà in lungo e in largo. Il percorso è soggettivo, si cammina e ci si fa abbagliare dalle insegne al neon, si riconoscono i set di film e serie tv e si decide, o si è convinti, ad entrare per sentirsi Bradley Cooper o Jim Sturgess. In pochi passi si passa dall'antico Egitto del Luxor all'antica Roma del Caesar, dalle gondole del Venetian alla torre Eiffel del Paris. Si può assistere all'esplosione di un vulcano, passeggiare fra i cimeli delle rock star, immergersi in una giungla con animali a grandezza naturale immersi nella vegetazione o entrare in un castello dal sapore disneyano.

Quando ci si stanca di un'ambientazione, si cerca a fatica l'uscita e si riemerge nella Strip dove si affollano venditori di enormi bicchieri riempiti con bevande alcoliche colorate, tutto spettacolo e nessuna qualità. Si entra in un'altra hall e, se ci convince, ci si addentra, altrimenti si prosegue con la successiva. Sono passate poche ore dal tramonto e si è già diventati attori di questa città, fatta di altre piccole infinite città sospese costruite in poco tempo da magnati del gioco d'azzardo o dalla malavita e non ci si rende conto. Siamo tutti Jim Carrey in un “truman show” in cui abbiamo deciso di entrare noi stessi.

Improvvisamente però si squarcia il velo. Un acquazzone improvviso rivela la vera natura posticcia del luogo. Quindici minuti di pioggia intensa sono sufficienti a riportare tutti attoniti nella realtà. Il bacino di San Marco viene chiuso e le gondole galleggiano meste e solitarie, alcune lettere di qualche insegna si spengono, i soffitti riversano acqua sui tavoli da gioco costringendo gli assidui scommettitori ad alzarsi (e a sedersi prontamente in altri risparmiati dall’acqua), le scale mobili diventano faticose montagne da scalare senza elettricità, i cocktail si annacquano, i ristoranti si fermano e il Bellagio spegne le sue fontane per paura di rovinare il suo lago di Como.

Subito si lavora, ci si affretta a ripristinare i mondi, ma ormai è chiaro a tutti coloro che si trovavano sulla Strip quanto questi microcosmi siano fittizi, ma ormai si è parte del sistema e, soprattutto, si è pagato per questo show, quindi non resta che continuare a viverselo. In fin dei conti sono stati solo quindici minuti, per giunta qualcuno non si è accorto di nulla, intento a fissare la pallina della roulette il suo mondo da ore è solo rosso, nero e verde. Decido anch'io di rintanarmi nel mio hotel, tentare la sorte alle slot machine e al tavolo del black jack e nel giro di poco ci si dimentica di tutto ciò che non siano le carte e le fiches.

La mattina dopo la strip è completamente diversa, è la luce del sole che abbaglia e non le insegne luminose. In queste ore del giorno i centri commerciali la fanno da padrone. Sono gli edifici più nuovi, vetrati e fieramente incuranti della loro sostenibilità ecologica dato che la temperatura interna si aggira sui 15 gradi! La gente percorre questi non luoghi come orde di zombie, comprando cose di cui non ha bisogno (come le patatine San Carlo a 10 dollari!). Tutto sommato nell'eccesso di questa città li considererei l'aspetto più marginale e meno interessante, anche se Augè potrebbe scriverci dieci libri passandoci una giornata.

Prima di abbandonare la città voglio fare un'ultima esperienza: pranzare nel set di un programma televisivo. Così entro in un cubo bianco con la grande insegna Hell's Kitchen posto, contro ogni logica urbanistica, al centro di uno spiazzo che un tempo (meno di 5 anni fa) doveva essere una piazza. Non c'è uno strillante Gordon Ramsey che lancia i piatti in faccia ai suoi cuochi divisi in brigate blu e rossa, ma tutto sommato me ne rallegro in quanto, almeno, le portate sono mangiabili.

Non resta che perdere un'ultima trentina di dollari alla roulette, prima di rimettersi in marcia e ripercorrere la via infinita, circondati dal deserto. Forse questa distesa di nulla che separa Las Vegas dalle altre città americane è questo: una sospensione, un passaggio dalla realtà a un mondo altro, uno spazio che accresce il desiderio all'andata e concilia la riflessione al ritorno. Se vi capita, andateci, fate l'esperienza e elaborate il vostro personale giudizio. Sul mio diario di viaggio ho annotato: 13 Agosto, deserto del Nevada.Las Vegas è una città di carta costruita con, per e sulla carta per eccellenza, il denaro.