Esattamente cinquantaquattro anni fa, il 16 luglio 1969, partiva dal Launch Complex 39-A del Kennedy Space Center, in Florida, la missione Apollo 11. Quattro giorni dopo, Neil Armstrong aprì il portello e scese sulla Luna, seguito venti minuti dopo dal compagno Buzz Aldrin. Il segnale televisivo a scansione lenta ma ad altissima qualità, proveniente dalla zona dello storico sbarco, era trasmesso grazie a una speciale telecamera, il cui segnale s’irradiava verso la Terra da una piccola antenna montata in cima al Modulo Lunare “Eagle”.

Le immagini originali erano ricevute e registrate su nastri magnetici da tre stazioni di ascolto: Goldstone, in California, e in Australia; al Parkes Radio Astronomy Site, nel New South Wales e all’Honeysuckle Creek Tracking Station, vicino a Canberra. Una volta ricevuto, il segnale veniva poi trasformato simultaneamente in un formato video leggibile dalle televisioni domestiche, e diffuso in diretta in tutto il mondo. Fu così che milioni di telespettatori, poterono vedere con trepidazione le immagini provenienti dalla Luna, che mostravano i primi uomini camminare sul nostro satellite.

Tuttavia, le immagini televisive trasmesse in mondovisione erano di una qualità di gran lunga inferiore a quella che gli ingegneri potevano vedere. Infatti, le stazioni riceventi erano dotate di monitor televisivi speciali, in grado di visualizzare direttamente il video a bassa scansione che proveniva dal mare della Tranquillità, a 380.000 chilometri di distanza. Un segnale, che per essere “letto” dalle normali TV domestiche doveva essere simultaneamente convertito con un sistema alquanto grossolano. Sebbene gli ingegneri della NASA sapessero che il convertitore di scansione avrebbe degradato la qualità dell'immagine originale, pensarono che si trattasse di un giusto compromesso ingegneristico, per ottenere la diretta mondiale televisiva.

Nel trionfo della giornata, nessuno alle stazioni di tracciamento prese in considerazione queste differenze, e tantomeno il pubblico, che non ne era minimamente a conoscenza. A fine missione, i nastri originali delle stazioni australiane, quarantacinque in tutto, furono impacchettati e spediti negli Stati Uniti, per essere presi in consegna dalla NASA, ed essere immagazzinati insieme a quelli dell’antenna di Goldstone.

The lost tapes

Della loro esistenza se ne perse memoria fino al 2005, quando l’Ente Spaziale Americano, in preparazione del quarantesimo anniversario dello sbarco di Apollo 11, pensò di utilizzare le registrazioni originali a bassa scansione, motivato dalla consapevolezza che utilizzando la moderna tecnologia, i nastri originali della missione potevano essere rielaborati, per produrre un filmato ad altissima qualità del primo sbarco lunare della storia. Ma erano trascorsi quattro decenni, e la totalità degli addetti agli archivi era da tempo in pensione. I nuovi funzionari, pensarono che i filmati fossero ancora conservati al Goddard Space Flight Center, in una delle 2.614 scatole che dagli elenchi in loro possesso, risultavano etichettate come nastri della missione Apollo, e che dal 1969 erano apparentemente rimaste nel deposito a raccogliere polvere. Ma si scoprì che la realtà era ben diversa, infatti, i nastri risultarono non essere più da molti anni disponibili al Goddard, e non se ne trovò traccia neppure al Washington National Records Center (WNRC), nel Maryland.

Come per l’Arca dell’Alleanza del film Indiana Jones e i predatori dell’Arca perduta, “i nastri scomparsi di Apollo 11”, come li chiamò la Stampa quando venne a conoscenza del caso, non si trovavano più nei magazzini governativi, e se vi erano si trovavano persi fra migliaia di altri scatoloni di documenti. Le poche carte di accompagnamento merci ritrovate, inoltre, non furono di alcun aiuto, poiché invece di portare la firma e il nome del funzionario addetto al ritiro, al suo posto si leggeva l’anonima dicitura, in stampatello, "NASA Goddard".

Il risultato finale della ricerca confermò che dal 1973 al 1980, la maggior parte dei 2.614 container erano ritornati in carico alla NASA, e che nel periodo 1981-1983, "NASA Goddard" aveva ritirato altre 42.996 scatole di nastri magnetici, di cui 25.443 solo nel 1981.

Una volta lasciato l’Archivio, i nastri erano quindi tornati sotto la responsabilità dell’Ente spaziale, ma nessuna bobina delle telemetrie originali di Apollo 11 fu trovata, e la NASA, nel 2006, dovette ufficialmente ammettere che erano andati persi. Questa spiegazione sorprese e sbalordì la Nazione. La consapevolezza della perdita delle bobine Ampex originali, gettò molte ombre sulle reali capacità gestionali dell’Ente Spaziale, ma c’era poco da fare, il nastro originale del famoso annuncio di Neil Armstrong: "Questo è un piccolo passo per l'uomo, ma un balzo da gigante per l'umanità", non esisteva più, insieme ad altro materiale di inestimabile valore della storica missione.

“Alla ricerca dei nastri perduti”, si unì anche un gruppo di ex dipendenti statunitensi e australiani, che un tempo avevano collaborato nella registrazione dei backup delle telemetrie. Col supporto dei funzionari del Goddard Space Flight Center, questi appassionati trascorsero migliaia di ore a rintracciare e intervistare ex dipendenti della NASA, analizzando promemoria, messaggi telex e database, oltre a visitare possibili siti di archiviazione in entrambe le Nazioni. Dopo una lunga estenuante ricerca, finalmente si ritrovarono alcune bobine del progetto Apollo, presso il Washington National Records Center (WNRC) di Suitland, nel Maryland, che però si scoprì con somma delusione essere quelle relative alle telemetrie della missione Apollo 9.

La ricerca però un risultato positivo lo diede, infatti, si scoprì l’esistenza di uno dei registratori originali del tempo, l’unico in grado di leggere ancora il contenuto delle telemetrie Apollo, se mai fossero state ritrovate. Infatti, la questione del supporto digitale che cambia con i tempi e con l’avanzare delle tecnologie, è di primaria importanza per tutti gli archivi del mondo. Se siamo capaci di leggere un libro stampato, molto più difficile è fare la stessa cosa nel mondo del digitale, quando col progredire dei software e degli hardware vecchi sistemi vengono abbandonati.

È quindi indispensabile trasferire questi dati su nuovi e più aggiornati supporti, un passaggio che la NASA sta facendo da tempo, ma quando si hanno a che fare con migliaia di file e documenti cartacei, la necessità di scegliere cosa è utile archiviare e cosa lo è meno, divenne una scelta dolorosa ma obbligata. Il ritrovamento del registratore/lettore delle bobine magnetiche Ampex, si rivelò in seguito utilissimo per riversare migliaia di ore di telemetrie delle sonde Voyager, che la NASA aveva deciso non fossero più utili, ma che un gruppo di ex dipendenti, vollero conservare per consentire a futuri ricercatori di attingere ai dati originali che le due sonde, lanciate nel 1977 per studiare i pianeti esterni del Sistema Solare, avevano trasmesso a Terra, e che cinquanta anni dopo stanno ancora navigando nello spazio, fornendo preziose informazioni.

Anche se le ricerche non portarono al ritrovamento dei nastri originali, riuscirono però a recuperare diverse videocassette ad alta qualità visiva, in formato NTSC, e alcune pellicole in Super 8, che al tempo avevano ripreso, da un monitor video in Australia, la trasmissione SSTV prima che fosse convertita. È anche da questi elementi visivi, che la NASA riuscì poi a rielaborare in alta definizione, grazie alla Lowry Digital, il video dello sbarco che presentò nel 2009, durante la conferenza stampa per il quarantennale, e nella quale ammise anche la perdita degli originali.

Fu durante questo incontro stampa, che la NASA raccontò cos’era realmente accaduto, rilasciando la relazione: The Apollo 11 Telemetry Data Recordings: A Final Report. Dopo aver ripercorso la cronologia delle intense ricerche, durate tre anni, il documento, oltre a confermare che non si era riusciti a localizzare i nastri magnetici contenenti i dati della prima passeggiata lunare, spiega che molto probabilmente gli allora gestori del Programma, avevano stabilito che non era più necessario conservarli, perché tutti i video erano stati registrati su molti altri supporti, e di conseguenza avessero dato il via libera alla loro cancellazione, per essere riutilizzati nell’ambito del programma Apollo- Soyuz, Nimbus, Skylab e in seguito anche in quello dello Space Shuttle, risparmiando denaro, in un periodo nel quale i fondi per la NASA erano relativamente scarsi1.

Un pò' di storia

Quando la missione di sbarco lunare venne pianificata dalla NASA, inizialmente nessuno diede importanza all’utilità di riprendere in diretta TV, lo sbarco del primo uomo sulla Luna, fino a quando si realizzò che l’impatto emotivo dell’impresa, se trasmessa in diretta, sarebbe stato immenso sui telespettatori di tutto il mondo, ribadendo ulteriormente la superiorità della tecnologia americana su quella russa. Infatti, non si deve dimenticare che in quegli anni di Guerra Fredda, la corsa allo Spazio era un aspetto molto importante dello scontro ideologico in corso fra Stati Uniti e Unione Sovietica.

Sebbene fin dagli inizi delle missioni Apollo, gli astronauti avessero utilizzato delle telecamere, la NASA non aveva ritenuto necessario l’utilizzo di una videocamera in superficie, per le maggiori complicazioni che ne sarebbero derivate, e infatti il Modulo Lunare (LM) non disponeva né di frequenze TV dedicate, né di apposite antenne di trasmissione. La proposta di utilizzare una telecamera per riprendere lo sbarco in diretta di Apollo 11, provocò un intenso dibattito all'interno della NASA, sulle conseguenze di tale aggiunta non prevista, in quanto avrebbe aggiunto peso alla navicella spaziale e complicato le trasmissioni radio.

Alla fine, i funzionari più intransigenti furono convinti a lasciare un po' di spazio ai segnali televisivi, e approvarono l’utilizzo di una telecamera in bianco e nero, che, ovviamente, era di più semplice gestione rispetto a una a colori. L’utilizzo di una telecamera TV, per trasmettere segnali dalla Luna alla Terra, divenne così uno degli obiettivi di volo aggiuntivi della missione. Ma l’intero sistema di comunicazione telemetrica, non era stato studiato per trasmettere immagini televisive, ed era troppo tardi per modificare sistemi che avrebbero potuto ritardare la data dello sbarco. Per questo motivo non restava che adattare la telecamera, in modo che trasmettesse nell’esiguo spazio di frequenze che la NASA rese disponibile.

L’incarico di realizzare la Apollo Tv Lunar Camera (ATLC), fu affidato a Stan Lebar, un brillante ingegnere dell’azienda elettronica Westinghouse, che già aveva contribuito alla progettazione delle telecamere utilizzate nelle precedenti missioni. Le specifiche richieste dalla NASA erano stringenti. La telecamera doveva essere leggera e avere dimensioni ridotte, ed essere facile da usare per gli astronauti, che nell’esigua gravità lunare non sarebbero stati esattamente a loro agio nel muoversi, dovendo indossare delle ingombranti tute spaziali. Inoltre, doveva trasmettere attraverso una banda ristrettissima, ed essere in grado di sopportare l’estremo stress termico che esiste sulla superficie lunare, dove le temperature oscillano tra i -250 °C e i +120 °C.

La ATLC sarebbe stata installata sull’esterno del modulo lunare, in uno scompartimento apribile chiamato Modularized Equipment Stowage Assembly (MESA), che era posto alla sinistra della scaletta che Neil Armstrong e Buzz Aldrin avrebbero utilizzato per sbarcare sulla Luna. Uno speciale rivestimento termico avrebbe protetto la telecamera, dalle estreme temperature che avrebbe incontrato durante il volo nello spazio e sulla Luna. Un rivestimento che per poco non vanificò tutti gli sforzi compiuti.

Infatti, poche settimane prima del lancio, Paul Coan, responsabile NASA della telecamera, chiese al capo cantiere della Grumman, l’industria che aveva costruito il Modulo Lunare, se gli operai avevano fatto un foro nella protezione, per consentire all'obiettivo di non avere ostacoli alla ripresa. Un po' sorpresi dalla richiesta, i tecnici andarono immediatamente a verificare, scoprendo che gli addetti al montaggio avevano coperto tutto, compreso l’obiettivo della telecamera.

Dopo aver ripreso le storiche immagini della discesa, Neil Armstrong rimosse la coperta per avere libero accesso alle altre attrezzature riposte sul MESA, e liberò la telecamera inserendola su di un treppiede che piantò a una decina di metri dal LM. Le immagini televisive furono inviate a Terra attraverso l'antenna orientabile ad alto guadagno montata sul LM. Se il segnale fosse risultato troppo debole, l'equipaggio aveva a disposizione un’antenna ripiegabile esterna, ma poiché entrambe le grandi antenne di 64 metri di Goldstone e Parkes erano in linea, il suo utilizzo non fu necessario.

Brevetti militari

Una particolarità della Apollo Tv Lunar Camera, fu l’utilizzo di brevetti militari, non più coperti da segreto, che consentirono al progettista di risolvere brillantemente le specifiche tecniche della sua realizzazione, e superare le difficoltà insite in una trasmissione televisiva in diretta dalla Luna, un’impresa sensazionale se teniamo conto che siamo negli anni ’60 del secolo scorso.

Una delle maggiori difficoltà da risolvere, fu ottenere il giusto bilanciamento fra l’elevato contrasto tra il grigio chiaro della superficie lunare e il nero dello spazio. Per superare il problema, Stan Lebar scelse di installare una tecnologia che Westinghouse aveva sviluppato per il Dipartimento della Difesa, e che era stata utilizzata durante la guerra in Vietnam per la ricerca dei piloti abbattuti nella giungla, in condizioni di luce scarsa e nelle ricognizioni notturne. Per ridurre peso e produzione di calore, la telecamera incorporò altri micro-apparati derivati da brevetti militari, che le consentirono, inoltre, di consumare pochissima energia elettrica: sette Watt, quella che di solito si usa per alimentare una singola lucina di un albero di Natale.

La trasmissione in diretta delle immagini fu il secondo punto critico che Lebar dovette affrontare. Durante un viaggio spaziale le comunicazioni che intercorrono tra la navicella in viaggio e la base di controllo sulla Terra, sono molteplici e diverse, come le telemetrie sullo stato dell’astronave; informazioni sul funzionamento dai computer di bordo; dati sulla navigazione; comunicazioni vocali e dati biometrici degli astronauti. A queste informazioni, che possiamo definire “canoniche”, con Apollo 11 sulla Luna si sarebbero aggiunte anche le immagini per la TV.

Tutte queste comunicazioni sarebbero passate attraverso una piccola antenna ad alto guadagno, la Unified S-band (USb), posizionata sul Modulo Lunare. Tramite questa antenna, le immagini furono trasmesse alle tre postazioni di Goldstone, Parkes e Honeysuckle Creek, dove il segnale, convertito in NTSC, fu fatto rimbalzare verso il satellite Intelsat, che a sua volta lo rimandò al “Ground Control” (Centro di Comando) di Houston, in Texas. Da lì le immagini furono poi trasmesse alle reti televisive di tutto il mondo, che a loro volta le inviarono agli apparecchi TV domestici. Fu in questo modo che, alle le 21:56 ora di Houston, in Italia erano le 4:56 del 21 luglio 1969, che sulla Terra, 650 milioni di telespettatori videro Neil Armstrong scendere la scaletta, e toccare il suolo lunare per la prima volta.

Circa due minuti e mezzo prima, il suo compagno Buzz Aldrin, dall’interno del modulo lunare aveva attivato la telecamera esterna, facendo iniziare la ripresa. Alle stazioni di ricezione sulla Terra l’immagine arrivò scura, poco nitida e capovolta, questo perché era stato necessario posizionare sottosopra la telecamera nel MESA. Era compito delle stazioni riceventi raddrizzare le immagini, ma Goldstone non azionò immediatamente il comando, e per alcuni secondi, fino a quando Houston non invitò la Stazione a correggere l’errore, le immagini arrivarono ai telespettatori sottosopra.

Restava il problema della qualità. Durante i primi minuti della diretta, la NASA alternò i segnali dalle tre stazioni riceventi, per capire da quale punto provenisse l’immagine migliore. Ben presto realizzarono che i segnali provenienti dall’antenna di Parks, che era leggermente più potente delle altre aveva una migliore qualità, fu così che il resto della diretta di 21 ore, provenne da quella stazione.

I video vanno all'asta

Il 6 luglio 2019, la Casa d’Aste Sotheby's, annunciò clamorosamente che avrebbe avuto a disposizione per la vendita il successivo 20 luglio, tre bobine AMPEX da 2 pollici (50 mm), appartenenti al Progetto Apollo. Si venne a sapere che i nastri erano stati acquistati nel 1976, al prezzo di 218 dollari, da Gary George, allora studente d’ingegneria alla Lamar University, e che facevano parte di un lotto di altre 1.150 bobine, messe all’Asta come “surplus governativo”, dalla General Services Administration. George seppe di quest’Asta quando era stagista al Johnson Space Center, e acquistò le bobine per pura passione, senza conoscerne il contenuto preciso.

Il 20 luglio 2019, cinquantesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna, i tre nastri furono venduti a un acquirente anonimo per 1,82 milioni di dollari. L’annuncio fece scalpore, e subito si vociferò che fossero le registrazioni originali andate perdute. Da parte sua Sotheby's descrisse questi nastri come: "registrazioni sopravvissute dello storico atterraggio lunare dell'Apollo 11" e "contenenti le immagini video di migliore qualità, più nitide e accurate dei primi passi dell'uomo sulla luna".

Chiamata in causa, la NASA si affrettò a dichiarare che “questi nastri non contengono materiale che non sia già stato registrato e in possesso dell’Agenzia”. A supporto della sua dichiarazione, precisò che non potevano trattarsi dei nastri originali delle telemetrie, perché questi erano stati registrati esclusivamente su nastro magnetico da 1 pollice (25 mm). Il mistero dunque continua, e non è detto che in futuro altri “Indiana Jones” trovino gli inafferrabili “nastri perduti” di Apollo 11.

Note

1 Se qualcuno si chiede di che cifra stiamo parlando, considerato che una bobina magnetica a 24 tracce negli anni 1970 costava circa $100, e che il costo rivalutato al tasso di cambio odierno equivale a circa €1900, che moltiplicato per 50.000 nastri porta la cifra totale a €95.000.000.