The Address è onorata di presentare: “The distant smell of a black locust, the silent dance of a ghost in the visiting room”, dell’artista figurativo francese trapiantato a New York Édouard Nardon. La mostra consta di quindici dipinti inediti creati negli ultimi tre anni e rappresenta la sua seconda esibizione individuale presso la galleria.

Sebbene possano sembrare soltanto degli esercizi di astrazione, i quadri di Nardon partono da precise composizioni figurative basate su fissazioni personali. Numerosi piccoli schizzi su carta precedono il lavoro su tele non preparate, pinzate sulle pareti rivolte ad ovest del suo studio in Brooklyn. I dipinti cominciano a rivelarsi quando Nardon delinea e compone i gesti ripetuti sulla bozza prescelta, utilizzando materiali come polvere di marmo, gesso e pigmenti grezzi.

Quindi riduce o arricchisce l’opera tramite un grado di separazione inconsapevole, liberando se stesso dal significato originario e letterale. Ad un certo punto gli accumuli iniziano a prendere forma, entro le proprie dimensioni simboliche, mentre l’artista comincia l’elaborazione. Ogni strato, apparentemente eterogeneo, si mantiene a distanza dal successivo, relazionandosi talvolta in conflitto, talaltra in armonia. I gesti pittorici effettuati tra ogni strato sono costituiti da pennellate contrastanti; inizialmente ampi e larghi, infine coperti con segni meticolosi.

In aggiunta ai dettagli in termini di composizione, le opere di Nardon considerano, anche a livello concettuale, gli elementi con le quali sono realizzate. La sua gamma di colori incarna le tappe fondamentali dell’antichissima ricerca alchemica del Magnum Opus, consistendo in tinte come Nigredo (nero), Albedi (bianco), Citrinitas (giallo), Rubedo (rosso) e Cauda Pavonis (blu coda di pavone). I riferimenti impliciti nella sua tavolozza compongono e si combinano con le memorie dell’infanzia dell’artista, creando soggettività e temi in un modo collegato con le tecniche meaning-making dei Neo-Impressionisti. I ricordi specifici sono citati indirettamente, con accenni alle sue prime avventure nei quartieri della sua giovinezza e ai profumi delle locuste – dai cenni alla solitudine e al confino fino al richiamo distante dell’orizzonte Atlantico.

Queste memorie si manifestano nei suoi dipinti come fantasmi, spiritie figure senza volto che si materializzano tramite gesti pittorici voluti e non, con linee controllate e momenti in cui la parte irrazionale prende il sopravvento e mostra all’artista una via che sino a quel momento non aveva preso in considerazione. C’è un tema ricorrente all’idea dell’origine a partire da una sintesi, da un incontro costante, da un allenamento intenso: un feroce combattimento tra il libero arbitrio e la scoperta, tra l’ordinario e l’assurdo.

Ogni opera, seppur strutturata in diversi strati, contiene un solo soggetto, creando una consistenza tra la collezione che prefigura la formula misteriosa di Nardon. La pietra filosofale come ricerca spasmodica fatta di tentativi costanti, alcuni ben riusciti, altri fallimentari e quindi distrutti. Per Nardon le fondamenta, risolute nella loro chiarezza, permettono ostinatamente l’ingresso di una presenza invisibile, spettrale, pittorica o di ricordo, per stabilire una connessione e trascinarci nella sintesi diegetica idiosincratica propria dell’artista.

Secrets of a loud city, I once traced with my forefinger on a dull mirror;
for the shadow of a lost shadow, that once danced with grace under the pale dome.
I never knew, I never knew!
Some fragile memories have vanished, like drops of orange blossom essence in the curve of a long stemmed glass left near the bed.
A spectral mask is smiling at me with compassion; I remember that smell.
The immense contour of an ancient bird is slowly swallowed by the distant crimson dusk. His face is a column of cobalt flames and fountains of chlorine are flowing upward from the tips of his crystal wings. Remember, hidden in a plexiglass box, an oxidized treasure is buried in his chest.

On the third floor, a neon halo is projecting cerulean figures on the plaster walls of this unachieved room. >Someone is waiting in the center, wrapped in a nylon tracksuit.
Cheekbones filled with timid whispers,
crossed legs,
crossed fingers,
crossed eyes,
gold cross on a convex plexus; another ghost, probably.

Ambitious visions of eternity abandoned in a cotton ball, are you still asleep?
22:22, The five bars of black steel are slowly bending as eyelashes connect.
Have you forgotten already? And the smell of the false acacia in the evening zephyr?
Seven thorns are stuck along the girdle of Venus. I extracted them one by one, and will use my pierced palm as a protective screen to watch the sunrise in a few hours.
Clouds that look like faces; their mouths are open doors with no destination. Where do their chants go astray?
A waltz in the visiting room with the jaws full of soft petals. They are gone already but the fool is still dancing.
I never knew, I never knew. But I remember that smell.

(Édouard Nardon, New York City, April 2023)