La famiglia è la patria del cuore.

(Giuseppe Mazzini)

Mattina presto, nebbiolina leggera, una giornata fresca-fredda che vira verso l’inverno che non arriva. Non è semplice e piacevole tepore ma autentico cambiamento climatico.

Mi trovo su una strada di campagna, appollaiata e infreddolita sul sedile della seconda fila a sinistra di una corriera blu dalle sgargianti copertine beige firmate Pierre Cardin, firma stampata in nero pece, righe in verticale. Un nero rigorosamente e profondamente nero, senza sbavatura alcuna.

Un salice piangente mi sorride. Alberi e ancora alberi sfilano, eleganti e snelli. Canali e ruscelli, se pur smagriti, accolgono tutti. Come in molti film girati sul nostro territorio, scorgo un ibis bianco in lontananza, un fagiano maschio attraversa la strada che ha un po’ troppe buche. Quella via maestra per pendolari, anziani in bicicletta e contadini mi fa pensare a un Emmenthal gigante ma grigio.

La pianura scorre piatta e calma di fianco a me, campi coltivati e filari di frutta che attendono il ritorno della bella stagione, quella dove fa veramente caldo, i rami protesi al cielo come braccia aperte verso il blu profondo e intenso. Leggeri e speranzosi, cercando il vento, accolgono la brina che rinfresca e disseta. Scapigliati ma felici. Qualche sparo in lontananza, anche gli spaventapasseri sussultano.

Vedo sempre Pierre Cardin. È incredibile, ma il mondialmente noto e ricco stilista francese, ignaro, si è ritrovato, con la sua griffe, a ricoprire i sedili di un mezzo sconquassato che attraversa variopinti paesini della periferia emiliana, un mezzo dal sapore antico, che sembra proprio uno di quelli che saltellano sulle polverose carreteras messicane, quelle che, per intenderci, si vedono nei film popolati da attori abbronzati e sorridenti che interpretano ruoli stereotipati di narcotrafficanti sudamericani.

Mi giro a destra, con calma per via dell’ernia incipiente e vedo una famiglia d’altri tempi. Un flash.

Quattro persone che ricordano le famiglie italiane degli anni Cinquanta, quelle del dopoguerra dal sapore di rinascita e audacia, che ancora sorridevano e avevano la voglia di cambiare e provare a ricominciare a sperare. Un tuffo improvviso nel passato, nei racconti di mia madre.

La signora, la madre, ha un cappello blu cobalto che le copre i capelli mal pettinati o forse acconciati da una parrucchiera di provincia, molto old fashion. A Milano direbbero che si tratta di una pettinatura da pochi euro fatta dai dilaganti e invadenti coiffeurs cinesi, quelli che colorano e popolano le strade con i loro negozi fatti di prodotti a basso prezzo e bassa qualità, che ti tagliano i capelli come se usassero una scodella e pure sbeccata. Ma noi, che siamo entrati nell’ambientazione della vecchia e cara Italia dal sapore un po’ rétro, preferiamo immaginare quella pettinatura come un’opera disegnata con cura da una signora di provincia un poco avanti negli anni che ancora si ispira ai giornali patinati. Sembra quasi quella di un vecchio fotoromanzo. Quelli che si sfogliavano negli anni Settanta sotto gli ombrelloni a righe della costa ferrarese (oggi comacchiese). Quanti ricordi, quanto mare ed energia, quanto sole e luce. A Comacchio si andava per mangiare le anguille, attraversando un Delta che sapeva di magia. Con tanta voglia di spensieratezza e leggerezza, quelle vere.

Dicevamo, la madre sorride, con i suoi bei denti bianchi e oro-argentati, qualche vetusta e spavalda capsula luccicante che non teme il sorriso e la gioia. Dal suo sorriso traspaiono serenità, tranquillità ed entusiasmo, stessi stati d’animo che sbucano dalla borsa di carta riciclata con qualche sacchetto dentro pieghettato che servirà probabilmente a infilarvi qualche regalo. Eh sì, perché siamo vicino all’Epifania e ci piace immaginare che quei sacchetti tanto abilmente piegati per salvare spazio e danaro saranno riempiti di giochi, di bigiotteria dal sapore antico, di dolcetti e di regali, di doni che magari andranno lontano. Percepisco infatti che quei doni tanto pensati andranno molto lontano, una volta ben imballati e impacchettati con amorosa cura. La carta con i brillantini fa il suo fantastico rumore. L’odore poi è paragonabile solo a quello dei libri freschi di stampa. Il mio preferito.

Il papà, un signore forse sulla tarda quarantina, parla una lingua che non capisco affatto. Sembra rumeno. Anzi, direi proprio che è rumeno. Ricordandomi il latino è sicuramente rumeno.

Si indirizza con tenerezza alla moglie, che ricambia lo sguardo affettuoso. Occhiate che sono carezze. Sicuramente condividono da anni le loro difficili ma felici vite. Stare insieme è ciò che conta. E poi l’amore comincia a casa, in famiglia, diceva Madre Teresa di Calcutta.

I due ragazzi, che avranno quattordici o quindici anni, ridono di gran cuore. Lei con le lunghe trecce castane, lui con una specie di austera coppola che gli ricopre il giovane capo. Non si vedono i capelli, sicuramente è moro o forse castano scuro. Capelli ricci o lisci? A voi immaginare, con me…

Chissà di che parlano. Il vento di pianura porta i pensieri lontani. Con essi la mia curiosità. Traspare serenità nei loro discorsi, sono insieme, uniti, anche se con i cappotti sdruciti e pure un po’ scuciti e scoloriti. C’è un legame forte tra loro, quel legame che si forma tra chi è andato altrove a cercare un po’ di tranquillità e benessere. Con speranza e tenace carità. Oltre che umiltà e pazienza. L’altrove qui è la pianura padana, una terra che abbraccia e non rifiuta. Né si rifiuta.

Mi piace immaginare che i pochi risparmi rimasti dalle spese che aumentano sempre più finiranno nei pacchi mandati a parenti e amici sulle corriere che partono ogni settimana per la Romania. Quegli scatoloni grigio-marroni pieni che vengono caricati sotto un ponte, le signore in bicicletta con i calzettoni lunghi e grigi hanno attraversato tutta la città per arrivare in tempo. Alcune sono anziane, forse la maggior parte, altre meno, ma tutte portano sacchi, pacchetti e pacchettini, soprattutto ora che è festa. Mercati e mercatini sono stati fonte di attenta e parsimoniosa ricerca. Il nostro mercato del lunedì e del venerdì hanno sicuramente contribuito, quelli di paese anche. La nostra operosa campagna ne ospita quasi ogni giorno della settimana.

Dall’altra parte, quasi alla fine del mondo, all’arrivo di quelle corriere stracariche che mi ricordano quelle del paese dei balocchi di alcuni film di Walt Disney, spesso dopo oltre 40 ore di viaggio, si apriranno quei doni e ne scenderà una lacrima di commozione e di ricordi affettuosi.

Mi piace quella famiglia che forse pensa già al pranzo della domenica, forse parla del lavoro proposto e atteso nei campi per l’estate o comunque per l’anno nuovo, l’anno che, nei loro pensieri ottimisti, cambierà tutto nelle loro vite. Quest’anno come ogni anno, poco importa.

La signora tira fuori una caramella fucsia tendente al viola. La corriera continua a sfilare fra fiori profumati e rose bianche dai colori tenui, fiorite nonostante la stagione. Quel rigoglioso e sbarazzino germogliare sarebbe così bello se non fosse anch’esso cambiamento climatico.

Quella piccola e dolce donna, dai denti dorati, mastica rumorosamente e continua a ridere. Sembra avere le ali. La corriera corre lungo la pianura e i suoi pensieri e sogni con lei. Sempre a braccetto. Quei teneri individui mi ricordano le storie dei nostri immigrati che hanno affollato tanto schermi televisivi e cinematografici. Sembrano la nostra vecchia Italia, loro che oggi sono la nostra nuova Italia. Ne sono parte, come noi, la vivono, la amano, la soffrono, la tollerano, la perdonano, l’accettano e talora la (mal) sopportano, proprio come noi.

Scendono alla fermata prima della mia, in centro storico. Mi salutano con la mano. Non mi conoscono ma magari hanno letto nei miei pensieri, hanno capito che li osservavo e fantasticavo sulle loro vite. Un po’ come si fa dai finestrini dei treni, quando si vedono scorrere tante casette dai camini accesi scoppiettanti e si immagina la vita e le storie dietro quelle mura variopinte. O quando dai tetti di Parigi si osservano i tetti di fronte e si vedono balconi dove si parla e si ride. L’essenza dell’amicizia.

Forse sono cordiali perché felici. Forse lo sono perché così sono stati educati e abituati. A certi popoli non serve insegnare a sorridere. Forse, più semplicemente, l’aura positiva della Natura che scorre, che tutto vede e che vigila sull’Uomo, li ha contagiati in un piacevole e travolgente effetto domino.

Forse sono gli angeli custodi che si rincorrono in cerchio nella foschia, si perdono un attimo ma si ritrovano subito e ritrovano i loro protetti, che li attendono proprio lì. E questa famiglia ha i suoi, li intravedo, li sento, percepisco il tepore leggero che emana dalle loro aureole. Quelle aureole un po’ impertinenti che, aleggiando nell’aria frizzante, spettinano le foglie e rinfrescano i pensieri. Non ci sono candele ma se ne intravedono le luci fioche delle fiammelle.

Non so darmi una spiegazione, che, alla fine, non è poi così importante, ma quella piccola e anonima famiglia, incrociata per caso su un bus di campagna, in un ancor non troppo freddo giorno di un inverno che non arriva, mi ha messo di buon umore, mi ha ridato speranza e mi ha sollevato da alcuni pensieri che provavano a essere un po' tristi. Mi ha da ridato serenità. Quella serenità impaurita che se ne era volata via tra guerre, ingiustizie e pandemie che, però, mi hanno insegnato a dire Grazie. Molto, tutto cambia davanti a tanta brava gente.

Stranieri, brava gente. E me ne accorgo nella valle degli angeli, un bel mattino.