La Direzione Creativa e la Direzione Artistica sono prodotti del bisogno di prolungare la gloria di un nome oltre la sua morte. Il nome non è mai solo un nome ma è il frutto della sua storia. Per esempio, Balenciaga è Cristobal dal 1895 al 1972: per i suoi legami con María Martina Eizaguirre Embil e José Balenciaga Basurto, rispettivamente sua madre e suo padre, e lo è altrettanto per suo fratello, Juan Martín Balenciaga Eizaguirre e sua sorella, Augustina Balenciaga Eizaguirre. È un nome che viene dalla Penisola Iberica, e più precisamente da Getaria, dove il padre esercita come pescatore e la madre come sarta.

Da questa breve traccia biografica ha avvio la sequenza di azioni, fatti, formule, significati e valori formali che appartengono a Cristobal e lo rendono Balenciaga per le cronache della Storia, e per l’appartenenza alla sua famiglia. Appartenenza emotiva, sociale, economica, culturale, anatomica (fisiognomica). Il prodotto della quotidianità di Cristobal è stato il suo personale approccio ai temi del vestire.

Le sue perlustrazioni pratiche della sartoria, e retiniche, ottenute dalle frequentazioni con le forme dell’arte e dei costumi della sua terra, oltre che con i manufatti degli altri giocatori dello scacchiere dello stile, che a Parigi declamavano la lirica del vestire attraverso il loro processo creativo, hanno tutti concorso ad “in-formare” Cristobal di quello che è poi stato il suo gesto e le sue risultanze espressive mutuate dalla sua personale visione.

La sua specificità di persona o più ancora la specificità della sua esperienza lo ha percorso e narrato nel suo operato. Silenzio ed assenza, pienezza e volume, hanno dato la posa alla sua esecuzione di sostanza ed immagine e hanno occupato l’atmosfera per il suo bisogno e per le intenzioni della storia anatomica dei pensieri sul corpo e la sua identità armonica.

Cristobal è Cristobal, su di lui agisce il rischio e le sue inconoscibili curve a gomito: null’altro che un nome ed una persona che spaziano nell’immaginazione generando interesse ed una conseguente economia. Da Getaria e dalla famiglia, Balenciaga ha principiato i suoi passi nella cromia e nella sostanza della materia, attraverso la separazione dei piani di appoggio della luce e l’occlusione all’epidermide di un proscenio atmosferico che non andasse oltre la nuca, le scapole e lo stelo tibiale.

Allungare nell’ombra e allungare nel ricordo: più ancora nel meraviglioso del memorabile all’atto dell’evasione dal contesto sociale è il regalo di questo assoluto talento della sartoria e dell’ideazione. Dono rivolto a colui che osserva e a colei che indossa ed abita le creazioni di Balenciaga, oltre l’umano consenso, perché Eva è il pianeta e non il satellite, in cui tutto si compenetra.

Nell’oggi degli ultimi trent’anni si è succeduta, sul trono di questo spagnolo, la storia di terre, emozioni e modelli che sono stati dilatatori di Cristobal nell’emblema di Balenciaga: Nicolas, Alexander, Demna… Direzioni creative che sono approdate, o sono partite, da Avenue George V per trovare legittimità di riscontro tra la pasta dei sogni di chi vuole economia e chi la vede come conseguente, e chi non l’ha neppure considerata ma dalla “potenza della lirica” gli si è palesata.

La direzione dell’immaginario di un conclamato nome dello stile rende batterico colui che vi si approccia come testa di ponte del processo creativo. La batterica superficie della natura umana si compenetra alla batterica superficie dei soggetti tramati per la moda a rivestirli di inedita personalità e carisma. Il batterio non è solo un patogeno in quanto ha, nella sua multiforme natura unicellulare la funzione metabolica di trasformare e contribuire ai processi dell’organismo in quanto microbiota.

Tale immagine, nell’esempio di Balenciaga, vede il principio batterico codificato nel prolungamento della sua storia oltre la sua fortuna critica attraverso chi oggi ne metabolizza ed elabora i contenuti prendendone il testimone e producendo una sua visione mutata, trasformata e vivificata in termini energetici tra i bisogni sociali. Ecco la funzione della Direzione Creativa o Artistica che dir si voglia: metabolizzare, mutare e rigenerare il lemma precostituito perché esso si mantenga nel tempo.

Oggi il fenomeno è talmente diffuso che più che la mutazione delle forme e la loro rielaborazione si traccia l’ossessione della longevità di un nome come unica strada percorribile per palestrare uno stile. Gli steroidi di quella che dovrebbe essere una naturale prestazione atletica dello spirito del bello sono le visioni comunicative che fanno da vettore ai progetti vestimentari e ai loro modi espressivi.

La comunicazione non è più legata alla illustrazione dei progetti ma è il progetto stesso: coincide con esso in egual misura di come lo steroide interviene nella prestazione atletica per quell’oltre che ci avvicina a Dio, o a quel che ne rimane anche come accezione poetica. Rinnovata e provocatoria, spesso la comunicazione di settore, presenta un’alterità dalla strada nota perché contenente le matrici culturali di appartenenza di chi ha in quel momento la Direzione Creativa ed innesta la sua personale “Getaria”.

La comunicazione odierna è ricca di multiculturalismo, ma anche di inconoscibili e privati percorsi nell’antro dell’architettura sociale originaria di chi la suggerisce. Nel campo della moda lo stile è divenuto una religione trasversale a tutti i settori ed il suo consumo un bisogno universale non disgiunto dal suo comunicato. Tale totale ingravidamento blocca le forme nella loro lirica appartenenza allo “ZEITGEIST” (Spirito dei tempi) e le soverchia oltre la loro funzione rappresentativa di personalità, sino ad impedirne la legittima fruizione armonica se il messaggio ad esse associato risulta fuori dal consenso di una maggioranza.

La moda è talmente di moda che non si guarda ad essa se non nel modo come la si comunica più che nella sua valenza originaria e dunque più che corpo polifunzionale diviene batterio metabolizzante messaggi che vestono i vestiti di altro... Mutare, per mutare ed esistere non per fungere alle logiche del principio che vi sta dietro: ovvero il rappresentarci identitario.

Perché si investe sempre meno sui nomi che lavorano sulla forma dell’abito, del comportamento che da esso si esprime in concomitanza con il proprio bisogno di definizione ed affermazione e invece si ricerca spasmodicamente una credibilità dietro al passato e alle strade note ormai snaturalizzate dei valori originari? Allevare e formare in scuole di moda sempre più alla moda, per poi non raggiungere la propria soglia di attenzione nominale a livello sociale, il proprio squarcio di luce, se non attraverso il nome di qualcun altro non è forse stabilire una rigida casta inespugnabile che fa di te qualcuno se ti siedi alla sua tavola? Siamo tornati forse a prima di Worth: al concetto di una classe sociale che detta le regole del gioco sfavorendo il singolo nei suoi acuti espressivi?

Oggi vali se dirigi e reinterpreti archivi e ti avvali di progetti comunicativi dirompenti, quando il progetto comunicativo dirompente dovrebbe essere l’architettura per il corpo ed il suo modo intrinseco di esserci a favore del pensiero di coesistenza sociale ed acquisizione qualitativa, non tanto per una quantità numerica, ma per la traccia del “sé”.

Quanto si può allungare la vita creativa di un nome fuori dal tempo della sua legittima esistenza senza snaturarlo totalmente? A quale prezzo tutto questo se non di mantenere le solide economie delle multinazionali del lusso? Che cosa ha a che vedere lo stile, come sentimento, con le suddette multinazionali? Allo stato dell’arte questo è il quesito del nostro tempo. Non ci è data una scadenza per la conoscenza ma di fatto gli aspetti comunicativi di un grande nome della moda servono a dilatare il messaggio e a reiterarlo nel tempo per i valori che lo hanno reso celebre…, il resto è marketing.

Se di fatto Balenciaga è un membro del Pantheon della Moda come si è potuto rinunciare ad esso, il 12 marzo scorso, sul tappeto di velluto della cerimonia degli Oscar? Cosa si è realmente compreso del lavoro del suo Direttore Creativo, il georgiano Demna Gvasalia, rispetto ai valori dell’armonia e dell’abrasione formale, nei suoi progetti moda (da Vetements a Balenciaga) se è bastato una comunicazione di dubbio contenuto per espellere le sue rilevanze estetiche dai corpi dell’olimpo di Hollywood e non solo?

Potrà sembrare un paragone improprio ma tutti fruiamo dei dipinti di Caravaggio anche se è stato un assassino. Andiamo ad ammirare il colonnato di San Pietro ed il Bernini non era propriamente un Santo…. L’uso dell’infanzia è sempre sottoscritto dalla genitorialità consenziente che di fatto abdica, nell’utilizzo dell’immagine di un minore per fini commerciali, al senso e significato primario della genitorialità (educazione, formazione, protezione, coscienza…).

Il mondo mediatico, autogestito dei social, ha ormai reso tutti direttori della comunicazione del proprio nucleo famigliare senza pensare alla perdita della proprietà delle immagini che in essi vengono pubblicate, minori inclusi, che finiscono inconsciamente nei circuiti ossessivi dell’ego e che appaiono in schermate collettive associate alle comunicazioni più disparate con risicati ed ipocriti filtri di tutela del “pudore”. Gvasalia va letto da un punto di vista organico alle sue origini per comprendere il suo progetto moda e la sua comunicazione: entrambi aprono squarci al sociale con acume verticale e processano le modalità espressive convenzionali del “mondo libero”.

Da Georgiano ha vissuto il fashion system nella sua coincidenza con l’Occidente “ricco ed evoluto” e di quest’ultimo ha osservato l’abissale distanza dalla sua terra processata attraverso il concetto del donare abiti di scarto ad un mondo bisognoso dell’Est, come di qualunque altro luogo, che non può godere degli indumenti, o meglio ancora del loro acquisto, per fruirne quotidianamente come riparo e tantomeno come forma espressiva di personalità.

Attraverso le azioni dei media e degli enti preposti alla diffusione dei beni di prima necessità verso quegli stati e quelle regioni del globo meno fortunate, ha osservato la nostra società con occhio clinico e l’ha riversata nelle sue creazioni in maniera politica nella sua valenza sovversiva. I “Cassonetti per la raccolta degli indumenti usati”, che accolgono gli abiti dismessi di chi ne ha in abbondanza, tracciano l’estetica del riuso, e l’assenza di quella palestra formale che li ha, in un certo qual modo, determinati sulle passerelle parigine, in quanto ridimensionati dal caso e dall’incuria.

La melancolia su cui poggia l’estetica di Gvasalia nelle sue potenti e carismatiche fragilità estetiche fuori schema, è congenita alle forme della sua creatività e deriva dagli orizzonti sociali della sua terra e da queste esperienze visive. La casualità di ciò che entra in una raccolta indifferenziata di abiti per bisognosi rappresenta il senso della sua prima etichetta: Vetements, nome che ne determina il valore intrinseco del progetto di raccolta e smistamento dei “VESTITI”, venduti a cifre iperboliche e con la stessa logica in cui entra nei “Cassoni” sopra citati e che tanto, al gusto del diverso della “parte buona del pianeta”, sono piaciuti ed interessati al punto da valergli la Direzione Creativa da Balenciaga.

La stessa denuncia che ha posto in essere nell’utilizzo dell’infanzia per comunicarci un mondo che non ha più infanzia perché l’immagine l’ha tolta dalla sua culla a favorirne numeri più che coscienza in un contesto, quello della comunicazione, sempre più autogestito nella democrazia dei social, vestita dai filtri che tutto sembra concedano e controllino, in nome dei numeri, accettando il minore sino a possederne l’immagine come proporzione del suo potere lontano dalla qualità morale.

Non il mezzo “social” ma il suo utilizzo, non i media, ma sempre cosa essi veicolano, il modo, la maniera e la scala gerarchica che contempla il denaro sopra ad ogni condizione di forma sino ad essere la forma; questo è quanto accade e questa è parte dei rilievi comunicativi che Demna ha usato per Balenciaga. Ecco perché, forse, i grandi nomi della moda, hanno levato le ancore dalla “Getaria” di ognuno per le miniere aurifere delle banche che poco comprendono di bellezza ma di essa si camuffano per la loro sempre maggiore efficacia accumulativa.

Getaria rappresenta il modulo esperienziale del singolo, che emerge a modello per il mondo, attraverso acquisizioni qualitative formali che sembrano sempre più imperscrutabili all’occhio, ma che di fatto sono ancora presenti come formidabili esercizi di stile, quanto plausibili abiti mentali, che in Gvasalia si sono sempre manifestati a prescindere dai mezzi di locomozione.

La Direzione Creativa o Artistica sembra la direzione presa ossessivamente in un tempo che parla di norme ma non ne traccia i principi e la qualità di tale direzione soffoca nell’ingranaggio unidirezionale del pensiero unico di una morale sartoriale della convenienza che sempre viene comunicata in favore dell’ecumenismo sociale.

Gvasalia più che un Direttore è il portatore di una corrente che ha il sapore di Getaria e di quell’infanzia che determina l’identità del gesto creativo e del suo “mo-n-do”.