Liberare l’immagine dal peso della materia è l’obiettivo primario del processo dell’arte. Poiché la forma è l’espressione di una trascendentale volontà, l’artista tende sempre ad andare oltre l’effetto plastico, verso una spiritualità della luce pura, in modo che questa determini una virazione che animi la massa facendola palpitare nello spazio liberandosi dal limite.

Settant’anni di scultura realistica e sensuale

Annita Mechelli nasce nel 1931 a Parrano, in Umbria, trasferendosi prestissimo a Roma. Con la sua arte trascende la storia e la natura, le sue sculture riflettono l’eterno valore della bellezza ma anche il creato e la storia. Si tratta di forme solide, anche quelle di dimensioni contenute, modellate nella consapevolezza di avere a che fare con la più ribelle delle materie, il bronzo. Più di ogni altra arte la scultura è dedicata all’entità fisica, alla sostanza, così come lo spirito è tensione alla trascendenza, pura aspirazione.

Sperimentate in un lungo periodo, le sculture di Annita posseggono materialità, capacità plastiche, ma anche notevole sensualità, capaci di mirare a una sintesi nella pienezza del modellato delle sue figure isolate. Esprimono al contempo una tensione nervosa e muscolare, come in “Albero della vita”; forza contenuta, come ne “Il sognatore”; mistero, come ne “La dea bendata”. Tutte le opere sono tuttavia controllate da una lucida volontà, mentre la virtuosità della scultrice trae dal bronzo stupefacenti effetti bloccando l’istantaneità del movimento.

Una pienezza di tematica volumetrica si ritrova in particolare nel nudo femminile, con una visione naturalistica piena, tanto da ricordare le opere del napoletano Vincenzo Gemito (1852-1929) e del siciliano Innocenzo Vigoroso (1933). Accostamento che si avverte nelle opere “Ragazza romana”, “La Vergine” e “La donna Scorpione”.

Tenerezza e malinconia

Il legame artistico con l’autore della monumentale opera “Resurrezione” nell’Aula Paolo VI in Vaticano, lo scultore Pericle Fazzini (1913-1987) di cui Annita frequentò lo studio sviluppando in maniera originale la figurativa eredità, la portò a dedicarsi soprattutto al lavoro scultoreo, pur non mancano significative opere pittoriche, come “La vita di notte” e gioielli d’arte nella sua produzione. Si tratta di forme impeccabili dove traspare quel soffio di tenerezza, che è esaltazione ma anche malinconia, l’ombra della malinconia che infrange la forma, divenendo incompiuta trasgressione che arresta dall’esito di un’armonia.

Episodi raccolti, la cui profonda creatività classica, distante da intellettualistici schematismi, ma nel vivo di una esperienza resa dalla bellezza interiore ed espressiva dell’essere umano, in cui il dialogo col personaggio femminile si fa più ravvicinato, più penetrante con lo sguardo a percepire il sussulto di una pena, quei moti sfuggenti che definiamo il mistero della donna. Psicologismo e vigile emozione che consente all’artista di cogliere situazioni e moti in tutta la sua pregnanza cagionevole.

La figura femminile

In lei prevale, soprattutto nella figura femminile, il senso pieno della massa e di un raccordo fra movimento ed espressione. Il che è di un talento che vuole avvertire l’antica lezione classica con quella del naturalismo. Nell’operare la scultrice denuncia una grande forza di volontà, guidata da un’ottima preparazione culturale e un innato desiderio di ricerca.

E’ il movimento di un corpo a trovare sintonia nella dinamica proposta dall’operazione plastica di Annita, a tal riguardo si veda la “Danzatrice classica” del 2011; ma può essere anche una parte del corpo umano, come nella “Mano dell’artista” del 1985; oppure è il ritratto, come nel “Sogno” del 1994, così complesso negli svariati motivi di contatto con l’arte, a svelare l’interiore per soluzioni formali raggiunte faticosamente. Dai primi anni Settanta Mechelli comincia la serie delle sue mostre personali, circa 300, che continuano fino a oggi, nell’estate-autunno 2022 alla stazione delle locomotive di Fiuggi e nel Castello di Trevi.

Ha esposto in mostre e collettive in varie parti d’Italia e del mondo: Ischia nel 1982, New York nel 1983, Tokio nel 1987, Roma nel 1986, ma anche a New York, Washington, Londra e Lugano. Dal 1990 in poi molte significative tappe segnano la sua carriera, anche tramite lavori per committenze pubbliche e dalla valenza sociale, come “Il dono della rinascita” per l’AVIS del 2006 e altri vari monumenti civici in Italia.

Tra le più importanti rassegne che l’hanno vista protagonista ricordiamo, “Tecniche a confronto”, al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, “Liberazione dell’anima”, alla Sala del Bramante in Roma, “L’albero è vita”, all’Abbazia di San Nilo di Grottaferrata, queste ultime con la curatela di Anna Iozzino. Hanno inoltre scritto di lei Giulio Carlo Argan, Federico Zeri, Paolo Levi, Indro Montanelli e molti altri critici.

Fantasia surreale nello stadio di Ascoli Piceno e nel porto turistico di Ostia

Il 14 ottobre 1990 viene inaugurata dal Presidente del Consiglio, nel piazzale antistante lo stadio di Ascoli Piceno, la grande scultura in bronzo (h 12 metri) “Pace negli stadi – novantesimo minuto”. Tra le recenti mostre possiamo citare “Simbolismi plastici” nel Museo Archeologico di Amelia (TR), 2009 e la mostra permanente delle sculture collocate dal 2012 presso il Porto di Roma a Ostia.

Negli spazi verdi del porto turistico sono in esposizione tra oleandri in fiore e siepi di bosso sculture di grande dimensione capaci di creare corrispondenza tra loro e il mare. Si tratta di creazioni fantastiche essenzialmente in bronzo, ma realizzate anche in legno e vari altri materiali, figure dalle esasperate forme, caratterizzate da una presenza talvolta inquietante, cioè due occhi che sembrano osservare lo spettatore, quasi invitandolo a un silenzioso dialogo sull'espressività esistenziale.

Caratteri fondamentali

I caratteri fondamentali della scultura di Annita sono le dolcissime figure femminili realizzate in varie pose, donne assise o giacenti, colte in tutta la pienezza dei loro volumi rubensiani, teste di fanciulle di espressività radiosa, busti di ragazze in fiore pensose e sensibili, danzatrici la cui lineare bellezza statuaria è esaltata da un ritmo quasi musicale. Sono il connubio tra classicismo e naturalismo, anzi l’esigenza di accordare l’antica lezione classica (immediato il riferimento ai nudi dei grandi veneziani) al naturalismo che da Auguste Rodin (1840-1917) e Arturo Martini (1889-1947) giunge fino a Emilio Greco (1913-1995) e a Giacomo Manzù (1908-1991).

Una classicità che è nostalgia della bellezza come canone di equilibrio e di armonia, in grado di rendere la forma e la sostanza delle cose, l’atteggiamento dello spirito e non l’aspetto mutevole e contingente della realtà immediata. Si tratta di un naturalismo molto distante dal verismo analitico-descrittivo, capace di tradurre l’attenta lezione del vero in autonoma percezione creativa, in immagini che ci restituiscono il vero affrancato da ogni richiamo esteriore o ridondanza aneddotica.

Nelle sue opere, Annita Mechelli rivive con partecipazione sincera e purezza di sentimenti l’idea classica della scultura, quasi a ristabilire, suo tramite, una possibilità esistenziale sottratta all’oscuro travaglio e alle ansie contemporanee. Le sue figure sono un rito che è sacra rappresentazione e dramma, come fuori della corruzione della carne e del corso temporale. Toccate dalla luce e dalla grazia, ricche insieme di forza plastica e di morbidezze luministiche che si traducono in valori emotivi, le sue opere sono conquiste di realtà, una realtà interiorizzata, nel suo significato assoluto di irripetibile presenza.