Esistono culture e mode legate al corpo che necessitano, dal punto di vista intellettuale, di un approccio chiaro e onesto. Tra queste merita una particolare attenzione lo Yoga, che in questi ultimi decenni ha conosciuto, soprattutto in Occidente, una diffusione senza precedenti.

È opinione comune paragonare lo Yoga a una pratica fisica, a una speciale forma di stretching dal gusto esotico, con posizioni del corpo al limite dell’ortodossia ginnica. Non c’è quindi da stupirsi che la maggioranza delle persone lo reputi uno strumento utile per sciogliere e tonificare i muscoli. C’è anche chi lo pratica pensando di perdere peso oppure di incrementare la propria performance lavorativa o il proprio fascino personale. Non è facile orientarsi nella giungla delle proposte: ne esistono di tutti i tipi, spesso accompagnati da mirabolanti promesse.

Ma che cos’è realmente lo Yoga?

Ripulito di molti luoghi comuni e false credenze, questa particolare filosofia di vita, che strizza l’occhio al corpo, si svela in tutta la sua semplicità e potenza. Il primo passo da compiere, il più importante di tutti, è rendersi conto della differenza sostanziale tra le varie tecniche corporee (in particolare la ginnastica) e lo Yoga, il che equivale a capire la differenza tra la modalità del “fare” e quella del “sentire”.

La prima è legata al peso del corpo, alla densità della materia e all’esercizio della forza. Finché la realtà rimane solida siamo necessariamente vincolati alla sola esperienza fisica che si alimenta di sforzo, tensione muscolare e razionalità. In questa dimensione viviamo una condizione instabile, vittime della legge di causa ed effetto. Curiamo solo l’apparenza, l’estetica delle forme e siamo sempre spaventati da quello che deve succedere. Lavorare solo con il corpo predispone alla separazione, al frazionamento, all’aspettativa del risultato, alla falsa certezza di un ego incapace di accogliere la propria fragilità e vulnerabilità.

La coscienza del “sentire”, invece, favorisce l’ascolto e il senso d’inclusione. Non c’è nulla da imitare o copiare. Solo nel vuoto e nella leggerezza, la materia perde la sua identità e assume tutte le forme possibili e immaginabili dalla nostra mente. Il corpo, sospeso tra una posizione e l’altra, tra una “forma passata” e un “nuovo inizio”, si rivela in tutta la sua essenzialità. L’apparente staticità di una posizione si manifesta in uno stato di eterno presente, dove la materia, la coscienza e il respiro si plasmano dolcemente, senza sforzo né tensione.

Secondo Pantajali, il perfetto dominio di un asana viene raggiunto, “mediante il rilassamento dello sforzo e la meditazione con l'infinito”(prayatna-shaithilyânanta-samâpattibhyâm – Yogasūtra, II-47).

Pertanto, il controllo del corpo deve essere spostato dalla mente conscia a quella inconscia: questa indicazione è giustificata dal fatto che è necessario ridurre al minimo l’interferenza e il condizionamento imposti dai centri superiori della corteccia cerebrale (neocorteccia), rispetto all’azione esercitata dalle aree inferiori. Quest’ultime sono deputate a integrare le informazioni che provengono dai riflessi posturali, legati al tono muscolare e alla percezione propriocettiva, cioè alla capacità di sentire la posizione del corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei muscoli.

Il rispetto dell’estetica di un’asana non rappresenta una garanzia di successo, in quanto i benefici che si possono ottenere da una particolare posizione sono necessariamente condizionati dal grado di coscienza fisica e mentale raggiunta. La staticità di una posizione posturale favorisce l’attivazione e l’inibizione rispettivamente di due aree cerebrali molto importanti: il centro dell’orientamento (sezione posteriore dei lobi parietali di ciascun emisfero) e quello dell’attenzione (corteccia prefrontale).

Una consapevolezza profonda, l’assenza di sforzo e un giusto grado di rilassamento muscolare, accompagnati da una respirazione libera e spontanea, costituiscono i requisiti necessari e indispensabili per il mantenimento di una posizione, che avviene sotto il controllo dei centri cerebrali inferiori di integrazione. Lo Yoga richiede una presenza globale e attraverso la pratica abituiamo la nostra mente a non fabbricare tensioni.

La costruzione di un’asana deve avvenire a un livello energetico superiore rispetto alla dimensione fisica. È necessario, quindi, abbandonare ogni sostegno, ogni convenzione sociale e ogni immagine di noi stessi che appartiene al passato. Non esistono metodi o istruzioni uguali per tutti: nella pratica dello Yoga ogni persona è un essere vivente unico e irripetibile. Solo quando ogni movimento si arresta, e il corpo e la mente si svuotano, riusciamo a trovare il nostro equilibrio. Seduti nella vacuità, diventiamo discepoli del silenzio.