La vita è come una stoffa ricamata della quale ciascuno nella propria metà dell’esistenza può osservare il diritto, nella seconda invece il rovescio: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, perché ci fa vedere l’intreccio dei fili.

(Arthur Schopenhauer)

C’è stato un periodo, quello della pandemia, nel quale abbiamo imparato a tenere almeno un metro di distanza dagli altri, niente strette di mano, niente baci sulle guance, niente più luoghi di ritrovo e aggregazioni, niente più chiacchiere davanti ad un caffè. Ci siamo abituati a salutarci attraverso uno schermo e le videochiamate sono state il nostro modo di relazionarci per due lunghi anni. Una rivoluzione per la nostra vita relazionale ed adesso, che la pandemia sembra essere alle nostre spalle, per rigenerare la nostra società dobbiamo partire proprio dalle relazioni che ne sono la base.

Dobbiamo imparare, re-imparare a tessere relazioni, creare percorsi di “prossimità fisica”, creare comunità, sviluppare reti sociali. Ricordo alcuni progetti dedicati al cucito dove l’obiettivo era ancora più ambizioso: favorire le relazioni sociali e allo stesso tempo l’alfabetizzazione delle donne straniere.

Si è da poco conclusa la mostra Texture of Resistance curata da Camilla Boemio presso Cosmo a Roma. In mostra c’erano opere di Maria Elisa D’Andrea e Giulia Nelli che creavano un contesto ricco di disegni ed installazioni interessanti con alcune opere create proprio per la mostra e lo spazio espositivo. Possiamo “tessere una resistenza”?

Giulia Nelli ha realizzato per la mostra l’installazione site-specific, di dimensioni ambientali, Mossi da forze contrastanti (2022), composta da collant nero di diverse densità (den) di Elly Calze. L’artista “analizza la relazione di ciascun uomo con l’ambiente naturale e sociale, nella convinzione che sia necessario ricostruire i legami che, resi liquidi dai nuovi mezzi di comunicazione, necessitano di trovare nuovo senso nella vita reale. Il suo lavoro è improntato sul complesso intreccio di legami che vanno a costituire l’identità di una persona e che si sviluppano dalle relazioni con il territorio di origine e con le persone che compongono la comunità di riferimento. Ha ricercato una forma espressiva personale e drammatica, dotando le sue opere di una dimensione scultorea, attraverso rilievi e giochi di vuoti e di pieni”.

“Per ottenere tale effetto ha scelto come materiale principale i collant in poliammide ed elastan, in quanto, da un lato, la bellezza di questa microfibra è sinonimo di eleganza, di confort e di innovazione e, dall’altro lato, l’affermarsi dei collant ha rivestito un’alta valenza simbolica nel processo storico di emancipazione femminile. L’uso dei materiali tessili le consente di esaltare il ruolo del gesto e della manualità, mettendola in contatto diretto con la materia: i collant di cui si compongono le opere vengono strappati, tirati e ridotti al loro elemento essenziale – il filo – che intesse il proprio percorso di vita ora solitario, ora intrecciato al destino di altri”.

“Ho denominato la mia poetica Legàmi – Légami in quanto tutto il mio lavoro è improntato sul complesso intreccio di legami che vanno a costituire l’identità di una persona e che si sviluppano dalle relazioni con il territorio di origine e con le persone che compongono la comunità di riferimento. Infatti, i legami conservati nella memoria diventano pensieri, significati e schemi mentali, costruendo un ponte tra passato e presente e delineando così la percezione individuale del tempo.

L’emergenza causata dalla pandemia da Covid-19 ha messo in luce i molteplici aspetti negativi di una società contraddistinta da legami “leggeri e liquidi”, da connessioni temporanee tra singoli individui che richiedono investimenti minimi dal punto di vista relazionale e culturale, mostrando invece la bellezza di relazioni durature e responsabili, che possono fare la differenza per sé e per gli altri.

L’esperienza della pandemia ha, quindi, rafforzato in me la convinzione dell’importanza di parlare dei legami, alla ricerca di relazioni di cooperazione e di nuove modalità di convivenza che sappiano integrare senza soluzione di continuità ogni elemento della cultura, dell’economia, dell’urbanistica e della tecnologia nella vita simbiotica della terra.

Il mio lavoro si basa sulla lavorazione del tessuto dei collant, che viene tagliato o strappato per rielaborare nuove trame immobilizzate su supporti o intelaiature rigide. Le mie opere sfruttano il contrasto tra vuoti e pieni, realizzato mediante le smagliature dei collant, e il contrasto tra bianco e nero per creare segni morbidi e allo stesso tempo incisivi, forti e drammatici”.

Maria Elisa D’Andrea presenta alcuni disegni su carta e l’installazione Attesa composta da calchi e da un cerchio in maglia di colore nero il cui filo ha il diametro pari alla sua altezza, come se dovesse avvolgerla e contenerla. L’installazione diventa infatti un nido dove l’artista si rifugia e si sente protetta. La ricerca di Maria Elisa D’Andrea abbraccia metodi non convenzionali e un’attenta sperimentazione dei materiali, esplorandone i vari stati di esistenza formale e allegorica.

I suoi soggetti sono tratti da narrazioni personali e fonti relative alla storia e alla mitologia, riflettendo l'interesse dell'artista per la filosofia, l’antropologia e il pensiero contemporaneo. Le opere nascono da esperienze personali, visioni e sensazioni che portano a immagini iconiche e riflessioni imperniate sulla simbologia femminista; ognuna è come un amuleto carico di fervore devozionale.