Don Camillo di Giovannino Guareschi è una delle opere italiane più tradotte al mondo: ne esistono versioni, oltre che nelle principali lingue europee, in tutte le lingue del mondo. Fino al crollo del comunismo solo il russo e il cinese mancavano all’appello ma dopo il crollo dell’Unione Sovietica le storie del pretone anticomunista della Bassa sono approdate anche a Mosca. Si contano traduzioni persino in eschimese, sorprendente per un’opera apparentemente così “provinciale”.

Al successo dei racconti di Guareschi, apparentemente legati all’Italia del Dopoguerra ma in realtà così universali, hanno contribuito di certo anche i riuscitissimi film di Julien Duvivier con Fernandel nel ruolo del protagonista e Gino Cervi in quello dell’antagonista, il sindaco comunista Giuseppe “Peppone” Bottazzi. Ma il film addolcisce molte asprezze dei racconti originali.

Le pellicole ambientate a Brescello (Guareschi in realtà lascia innominato il paesino, probabilmente ispirato alle Roncole di Busseto, la patria di Verdi, dove lo scrittore viveva) smorzano molte durezze: la vivida rivalità-amicizia tra il parroco e il sindaco sfocia al massimo in qualche cazzotto o in qualche legnata, ma la violenza vera non appare mai.

I film sono molto belli, ma i racconti lo sono di più perché non censurano la violenza e i lati oscuri. Se i don Camillo e Peppone cinematografici sono abbastanza fedeli al prototipo letterario fatto di rivalità che comunque si ferma sempre ad un certo punto e che, anzi, sottintende amicizia e stima reciproca al di là delle barriere ideologiche, i racconti sono tutt’altro.

Basti pensare ai racconti Paura e La paura continua assenti nelle riduzioni cinematografiche. C’è un delitto nel quale un possidente viene ucciso da alcuni uomini di Peppone. Si sparge la voce che si tratta di un suicidio, ma don Camillo viene a sapere che non è così e infatti benedice la salma (cosa impossibile se si fosse trattato di un suicida). Per questo gesto viene preso di mira e scampa per miracolo ad un tentativo di assassinio.

Sono racconti cupi, che paiono uscire più dalle pagine di Sciascia che non di Guareschi. All’inizio del successivo Don Camillo e il suo gregge si viene a sapere chi è l’omicida, il barbiere che non trova il coraggio di tagliare la gola a don Camillo mentre gli fa la barba, e che vien poi ucciso dal figlio del possidente, un ragazzo (Il cerchio si ruppe).

Ma vi sono racconti che alludono anche alle violenze fasciste e ai regolamenti di conti: bisogna sempre sottolineare che Guareschi fu sia anticomunista che antifascista, e si fece tre anni di lager, e che il personaggio di don Camillo è ispirato ad un prete partigiano, don Camillo Valota (1912-1998) che Guareschi conobbe nel lager. A parte l’episodio del Pellerossa presente nel secondo film della serie, tutto il resto riguarda il ricordo delle violenze fasciste e i regolamenti di conti nel Dopoguerra (nonostante l’amnistia Togliatti).

Nel racconto Notturno con campane don Camillo nega l’assoluzione ad un ex fascista che arriva a minacciarlo di morte perché “perseguitato” dal fantasma di una delle sue vittime. Il racconto Il cane parla dei lugubri latrati di un cane che fa la guardia al cadavere in decomposizione di una vittima di regolamenti di conti tra fascisti e antifascisti.

Sono racconti che hanno dei tratti quasi da “horror padano”. E ancora più “horror padano” quasi da Casa dalle finestre che ridono è il racconto Gli spiriti nel successivo Don Camillo e il suo gregge dove uno scampato dai lager nazisti nasconde in una casa abbandonata una povera ragazza tedesca che, per le sue condizioni di povertà estrema, viene presa per un fantasma.

E Guareschi non nasconde quello che sarebbe successo se nel 1948 i comunisti avessero vinto le elezioni: nel racconto Tecnica del colpo di Stato Peppone supplica don Camillo di lasciare il paese perché in caso di vittoria dei comunisti, è in cima alla lista delle persone da eliminare.

Guareschi ebbe il coraggio, nell’immediato Dopoguerra, di parlare di cose difficili da affrontare ancora oggi, come il “triangolo rosso” e le foibe. Impossibili da trattare nei film, viste le ferite ancora apertissime. Forse Don Camillo meriterebbe un remake più fedele. Peccato però che Fernandel e Gino Cervi non si possano resuscitare.