Ultimo capitolo di una trilogia filmico-documentaristica siglata da Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier ed Edward Burtynsky, Anthropocene tocca tutta una serie di argomenti inerenti all’impatto dell’umanità sulla natura e sull’ambiente.

La pellicola si dipana lungo sette capitoli – Extraction, Terraforming, Technofossils, Anthroturbation, Boundary Limits, Climate Change, Extinction – con i quali vengono selezionate e affrescate azioni compiute dall’essere umano ai danni della Terra. Il titolo del documentario fa infatti riferimento ad una proposta di epoca geologica successiva a quella in cui tutt’ora viviamo (Olocene), un’epoca contraddistinta da un’importante alterazione delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del pianeta per mano dell’essere umano; la tesi, oggetto di vari dibattiti, è sostenuta da molti eminenti scienziati, climatologi e geologi.

Il documentario del 2018, più che argomentare in maniera diretta, si impegna a mostrare ed illustrare, sfruttando la peculiarità prima del medium cinematografico: l’osservazione. Lungo le sette stanze del museo degli orrori è possibile, infatti, scorgere la mano dell’uomo sull’ambiente e l’azione costante che esercita ogni giorno contro di esso, spinto da logiche di mercato, di profitto e di sfruttamento senza limite delle risorse.

Un viaggio che interessa tutto il globo e che muove a partire dal Kenya (con il sequestro di una immensa quantità di zanne d’avorio) e dalla Russia, con le incredibili estrazioni che vengono effettuate nella città di Norilsk e la totale assenza di aria pulita in una zona molto estesa. Non si può parlare di estrazioni senza citare, ovviamente, le cave di marmo di Carrara, che infatti divengono l’oggetto della sequenza successiva. Il percorso non ha confini, con l’obiettivo che mostra anche la filiera produttiva del litio, l’alterazione del terreno per vari fini, alcune grandi opere ingegneristiche come la galleria ferroviaria del San Gottardo e molte altre storie.

La destinazione del lungo monologo visivo – che non insiste mai sui dialoghi, relegando invece allo spettatore il compito di trarre le proprie conclusioni – è ovviamente quella dei cambiamenti climatici e degli esiti collaterali dell’agire umano, mostrando anche alcuni metodi con i quali viene attuato un tentativo per preservare terre e specie a rischio.

Le immagini che vengono offerte sono mediate dalla sapiente mano di Nicholas de Pencier, direttore della fotografia dell’intera trilogia; ma non va sottovalutata pure la presenza di Edward Burtynsky: anche se in Anthropocene (come negli altri due capitoli) indossa le vesti di regista, parliamo di un pluripremiato fotografo canadese, nonché noto e stimato documentatore della distruzione ambientale. Il risultato è un quadro d’insieme di immenso valore artistico, con qualità e bellezza compositiva capaci di creare un contrappunto formale in netto contrasto con i contenuti proposti.

Interi paesaggi industrializzati e deformati forniscono così l’occasione per creare particolari geometrie, con punti di vista assolutamente privilegiati: campi lunghi e lunghissimi, grandangoli, visuali dall’alto (come quella, mozzafiato, sopra le cave di marmo), linee di forza orizzontali, verticali e diagonali, spirali di Fibonacci e tanto altro ancora.

Anthropocene, in definitiva, allarga una panoramica avviata con Manufactured Landscapes (2006) e Watermark (2013), incentrati rispettivamente sugli effetti dell’industrializzazione cinese e sull’importanza dell’acqua. La capacità di spaziare così tanto in un tema delicato come questo è figlia, soprattutto, della regista Jennifer Baichwal, che si è formata come filosofa e teologa prima ancora di divenire cineasta; in seguito, proprio nella forma del documentario, ha trovato il supporto ideale per studiare a fondo l’essere umano.

La prospettiva d’insieme è davvero molto ampia e variegata, capace di toccare nel profondo anche quando vengono affrontati argomenti apparentemente lontani dal microcosmo personale; basta poco, però, per rendersi conto di come l’epoca globalizzata nella quale viviamo abbia creato un network di interazioni esteso ad ogni livello, capace di creare insospettabili relazioni e collegamenti.

Per chi ha sviluppato una sensibilità particolare su questi aspetti dell’esistenza, è indubbio che Anthropocene offrirà una promenade trasparente e limpida su cui riflettere per ampliare i propri orizzonti; per tutti gli altri, sarà un’occasione per cominciare a dare una forma concreta e tangibile all’impatto ambientale dell’umanità.