La missione Artemis 1 inaugura una nuova era per l’esplorazione spaziale umana oltre l’orbita bassa terrestre, situata intorno ai 400/450 km di altezza, dove si trovano sia la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che la cinese Tiangong (Palazzo Celeste). Artemis 1, quindi, costituisce il primo passo per riportare l’umanità sulla Luna a oltre cinquanta anni dagli ultimi uomini che vi sbarcarono con Apollo 17 nel dicembre 1972.

La prima missione Artemis è un test senza equipaggio della durata di 42 giorni, che ha il principale obiettivo di collaudare le capacità e la sicurezza del razzo Space Launch System (SLS), nonché della astronave Orion. Un sistema progettato allo scopo di realizzare una base semipermanente sulla Luna, studiare gli asteroidi e in futuro colonizzare Marte.

Oltre al collaudo “tutto insieme”, che la NASA definisce col termine full-dress-rehearsal, durante il suo volo verso l’orbita lunare Artemis 1 libererà nello spazio dieci piccoli satelliti, chiamati cubesats, che sono stati installati a bordo dell’astronave, e più precisamente nello spacecraft adapter, l’unità che collega lo Space Launch System all’astronave stessa. Per farsi una idea delle dimensioni, i dieci slot messi a disposizione dalla NASA alla comunità scientifica e alle industrie, corrispondono a una cubatura denominata “6U”, dove “U” sta per unità, e indica dimensioni standard di 100x100x100 mm.

Fra i vari satelliti lanciati, gli scienziati della NASA ripongono molte aspettative dalle informazioni che arriveranno dal Lunar IceCube, un satellite dal peso di circa 14 kg che ha lo scopo di raccogliere informazioni sul ghiaccio presente sulla Luna. Presenza, che la missione cinese Chang'e 5, atterrata sulla Luna nel dicembre del 2020, è riuscita dimostrare senza ombra di dubbi (seppur a livello molecolare) nell’area di allunaggio dei Mons Rümker, nell’Oceano delle Tempeste (Oceanus Procellarum).

Il ritorno dell’umanità sulla Luna è ormai una certezza, e Artemis, l’appellativo scelto dalla NASA per questo progetto, è il nome perfetto per riaprire i “cancelli” dello Spazio profondo, e tornare all’esplorazione vera, quella che porterà la prima donna e la prima persona di colore sulla Luna entro il 2030.

Preso a prestito dalla mitologia greco-romana, Artemis, o meglio Artemide, è un nome perfetto, perché oltre che divinità lunare e dea della caccia, è la sorella gemella di Apollo, il cui nome ha simbolicamente accompagnato l’umanità nella prima epica esplorazione della Luna del Ventesimo secolo.

Il programma raggiungerà la Luna in modo simile a come funzionava il vecchio progetto lunare Apollo. Ogni missione, quindi, si baserà sulle conoscenze acquisite dalle precedenti, testando attrezzature, strumenti e piloti, fino a quando tutto sarà pronto per inviare un equipaggio in sicurezza sulla Luna, proprio come fecero le Apollo 7/8/9 e 10, prima dello storico allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin con Apollo 11, il 20 luglio 1969. Gli ultimi esseri umani a scendere sulla Luna 50 anni fa, furono invece gli astronauti dell'Apollo 17, Eugene Cernan e il geologo Harrison Schmitt, che trascorsero dodici giorni a esplorare un'area magnifica e desolata nota come la valle di Taurus Littrow, mentre il loro compagno, Ron Evans, rimase a bordo dell’Apollo in orbita ad attenderli per poi rientrare tutti insieme sulla Terra.

Da allora, l’esplorazione umana nello spazio si è limitata alla orbita bassa terrestre, ma la Luna è 950 volte più lontana della ISS, e seppur già eseguita con le tecnologie degli anni ’60 del secolo scorso, il prossimo ritorno sulla Luna rappresenta una sfida molto più significativa che orbitare a una distanza che, pur con tutti i pericoli connessi, equivale grossomodo a quella fra Milano e Firenze.

La comunità internazionale ha già imparato molto, e guadagnato altrettanto, dalle ricadute scientifiche e tecnologiche derivate dalla realizzazione di missioni robotiche sulla Luna, e sugli altri pianeti del sistema solare. La Luna, in particolare, è stata fotografata con una risoluzione di meno di cinque metri per pixel, rendendo possibile l’esame particolareggiato delle sue risorse minerarie e della sua superficie. Di conseguenza, sarà facile scegliere con l’appropriata accuratezza le aree di atterraggio più idonee e sicure, anche in zone fortemente craterizzate come le regioni polari meridionali, dove si presume sia presente un’ingente quantità d’acqua gelata, conservata in recessi mai illuminati dalla luce solare da milioni di anni.

Il lancio di Artemis arriva dopo decenni di ritardi, causati più che dalle difficoltà tecniche di sviluppare “da zero” un missile ancor più potente del Saturn 5, che aveva portato gli Stati Uniti sulla Luna nel 1969; dagli approcci contradittori al futuro dell’America nello Spazio, da parte dei vari “inquilini” che si sono avvicendati alla Casa Bianca. Di questi Presidenti, pur con tutti i difetti che gli possiamo attribuire, Trump è stato l’unico che oltre a indicare alla NASA un obiettivo preciso, nello stesso tempo si è battuto per fornire all’Agenzia i finanziamenti necessari a completare lo Space Launch System (SLS) e l’astronave Orion, dando un impulso significativo al programma spaziale della NASA, che il nuovo presidente Biden ha saggiamente lasciato invariato.

Non che Trump fosse realmente interessato a tornare sulla Luna solo in nome della scienza o per prestigio nazionale, come potrebbe ingannarci il suo manifesto elettorale che possiamo sintetizzare nella frase “America first”: gli “Stati Uniti Per Primi”. Ma perché nel ritorno allo Spazio in grande stile c’è il tentativo degli USA di mantenere la propria posizione di leadership mondiale, aumentando da un lato pericolosamente le alleanze militari e dall’altro investendo in tecnologia spaziale; tutto allo scopo di contenere il predominio economico di Cina e Russia, o meglio, dei Paesi appartenenti all’unione commerciale del Blocco Orientale “Brics”, che si contrappone a quello Occidentale del G7, che possiamo anch’esso definire, utilizzando un termine nato durante la Guerra Fredda del Ventesimo secolo, come il Blocco Occidentale.

Se prendiamo in esame i 46 mila miliardi di USD del Prodotto Interno Lordo (PIL) combinato dei paesi del G7 (Canada; Francia; Germania; Italia; Regno Unito; Giappone e Stati Uniti), notiamo che nel 2019 ha raggiunto il pareggio con il PIL dei paesi appartenenti al “Brics” (Russia; Cina; India; Brasile e Sud Africa). Questa situazione di “pareggio” però è apparente, infatti, la vera ricchezza dei Paesi del Brics è la popolazione. Basta pensare che gli Stati appartenenti al “Club Orientale” rappresentano il 42% della popolazione mondiale, mentre quelli del G7 solo il 6%. E la popolazione, in una economia capitalistica, rappresenta la principale fonte della domanda, e quindi fautrice di uno sviluppo economico, che crescerà vertiginosamente a favore del Blocco Orientale rispetto a quello Occidentale. Per questo motivo gli Stati Uniti, pur con le dovute eccezioni, hanno abbandonato la fantasia di poter restare ancora a lungo la “potenza” dominante del mondo, e si rivolgono nuovamente allo Spazio, come accadde negli anni ’60 del secolo scorso, perché sanno che è anche con lo sviluppo delle tecnologie necessarie alla gara spaziale, che si combatterà la sfida economica del terzo millennio. Una sfida, che però comporta un pericoloso ritorno ai Blocchi contrapposti. È per questo motivo che gli Stati Uniti hanno avviato una serie di accordi tecnici e commerciali bilaterali, con partner europei e del G7, che avranno una notevole ricaduta economica sui paesi sottoscrittori. Infatti, come per Apollo, anche Artemis consentirà alla comunità internazionale di partecipare attivamente, con gli Artemis Accord, ad ampliare le frontiere della conoscenza e dell'innovazione umana a vantaggio di tutti quei popoli della Terra che ne vorranno beneficiare. Accordi, che per questioni strategiche hanno escluso Cina e Russia, che da parte loro hanno firmato un’intesa, aperta a tutti i Paesi del Brics, per la cooperazione spaziale, che mira a realizzare una stazione di ricerca lunare e a colonizzare Marte. Un progetto che includerà la nuova astronave russa “Orjól” (Aquila) capace di trasportare fino a sei astronauti, e il razzo pesante cinese Long March 9. I dettagli di questo nuovo e ambizioso programma sono ancora relativamente scarsi, ma il semplice annuncio fa rilevare come ormai i Paesi con capacità spaziali si siano posizionati su lati opposti. È pur vero che una sana e leale competizione può far solo bene al programma spaziale in genere, ma pensare che ciò si debba realizzare duplicando le spese per raggiungere lo stesso obiettivo solo per meri interessi economici e strategici non può che rattristare.

Al presente, è ancora la NASA a guidare il ritorno dell’uomo sulla Luna, con un programma che nelle fasi decisive sarà il frutto di uno sforzo internazionale, che prenderà esempio dal successo della Stazione Spaziale Internazionale, che è stata costruita da “cinque”, ma è stata utilizzata da astronauti di oltre 20 paesi. Già la prima missione Artemis è frutto dell’impegno di diversi Paesi europei, basti pensare che il modulo di servizio di Orion è stato fornito dall’Agenzia Spaziale Europea, e costruito in massima parte in Italia dalla Thales Alenia Space, una joint venture tra la francese Thales e l’italiana Finmeccanica, mentre altri partner, compreso l'Australia, contribuiranno a costruire e gestire una base sulla Luna.

Come accaduto con il progetto Apollo, l'accelerazione nell’esplorazione dello spazio porterà a nuove scoperte scientifiche e a conseguenti e significativi benefici economici. È vero che l'invenzione di strumenti come i cordless, o il velcro, sono stati spesso erroneamente associati alla NASA e all'esplorazione spaziale, quando in realtà erano stati inventati ben prima del programma Apollo. Ma se è vero che non sono stati il frutto dell'esplorazione spaziale, è anche vero che ci sono state moltissime altre “cose” che sono scaturite dalla ricerca aerospaziale applicata al “civile” come: il memory foam; le tute ignifughe per i piloti di auto da corsa; gli strumenti per combattere il cancro e così via. Lo sforzo che verrà messo in questo campo, inoltre, porterà a nuovi modi di guardare e risolvere i problemi non solo per vivere e lavorare nello spazio, ma per migliorare il modo in cui viviamo e lavoriamo sulla Terra.

Ma vi sono ragioni ancor più profonde che spingono l’umanità a guardare alle stelle. Dobbiamo tornare sulla Luna per molte ragioni, prima fra tutte perché osservando il nostro pianeta dall’orbita lunare, ci siamo accorti della sua estrema fragilità. Una bellissima e delicata sfera di marmo blu che contrappunta il nero pece del Cosmo. Ci siamo resi conto che la nostra casa, è l’unica che possediamo, scoprendo così che siamo una comunità connessa, che guerre e divisioni interne non potranno mai recidere. Esplorare lo spazio ci obbligherà a estendere le nostre menti alla pacificazione, all'innovazione e al progresso.

Questa nuova Gara Spaziale però sarà molto diversa da quella del secolo scorso, che spinse gli uomini nello Spazio e sulla Luna grazie alla competizione nata tra due sole superpotenze, che consapevoli del pericolo di confrontarsi con le armi sulla Terra, portarono nello spazio le loro ambizioni per ottenere prestigio agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, con una competizione pacifica che in pochi anni consentì all’umanità l'emozione di veder l’uomo visitare un mondo diverso dalla Terra e di veder cadere con la missione congiunta Apollo-Soyuz, la fine della Guerra Fredda. Oggi, con l’insorgere di cruente tensioni fra poli opposti, e l’ingresso di nuove potenze nucleari e spaziali, il timore che lo spazio si militarizzi è concreto. Ciò deve far riflettere i nostri governanti a trovare soluzioni concordate nelle controversie nel nome della pace e del rispetto della nostra “casa comune” e non pregiudicare stupidamente, per pure ambizioni politiche o economiche, l’esistenza stessa dell’umanità.