La piazza più importante per la vetrina dei prodotti italiani, anche autarchici, era senz’altro Milano, in cui le merci venivano pubblicizzate più ampiamente.

La propaganda evidenziava una vita moderna, emancipata, simbolo di una borghesia che stava vivendo, almeno sulla carta, un periodo favorevole. Le tasse aumentavano e le crisi produttive erano sempre dietro l’angolo, ma l’idea di avere una classe borghese imprenditorialmente forte, era suffragata da forti prese di posizione della Confindustria, dalla nascita o crescita di gruppi industriali, dal forte aumento di adepti dei gruppi sindacali. Su tutto, una visione futurista del prodotto e della pubblicità, che porterà alla sostituzione del cartellonista come interprete delle necessità commerciali delle aziende, con artisti scelti o selezionati dalle aziende stesse per pubblicizzare i propri prodotti secondo una visione aziendale frutto di strategia messa in atto a tavolino, ancor prima di realizzare il prodotto stesso.

Le aziende cominciarono, proprio a cavallo tra le due guerre mondiali, a cercare una propria identità distintiva sugli altri prodotti, a volere creare un segno per lasciarlo. Risorsa indiscussa per le aziende italiane fu proprio il Futurismo, determinato auto-promotore, i cui seguaci erano profondamente consapevoli dell’importanza della pubblicità, soprattutto per abbattere le barriere tra alta e bassa società.

I futuristi che lavorarono per la pubblicità furono molti, da Filippo Tommaso Marinetti che creò pubblicità per Snia Viscosa, oppure Vittorio Osvaldo Tommasini in arte Farfa che creò per Ferrania, mentre FIAT scelse di essere rappresentata dal Futurismo di Nicolay Diulgheroff.

Fu però Fortunato Depero ad essere il più innovativo grafico del movimento: collaborò con la Davide Campari dal 1924 al 1939, creando per l’azienda di bevande non soltanto pubblicità, ma anche oggetti, come pupazzi, lampade, vassoi e la bottiglia icona “Campari Soda”. Inoltre, Depero progettò per la Campari chioschi e architetture pubblicitarie, ideando delle vere e proprie opere d’arte con l’aiuto dell’azienda: il libro bullonato, ad esempio, venne realizzato proprio grazie all’aiuto di Davide Campari. L’insegnamento l’artista lo traeva dai musei, dalle grandi opere del passato, perché tutta l’arte dei secoli passati, secondo Depero, era improntata all’esaltazione (del guerriero, del religioso, delle cerimonie, delle vittorie), in chiave pubblicitaria.

L’arte pubblicitaria, secondo il futurista, poteva poi essere piazzata dovunque, per terra, sui muri, nei treni, nelle vetrine, ed essere colorata, moltiplicata, non sepolta nei musei, ma viva.

Quindi le aziende dovevano avere l’intelligenza strategica di usare il valore artistico della funzione pubblicitaria per costruire qualcosa di unico sul mercato e distinguersi in ogni dove.

La scuola dell’Art Decò fu fondamentale: le linee potevano e dovevano essere diagonali, le lettere grandi e maiuscole, la novità doveva catturare l’attenzione. Depero applicò queste innovazioni per la Davide Campari, ma anche per Unica, Strega, San Pellegrino, Presbitero, Schering, non limitandosi al disegno, ma a riflettere gli umori politici del Paese, le nuove prospettive verso un’arte unica.