Esistono posti nel mondo che sono l’universo, posti che sono il cielo, posti che stanno da qualche parte che un po’ somiglia alla realtà, e un po’ no. Posti incantati che, quando si ha la fortuna di visitarli, fanno venire voglia di mollare tutto e di trasferirsi lì.

È il caso dell’Isola di Ortigia, la parte più antica di Siracusa, un fazzoletto di terra di un chilometro quadrato, in cui sono racchiusi millenni di storia, affiorati dalle acque del Mar Ionio. Per la posizione geografica e la presenza di acque e sorgenti, questa terra fu oggetto di conquiste delle diverse dominazioni che si sono succedute in Sicilia: greci, romani, svevi, aragonesi e arabi, la cui storia è tutt’oggi narrata dagli splendidi palazzi e dai monumenti incastonati nelle viuzze dell’isola.

Le dimensioni contenute di Ortigia la rendono perfettamente a misura d’uomo e adatta per essere girata a piedi, per assaporare la sua atmosfera e perdersi nei quartieri in cui è suddivisa: Bottari, Cannamela, Castello Duomo, Gancia, Giudecca, Graziella, Maestranza e Marina, solo per citare alcuni dei più famosi. Tutti sono caratterizzati da una luminosità incredibile, data dalla pietra calcarea utilizzata per le costruzioni, e custodiscono dei veri e propri tesori.

Basti pensare alla Cattedrale della Natività di Maria Santissima, situata in Piazza Duomo, il cuore pulsante di Ortigia, e che si può considerare uno dei simboli di quella stratificazione culturale e artistica che in Sicilia mescolò arte greca, normanna, bizantina e barocca. A un tempio originario eretto nel VI secolo a.C., si sostituì il Tempio di Atena (o Minerva), innalzato in onore della dea dal tiranno Gelone, dopo la grande vittoria di Imera (480 a.C.) contro i Cartaginesi. Successivamente, nel VII secolo, all’epoca del vescovo Zosimo, il tempio di Atena fu inglobato in un edificio cristiano, dedicato alla Natività di Maria.

Forse trasformata in moschea durante la dominazione araba, la chiesa fu poi rimaneggiata in epoca normanna. Il terremoto che nel 1693 investì il Val di Noto causò vari danni, tra cui il crollo della facciata. La facciata attuale fu realizzata fra il 1728 e il 1754 dall’architetto palermitano Andrea Palma, e si può ritenere una delle migliori testimonianze barocche di Siracusa, nonché uno degli elementi che contribuisce a rendere la piazza in cui si staglia una delle più belle e scenografiche d’Italia.

E, nell’isola di Ortigia, c’è anche un luogo dove mito e realtà si incontrano: un luogo che, nel corso dei secoli, ha affascinato poeti e scrittori, e che tutt’ora toglie il fiato a chiunque si trovi a passare qui davanti. Stiamo parlando della Fonte Aretusa, una sorgente d’acqua dolce che giunge per via sotterranea sino all’Isola per poi sgorgare a qualche metro dal mare, creando un piccolo laghetto semicircolare gremito di anatre e pesci e dove trionfa il verde. Ad accrescere la sua particolarità c’è anche il fatto che si tratta di uno dei pochissimi luoghi in Europa dove il papiro cresce spontaneamente: e infatti nella tradizione locale viene chiamata anche "a funtana re papiri".

La fonte è dedicata al mito più famoso di Siracusa, quello della ninfa Aretusa. Secondo la mitologia, la bellissima giovane era oggetto dell'amore di Alfeo, ma non ricambiava il suo sentimento, anzi rifuggiva da lui. La fuga di Aretusa da Alfeo è splendidamente raccontata da Ovidio nelle Metamorfosi, dando voce alla ninfa stessa:

Ma io, con forze inferiori, non potevo più reggere la corsa, e lui era in grado di sopportare una lunga fatica. E tuttavia corsi per pianure e monti alberati, e per rocce e per rupi, anche dove non c’era una strada. Avevo il sole alle spalle: ho visto arrivarmi davanti un’ombra lunga – ma forse la vedeva il terrore.

Un giorno Aretusa, stanca dell’insistenza dell’uomo nel corteggiarla, chiese aiuto a Diana, che le fece perdere le sue sembianze umane e l’avvolse in una spessa nube, trasformandola in una fonte sul lido di Ortigia. Alfeo non riusciva però a rassegnarsi all’idea di aver perduto il suo unico amore: Giove ne ebbe pietà e lo trasformò nel fiume che sgorga nel porto grande di Siracusa, così da rimanere per sempre accanto alla sua amata.

Alla fonte è legato anche un aneddoto che ha come protagonista Horatio Nelson. Nel 1798 egli sostò a Siracusa prima della battaglia di Abukir contro Napoleone Bonaparte e qui scrisse: «Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua, e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa, la vittoria non ci può mancare». Una premonizione che si avverò e quando dopo due anni l’ammiraglio tornò a Siracusa, fu insignito della medaglia d’oro dal Senato, che gli offrì anche la cittadinanza onoraria.

E la Fonte Aretusa fu celebrata anche da uno dei grandi poeti del Novecento italiano, Salvatore Quasimodo, nato e cresciuto non molto distante da Siracusa, a Modica, e che rimase sempre profondamente attaccato alla sua terra natale. Bellissimi sono i versi della sua poesia Seguendo l’Alfeo:

…Io non cerco che dissonanze Alfeo, qualcosa di più della perfezione. …Non un luogo dell’infanzia cerco, e seguendo sottomare il fiume, già prima della foce di Aretusa.

Nell’opera di Quasimodo, la creazione di un mito di sé e insieme l’attenzione costante nei confronti del patrimonio mitologico della civiltà classica si associano saldamente alla rievocazione della propria terra natale in un fecondo intreccio tra memorie autobiografiche e collettive, tra nostalgia dell’isola e fascinazione del mondo greco, tra stratificazioni memoriali sedimentate nel tempo, miti e mitizzazioni. Tanto sarebbe ancora da dire riguardo ad Ortigia, alle sue meraviglie, ai suoi miti, al suo fascino senza tempo. Anche se nessuna descrizione riuscirà mai a rendere le sue innumerevoli ricchezze, che spuntano all’improvviso davanti ai nostri occhi provocando in noi un misto tra meraviglia e stupore. E una volta lasciata quest’isola, non si può che provare una vera gratitudine nei suoi confronti: gratitudine per averci ricordato cos’è la bellezza, quella bellezza che fa quasi piangere e che merita di essere condivisa ovunque.