Ho deciso senza esitazioni: questo mese vi porto in Ucraina. No, non nel presente tragico e buio, ma in un paese che ho visitato più volte e che tante splendide sensazioni ed emozioni mi ha regalato- per tacere degli incontri umani, il fattore più dirimente di ogni viaggio intrapreso. Non esprimerò pareri sulla situazione attuale, né sui politici di nessun paese: in questo specifico contesto voglio solo raccontarvi dei luoghi che mi hanno accolto e di quello che il paese mi ha regalato.

Mi son recato per la prima volta in Ucraina quando era ancora necessario richiedere il visto, prima della Rivoluzione Arancione e quando la sensazione di tutti era ancora di trovarsi in Unione Sovietica. Ai margini della dirompente metamorfosi economica e sociale della Russia di Putin, stiracchiata e contesa tra Oriente e Occidente, smaniosa di far parte del mondo che conta ma tristemente afflitta da burocrazia e corruzione soffocanti, l’Ucraina mi apparve come un residuato storico sfuggito alla Cortina di Ferro e catapultato erroneamente nel nuovo millennio. Niente a che vedere coi paesi dell’ex Patto di Varsavia, rapidamente tarati su standard capitalistici e prontamente inglobati nell’Unione Europea dopo decenni di asfissiante vassallaggio comunista. In Ucraina c’era solo la voglia di spiccare il gran salto, che però appariva davvero una chimera irraggiungibile.

Ricordo nitidamente l’atterraggio a Kiev, la temperatura rigida così distopica poiché rapportata all’inverno gentile di casa mia; e il colbacco dell’ufficiale di frontiera che manco comprendeva l’inglese, l’arcigno controllo del visto, l’immancabile tensione in attesa del timbro-ovviamente sull’ultima pagina del passaporto, chissà perché poi- e poi fuori dall’aeroporto la corsa su di un autobus per le strade di un’Europa che tale era soltanto per il Diritto Internazionale. Di bancomat nemmeno l’ombra, si cambia nei bugigattoli in centro-impiegati scontrosi, che controllano scrupolosamente gli Euro appena entrati in vigore, oggetti non identificati per me e per loro, la diffidenza reciproca di chi teme di essere imbrogliato amplificata dall’impossibilità di esprimersi in un idioma comune. Comuni, quelli sì, gli stereotipi: le vecchie Lada scassate, i parchi giochi fangosi a ridosso degli ingressi oscuri dei “Chruscevka”, le “babuske” coi fazzoletti in testa che trascinano le sporte con le ruote e gli uomini dai berretti sgualciti con le onnipresenti buste di plastica utilizzate al posto dei borselli. E la palpabile onnipotenza vessatoria della “Mylitsia”, l’architettura mastodontica, e la religiosità e la cultura che indomabili trasudano da teatri con programmi illeggibili (ma i prezzi delle serate sono indubitabilmente irrisori) e da edifici religiosi che lo stalinismo ha umiliato e offeso e che oggi figurano tra le imperdibili mete da visitare- questa è la vera nemesi, non il McDonald’s col menu inintelligibile reso in lingua locale. Primo, vero problema: qua si parla russo o ucraino? “Entrambi”, mi dicono dei ragazzi giovani, che mi hanno adocchiato come variabile impazzita del Khreschatyk, l’elegante viale principale del centro e ne approfittano per sciorinare un inglese assai corretto. Eccole le nuove generazioni, inglese e passaporto, laptop e 20 ore di bus per “leuropa”, pronti a giocarsela al di là dal confine alla pari coi loro coetanei. “Qui russi e ucraini convivono da sempre, pacificamente, al netto di qualche scazzottata dovuta più a ubriacature moleste che a questioni politiche” – ai tempi si poteva sorridere tutti insieme sull’assunto. Sacro e profano si intersecano inscindibilmente nel sito Unesco del Lavra, il Monastero fondato in alcune grotte nel 1051 dai monaci Teodosio ed Antonio. Il luogo più sacro d’Ucraina, dove tortuosi cunicoli (munitevi di candela prima di accedere) vi menano tra gli scheletri dei frati ma nei cui spazi all’aperto la travolgente bellezza delle donne locali trasfigura in dogma quel che è leggenda tra i viaggiatori: niente battutacce o commenti di cattivo gusto però, è una sensazione straordinaria anche il ravvisare un canone estetico così diverso da quello a cui sono normalmente abituato. E poi gli ori degli Sciti, un popolo nomade dell’Asia centrale la cui straordinaria civiltà è testimoniata in un’ala dello stesso Lavra contenente dei monili in oro realizzati dagli artigiani di queste genti di cui tutt’ora molto rimane da svelare- badate che c’è da pagare un ulteriore biglietto per visitare questi capolavori, e non vi venga in mente di risparmiare proprio ora perché vi perdereste delle vere opere d’arte!

La vista dalle terrazze del complesso è mozzafiato, le acque del Dnepr ora gelide pronte a mutare luoghi di ritrovo al sopraggiungere dell’estate. Nessuna capitale del mondo potrà mai sintetizzare lo spirito di un paese: poco importa quanto essa sia straordinaria, è sempre necessario spingersi oltre il principale aeroporto e scandagliare villaggi, spiagge, montagne… tutto ciò insomma che caratterizza quei confini e che vi aspetta al di là delle destinazioni normalmente più conosciute.

Odessa è forse la città più multiculturale d’Ucraina: una nutrita comunità ebraica-quasi integralmente sterminata dalla barbarie nazista- animava e arricchiva le rive del Mar Nero, convogliando a ridosso della propria sontuosa architettura lavoratori da tutto il paese: oggi i commerci non sono più fiorenti come un tempo ma il porto di Odessa è tuttora una delle principali attività commerciali della città. “Mama Odessa” appunto, era chiamata perché sosteneva quasi con affetto chi avesse deciso di sfuggire a una vita grama cercando lavoro nel fermento culturale ed economico locale. D’estate spiagge e locali sono la meta di giovani e meno giovani che approfittano di temperature mediterranee, mentre la pedonale via centrale, Vulytsia Derybasivska, presenta intriganti retroscena storici per noi italiani- e un magnete irresistibile per tutti: negozi, locali, ristoranti. Il vicino teatro offre un cartellone musicale di livello ma è probabilmente la Scalinata Potiomkin a provocare maliziosamente gli “shutter” degli apparati fotografici. 192 gradini per dieci rampe, opera dell’architetto italiano Francesco Carlo Boffo, è stata immortalata sempiterna da uno die più famosi film muti della storia del cinema: “La Corazzata Potemkin” di Sergej Eizenstein, anche se sono sicuro che quasi tutti la conoscono più che altro grazie alla nota parodia fantozziana.

Ora, trovandoci sulle rive del Mar Nero, non potrei esimermi dal raccontare delle bellezze della Crimea: una penisola la cui bellezza riecheggia con la complessità della propria storia. Leggenda vuole che Krusciov, il leader sovietico succeduto a Stalin, avesse concesso la sovranità sulla regione in questione alla Repubblica Socialista d’Ucraina perché ubriaco. Di certo, questo lembo di territorio non molto esteso ma che presenta un mare strepitoso, montagne sorprendenti e monumenti straordinari è un pomo della discordia costante tra Russia e Ucraina. E’ la base navale di Sebastopoli la vera ragione del contendere: di fatto rampa di lancio per l’accesso della flotta russa al Mediterraneo Occidentale, la Crimea è imprescindibile per le geometrie geopolitiche del Cremlino, una necessità che ha condotto a tensioni, accordi bilaterali, scontri armati e che attualmente rappresenta una questione dirimente di Diritto Internazionale: i russi la hanno annessa militarmente (un referendum farsa ha avallato la posizione di Mosca) ma gli ucraini la considerano ancora come un territorio appartenente a loro. La complessità delle vicende attuali non lascia intravedere facili soluzioni. Ed è un vero peccato, perché baie, insenature, coste e cittadine turistiche sono senza dubbio il fiore all’occhiello dell’intera stagione balneare di tutto il Mar Nero: nel bacino in questione solo da queste parti le acque regalano sfumature che ricordano ben altre destinazioni, con dirupi scoscesi che si tuffano nel blu e foreste e montagne ad allestire una trama che non manca di ammaliare ciascun visitatore giunto in zona. Il palazzo, sontuoso, dove Roosevelt, Churchill e Stalin hanno posto le basi per il secondo dopoguerra è visitabile a Livadija, nei pressi di Jalta, dove le spiagge sono gremite di famiglie attrezzate con cuffie e ciambelloni e dove i più scalmanati trascorrono quel tipo di estati che caratterizzano il sacro fuoco della giovinezza. Ah, non mancate il “Nido di rondine”, un palazzo che è di fatto un castello la cui posizione non potrebbe essere più scenografica. Sciti, tatari, genovesi, mongoli, turchi: troverete tracce di questi (ed altri) popoli che hanno combattuto per il possesso di queste terre, squassate da sanguinose battaglie durante i conflitti mondiali e che oggi sono minacciate da ulteriori, analoghe vicende.

Ma è il cuore d’Ucraina quello che mi ha colpito ancor più: non rientra tra le principali mete turistiche del paese, ed effettivamente ci vuole un interesse specifico per recarsi in questi remoti recessi. In verità basterebbe qualche “stopover” lungo la direttrice Kiev-Odessa, però appunto è necessaria una preventiva, accurata preparazione. Quando si giunge a Berdychiv, un’anonima periferia schiude al guidatore uno dei più antichi cimiteri ebraici d’Europa: sfuggito alla furia nazista, presenta (abbandonate all’incuria, i discendenti dei defunti non vivono più in zona) delle tombe originali squisitamente lavorate al cui valore monumentale fa da contraltare la totale indifferenza dei residenti locali. Berdychiv ha pagato un alto tributo alla ferocia nazista-nei pressi della cittadina sono individuabili memoriali predisposti laddove un tempo le fosse comuni venivano riempite da uccisioni di massa- ma presenta un irresistibile richiamo per chi ama la letteratura! Una chiesa dimessa ed anonima passerebbe del tutto inosservata se non fosse che proprio al suo interno fu celebrato il matrimonio tra Honorè de Balzac e Madama Hanska: l’autore della monumentale “Commedia Umana” fece un viaggio massacrante, che avrebbe accelerato la sua prematura dipartita, per sposare la donna di cui era stato innamorato sin dal primo incontro-sulla facciata della chiesa campeggia un busto dello scrittore con annessa breve spiegazione della vicenda. A Berdychiv sono inoltre nati due mostri sacri come Joseph Konrad e Vasilj Grossman: la casa natale del grande viaggiatore è un museo situato all’interno di un complesso religioso. Un museo alquanto sui generis, in verità: l’accesso è gratuito ma solo se riuscite a incocciare una delle suore che vivono nel complesso in questione. Abbiate fede- e pazienza- e prima o poi una di loro vi schiuderà le porte di una casa che non può essere ovviamente la costruzione originale ma insomma è qui che nacque davvero chi ha poi scritto “Cuor di tenebra”.

Non vi sono, invece, tracce concrete del tormentato cronista che ha seguito l’incedere dell’Armata Rossa fino a Berlino: Grossman fu tra i primi civili a scoprire l’inferno di Treblinka, rinnegò poi il comunismo e non vide mai il successo del suo capolavoro “Vita e Destino”, la cui trafila per la pubblicazione costituirebbe di per sé uno splendido soggetto per una Spy Story eccezionale.

Però ecco la cittadina è tranquilla, vi si trova un eccellente ristorante georgiano e vi aleggia appunto un senso della storia e della conoscenza tale da meritare un’apposita sosta.

Sento che la città di Zhytomyr, a pochi chilometri da Kiev, è costantemente oggetto di attacchi da parte dell’artiglieria russa: sorrido amaramente, perché in città permane uno dei pochi monumenti commemorativi al sacrificio profuso dall’Armata Rossa durante la Grande Guerra Patriottica (i sovietici hanno definito ufficialmente in questi termini il Secondo Conflitto mondiale). Due carri armati, pare originali, campeggiano in una delle piazze principali, mentre nel locale parco cittadino a ridosso del fiume sono stati installati aeromobili civili e militari sempre di fabbricazione sovietica. Una piacevole gita andata e ritorno in giornata da Kiev, insomma; perlomeno lo era…

Ho visitato anche Chernobyl, la famigerata centrale, e ovviamente Prypyat, la cittadina modello dell’intera galassia sovietica che invece si rivelerà l’eterno memento di una delle tragedie più grandi della storia dell’umanità. Presumo che alcuni di voi se lo stiano chiedendo, e dunque rispondo di sì: ci si espone alle radiazioni, ma pare che siano le stesse che si assorbono durante un volo intercontinentale. Ho deciso di crederci, e così ho potuto visitare la centrale ovviamente, ma anche le rovine dell’idroscalo, gli appartamenti abbandonati, i viali divorati dalla vegetazione, il luna park che avrebbe dovuto entrare in funzione a qualche giorno dopo il disastro e poi le scuole coi banchi, le seggiole e i manifesti della propaganda; e il campeggio estivo e il cinema e l’ipermercato e l’hotel mastodontico, tutti emblemi di un sogno abortito irreparabilmente.

Ora io mi chiedo se e quando potrò tornare in un paese che tanto mi ha sorpreso e coinvolto, ma soprattutto cosa potrei ritrovare di quanto vi ho raccontato.

Quanto ci vorrà per sminare il territorio? Quanto sarà ancora in piedi? Perché a prescindere dall’esito dell’attuale conflitto è chiaro che l’Ucraina non sarà mai più quel contesto d’altri tempi che io ricordo: le strade assolate nella pianura, gli agglomerati dormienti nella campagna, quella commissione di Unione Sovietica e voglia d’Occidente così perfettamente calibrata da sembrare destinata a un equilibrio inscalfibile, e invece cancellata come tanto altro dagli eventi a noi noti. Tornerò a visitare l’Ucraina…