Iniziare una relazione oggi è diventato complicatissimo. Non sto parlando di coltivare o far funzionare un rapporto. No: parlo di iniziarlo un rapporto, andare oltre le prime settimane. Colpa delle app di dating? Colpa del narcisismo imperante? Colpa della velocità e dell’atteggiamento mordi e fuggi dilagante? Colpa del covid? La risposta a mio parere è sì un po’ a tutti questi motivi.

Trovo però che le app di dating siano - e siano state -un’opportunità utile e salvifica per molti. Il narcisismo e il mordi e fuggi sono sempre esistiti. Il covid tuttavia ha dato il colpo di grazia ad un’area, quella delle relazioni amorose, già in sofferenza da anni. E lo ha fatto a vari livelli.

Certamente la paura del contagio l’ha fatta da padrone e le persone si sono abituate a sostituire incontri galanti con passeggiate nel parco e primi appuntamenti senza baci. Cosa che avrebbe anche potuto apportare un approfondimento nelle relazioni. Ma per molti non è stato così. Il contagio fisico è solo la punta dell’iceberg. Ci sono state tante malattie prima del covid che non hanno impattato psicologicamente allo stesso modo. Ancora oggi, per esempio, le malattie sessualmente trasmissibili mietono molte vittime, anche se non se ne parla più molto. Ma l’eredità del covid più che in altri casi mi pare essere la diffidenza. Brutta bestia la diffidenza: che è peggio dell’assenza di fiducia, è proprio la convinzione che l’altro sia in malafede e che quindi sia meglio restare chiusi, sulla difensiva. Capite bene che questo ingrediente in una relazione d’amore è tossico.

Pare stia emergendo una vera e propria fobia sociale, definita FODA (fear of dating again), una sorta di isolamento per scelta anche quando la fine del lockdown permetterebbe di riaprirsi agli incontri. Paura, ansia sociale, sfiducia, diffidenza, il timore di perdere quel po’ di equilibrio conquistato e il dubbio sul futuro: cosa accadrà in autunno? Ci saranno nuovi lockdown? Meglio non rischiare, meglio ritirarsi.

Un’altra forma particolare che sto riscontrando nel mio osservatorio privilegiato, come psicoterapeuta e formatrice, è anche l’atteggiamento opposto al precedente: una sorta di fame bulimica di relazioni, come a recuperare il tempo perduto negli ultimi due anni. E allora ecco che ci si interessa ad una persona e per le prime settimane il mix di curiosità, eccitazione e novità crea una bomba neurormonale di dopamina, endorfine, adrenalina, estrogeni e testosterone che fanno partire a razzo una storia che in realtà è un piccolo germoglio fragile, ancora da scoprire.

E allora via con i fine settimana insieme, le convivenze lampo, le valigie portate subito a casa dell’una o dell’altro, i progetti di vacanze e poi da un giorno all’altro, dopo uno o due mesi, tutto finisce, si sgonfia dalla sera alla mattina, come se nulla fosse stato vero, come se ci si fosse accorti che il giochino non è più così divertente. Che ci si guardi e ci si renda conto che si è due estranei o che uno dei due sparisca, facendo ghosting, cambia l’intensità delle ferite ma il dolore è lo stesso. E la relazione successiva ricalca più o meno lo stesso copione.

Tutto questo è un vero peccato. Perché abbiamo tanto bisogno di relazioni nutrienti e gli ultimi anni ci hanno davvero deprivato profondamente nei nostri bisogni di appartenenza, accoglienza, amore e reciprocità.

Ma c’è qualcosa, qualcosa di più, che il covid ha fatto alle persone e che ancora non è stato elaborato, né a livello personale né a livello sociale.

Il covid ha squassato gli esseri umani alla radice dei propri punti di riferimento e li ha ribaltati come calzini, mettendo tutti di fronte agli incubi peggiori. Prima, la paura della morte. Poi, l’isolamento forzato. La paura della solitudine. L’incertezza del futuro. La perdita della routine quotidiana rassicurante. Poi il doversi equipaggiare per tutto questo, volenti o nolenti. Pian piano accorgersi che forse sì, in qualche modo possiamo farcela a sopravvivere anche da soli, forse stiamo anche benino. E allora inaspettatamente arriva la paura di tornare “fuori”, la paura che incontrare di nuovo “l’altro” sia pericoloso, destabilizzante. “Ok voglio una relazione ma lei/lui adesso deve incastrarsi nelle mie esigenze, deve essere così o colà, se no niente”.

Amare vuol dire aprirsi. Amare vuol dire accogliere. Amare vuol dire fidarsi. Amare è l’opposto della paura.

E il covid - e la comunicazione riguardo al covid - ci ha terrorizzati, ci ha chiusi, ci ha resi diffidenti ed egoriferiti.

Chi desidera e cerca una relazione oggi, adolescente o adulto, sta camminando su un campo minato: serve una mappa che restituisca i punti di riferimento, i valori cardine, le segnalazioni di pericolo, i vicoli ciechi, le direzioni obbligate.

È quello che io cerco di fare nei miei percorsi di gruppo e individuali, ma credo che serva una riflessione più ampia, sulle drammatiche conseguenze che questa pandemia ha lasciato, una riflessione sociologica, che non riguardi solo l’economia e le risorse materiali ma che guardi all’impoverimento culturale e alle ferite nell’anima delle persone.