Era un economista rigoroso e appassionato. Era un uomo libero, seguiva le sue idee e usava la sua scienza economica non come fine a se stessa. Non cercava coerenza interna delle teorie economiche, era interessato alla società, per lui l’economia doveva servire a migliorare la società e a diminuire le diseguaglianze.

Con queste parole Giovanni Tria, professore onorario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata, ha ricordato Jean-Paul Fitoussi, uno dei migliori economisti di questi nostri tempi inquieti e difficili, morto poco tempo fa (il 15 aprile 2022, per l’esattezza) e a cui vorrei dedicare questi miei pensieri sparsi.

Il discorso di Tria è stato pronunciato in occasione dell’evento “In ricordo di Jean-Paul Fitoussi, un economista non dogmatico” svoltosi durante il Festival dell’Economia di Trento (2-5 giugno 2022). E la parola “passione” è stata un po’ il fil rouge degli interventi che dal palco del teatro Sociale di Trento hanno ricostruito la vita e la carriera di Fitoussi: francese, ma che aveva un legame fortissimo con il nostro Paese (tant’è che la notizia della sua morte è forse arrivata prima in Italia che in Francia).

L’umanesimo, la lotta alla concezione tecnocratica dell’economia, l’insufficienza del PIL come strumento di misurazione dello sviluppo economico, la necessità che l’economia (la cosiddetta “scienza triste”) guardi più alle persone che non all’accumulazione del denaro: sono questi gli assi portanti del pensiero di Fitoussi, che tanta risonanza hanno avuto nel dibattito europeo degli ultimi decenni. E proprio la centralità di queste tematiche nel suo pensiero spiega come egli sia stato l’ispiratore della “Commissione per le performance economiche e il progresso sociale”, insieme ai Premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen, nominata nel 2008 dall’allora Presidente Nicholas Sarkozy, insoddisfatto dello stato attuale dei dati statistici riguardanti l'economia e la società.

I lavori della Commissione propongono di dare una svolta radicale del pensiero economico verso la cosiddetta “economia giusta”, “circolare” e “civile” e la sostenibilità ambientale e sociale. Un terreno in cui si incontrano il pensiero di Papa Francesco, le elaborazioni di vasti settori della migliore letteratura economica e, dopo la Grande Crisi finanziaria del 2008, l’impegno sulla sostenibilità ambientale e sociale di potenti istituzioni economiche.

Fitoussi, di questo mondo, è riferimento essenziale. E l'obiettivo dei lavori della Commissione da lui presieduta è stato quello di individuare i limiti del PIL come indicatore del rendimento economico e del progresso sociale, compresi i problemi della sua misurazione; di esaminare quali ulteriori informazioni possono essere individuate per la produzione di indicatori più rilevanti del progresso sociale, valutando la fattibilità di strumenti di misura alternativa, e di discutere su come presentare le informazioni statistiche in modo adeguato.

Del resto, basta leggere alcuni dei suoi scritti per capire quanto per lui fosse limitante il concetto di PIL, e inadeguato a comprendere la complessità della realtà economica contemporanea:

La crescita del Pil si è accompagnata a una profonda miseria sociale e la deregolamentazione dei mercati è stata il preludio al loro peggior funzionamento dai tempi della crisi degli anni Trenta del Novecento. Non sono stati accesi i lampioni giusti e si è cercato di agire a partire da una rappresentazione teorica del mondo che non aveva molto a che fare con il mondo reale, fissando obiettivi relativamente mal misurati (il Pil, per esempio) e non veramente importanti per la società.

Insomma:

Il Pil sarebbe una misura economica utile se riuscisse almeno a rendere l’idea della distribuzione della ricchezza di una nazione. Però il Pil può avere segno positivo anche quando l’80% della ricchezza va all’1% della popolazione. L’economia è in espansione solo quando l’aumento del benessere è distribuito tra la maggioranza della popolazione.

Sono riflessioni che si ritrovano in un libro che vale la pena leggere, Misurare ciò che conta. E ciò che conta davvero è il benessere, scritto da Stiglitz, Fitoussi e Martine Durand e pubblicato nel 2021 da Einaudi. Non tanto e non solo il Pil, ma il BES (l’indice che misura il Benessere Equo e Sostenibile, è stato messo a punto dall’Istat e fa già da riferimento per la scrittura delle leggi Finanziarie italiane), non tanto la quantità della crescita economica (comunque necessaria, contro le illusioni della cosiddetta “decrescita felice”) quanto soprattutto la qualità dello sviluppo, con una forte attenzione ai temi della salute, dell’istruzione, dell’inclusione sociale, della sicurezza sul lavoro e della partecipazione di giovani e donne ai processi produttivi e sociali.

Fitoussi era un europeista convinto, anche se fu subito critico nei confronti dell’impianto neoliberale della nuova Unione europea. E questo tema è al centro di uno dei suoi libri più importanti, Il dibattito proibito (1997), nel quale riflette sul progressivo appiattimento di un discorso pubblico marcato da un pensiero unico. che non lasciava spazio a visioni alternative sulla forma da dare alla nuova Europa.

Il pensiero unico a cui si riferisce l’economista francese è quello che ha lungamente privilegiato la virtù monetaria e la disinflazione, a scapito della perdita di velocità della crescita economica e della conseguente disoccupazione. Tutto ciò avviene sullo sfondo in cui agiscono fattori come l'incremento della tecnologia e l'acuirsi della concorrenza internazionale. Secondo Fitoussi, la causa principale di tutto questo è da ricercarsi nella "tirannia finanziaria", che ha imposto tassi d'interesse troppo alti e una eccessiva rigidità delle politiche economiche.

Con la pandemia di Covid-19 e la svolta europea del “Recovery Fund”, si era preso una sorta di rivincita, lui che per anni aveva criticato l’austerità e la mancanza di stimoli miranti a far crescere l’economia. In una recente intervista rilasciata a Le Monde aveva dichiarato:

I politici sono costretti a prendere le misure che per decenni hanno deriso.

Del resto, aveva sempre avvertito del pericolo che sui correva a voler affrontare la complessità dei tempi presenti solamente affidandosi alle misure già conosciute e sperimentate. A proposito di questo, in uno dei suoi libri più noti, Il teorema del lampione (Einaudi, 2007), dove esaminava i meccanismi della crisi finanziaria mondiale del 2008 e metteva in guardia dell’irragionevolezza di voler affrontare l’avvenire cercando soluzioni solo sotto il “cono di luce” del passato:

È come l’ubriaco che cerca le chiavi non dove le ha perdute, ma dove c’è la luce del lampione.

Mai allineato, mai sostenitore di posizioni precostituite, forse uno dei lasciti più importanti di Fitoussi è stato quello di erigere il rigore e l’indipendenza di giudizio come i propri pilastri. Portare sempre avanti il proprio ragionamento, in maniera scientifica e rigorosa, e prestare sempre attenzione al pensiero altrui, con la conseguente capacità di mettere in discussione le proprie idee. Uno dei modi migliori per far continuare a vivere Jean-Paul Fitoussi è probabilmente quello di mantenere sempre la propria indipendenza di pensiero.