La vita nuova
arriva taciturna
dentro la vecchia vita
arriva come una morte
uno schianto
qualcuno che spintona così forte
un crollo.

(Da La bambina pugile di Chandra Livia Candiani)

Esiste la saggezza di chi ne sa di più ed esiste la saggezza di chi ne sa di meno ma non ha pregiudizi, pensa Philippe Kratz che attinge da entrambe. Nato nel 1985 a Leverkusen, dove scorre il Reno, le vive entrambe, queste saggezze. A trentasei anni è giovane e guarda ai maestri, a trentasei anni non è giovane e guarda ai ballerini di Midnight Youth, presentato in prima nazionale alla terza edizione del festival Nutida Nuovə danzatrici/ori, che di anni ne contano ventuno, ventidue, al massimo ventotto.

Con un rond de jambe che parte dalla folgorazione per il tanztheater tedesco, conosciuto grazie alla pedagoga e coreografa Suheyla Ferwer, che prosegue con lo studio all'École Supérieure de Danse du Québec di Montréal, alla Staatliche Ballettschule di Berlino, con il diventare solista della Compagnia Aterballetto, e culmina nella ricerca coreografica, Philippe Kratz è nel pieno di un processo creativo basato “sulla coesistenza dell’improvvisazione e di una struttura fortemente concettuale”. Phoenix del 2017 è una tappa saliente del suo percorso: “La musica originale del brano, composta dal cantautore italiano Borderline Order, non informa necessariamente la musicalità del movimento, ma ne esalta il significato e l'acutezza”.

Nel 2018 crea O, con la danzatrice Ivana Mastroviti, come reazione a una conferenza stampa del 2017 tenutasi a Hong Kong tra due robot umanoidi. Il duetto ha vinto il Concorso coreografico di Hannover e una residenza all'Australian Dance Theatre. Nel 2019 Kratz è stato premiato come “miglior coreografo” dalla rivista italiana Danza&Danza per il suo lavoro corale “cloud-materia”, ispirato agli scritti di Anni Albers, saggista tedesca, tessitrice e designer del Bauhaus.

“Dobbiamo scendere sulla terra dalle nuvole dove viviamo nella vaghezza e sperimentare la cosa più reale che ci sia: il materiale” sono le parole di Albers che risuonano con potenza nelle creazioni di Kratz: per lui non c'è un modo migliore di esprimere l'esistenza umana che attraverso un intenzionale sforzo fisico.

Ammirato e premiato per il talento, il danzatore e coreografo ha realizzato e sta realizzando opere con Aterballetto, Gauthier Dance Company, Nuovo Balletto di Toscana, Wiener Staatsballett, Bayerisches Staatsballett e il Teatro alla Scala di Milano.

Per la fortuna sua e di chi lo incontra gli è toccata in sorte anche una vera gentilezza.

Midnight Youth è ispirato ad alcuni versi della raccolta La bambina pugile di Chandra Livia Candiani. “Speriamo di fare onore a questa poesia” dice Kratz durante le prove al Festival Nutida, pieno di contentezza per la capacità dei danzatori Cristina Acri, Matteo Capetola, Matilde di Ciolo, Veronica Galdo, Niccolò Poggini.

Nutida, un nome evocativo, che contiene NU di nuovi, UT di utopia, DA di danzatori e che in svedese significa contemporaneo, si è concluso il 20 luglio al Pomario del Castello dell’Acciaiuolo di Scandicci. Con la direzione artistica di Cristina Bozzolini e Saverio Cona (produzione Stazione Utopia con il sostegno di Mic, Città metropolitana di Firenze e Comune di Scandicci nell’ambito di OpenCity 2022) propone spettacoli e studi ispirati alla relazione col luogo e i suoi abitanti nell’ora che precede il tramonto, senza l’artificio delle luci e del sipario, in un rapporto costante tra pubblico e artisti, sostenendo nuove leve di danzatori e accogliendo lavori pensati o riadattati per il cortile e i due prati del Pomario.

Una rassegna originale, dai numeri notevoli: ventuno titoli, ventotto repliche incluse nove prime nazionali, sei produzioni e due coproduzioni, 39 artisti meno che trentenni.

“L’invecchiare è un percorso solitario verso una fine che non conosciamo - scrive Kratz di Midnight Youth - una delle sue prime tappe è la gioventù, un momento fatidico che informerà il nostro sguardo sul futuro, sulla necessità dell’essere vivi e sulla nostra fame verso prime esperienze sorprendenti e nuove. Di questi attimi ci potremo nutrire durante tutta la nostra esistenza perché ci congiungono a quel che siamo l’uno per l’altro in modo viscerale e immediato. La notte in genere ha un’aria di pericolosità, di segretezza, di quiete o di un insieme di questi stati. Ma in sé porta anche la speranza nella nuova giornata, il potenziale di una morte che vuol far nascere. Il quintetto Midnight Youth (ovvero “la giovinezza di mezzanotte”) è un’ode al meraviglioso tempo sprecato che non tornerà più, agli attimi intimi di crescita, vuol essere un riconoscimento alle imprescindibili lotte solitarie, e perciò collettive, nel diventare adulti”.

Perché ispirarsi a La bambina pugile?

Sono versi molto intensi che si collegano al concetto di crescita e dell’invecchiare. E questa è l’idea che mi interessava, forse perché ora è il momento in cui ripartiamo, con un altro ritmo, dopo due anni di pausa. Da una parte abbiamo riflettuto su quello che è stato e come l’abbiamo vissuto, dall’altra c’è il sentirsi più maturi, invecchiati in qualche senso, da lì la riflessione sul tempo che passa. È, fondamentalmente, un discorso generazionale: mi chiedo sempre qual è il metro con cui misuriamo. La mia generazione è diversa da quella dei genitori, adesso a trent’anni spesso non si ha una famiglia, delle volte ancora si studia. E avverto un po’ la crudeltà… no, la crudeltà è forse troppo, ma un certo tipo di violenza della vita.

La bambina pugile rappresenta molto bene questo stato d’animo.

Come porta nella coreografia questa violenza?

Si cerca sempre di trovare una traduzione, non so se l’ho trovata. Non ho tradotto la poesia in modo letterale, non credo. In Midnight Youth c’è di sicuro un forte dinamismo e un rigore con il proprio corpo che in generale è quello che mi piace rappresentare sul palco con il mio lavoro e che, in questo caso, è stato influenzato anche dalla poesia della Candiani. Siccome i temi sono molto vasti e ricchi e in quindici minuti non si possono riprodurre alla perfezione, ho scelto una colonna sonora che smorzasse leggermente il pathos. La musica del cantautore americano Bradford Cox è meditativa, ma poi incalza e ha un ritmo molto preciso, rigoroso, però la melodia tocca delle corde nostalgiche, in qualche maniera allegre.

Perché c’è violenza nell’invecchiare, ma anche resistenza e un apprezzamento del fatto che comunque ci siamo. Invecchiare è un gran privilegio.

L’alternativa è nota.

Appunto.

Gli interpreti della compagnia del Nuovo Balletto di Toscana sono più giovani di me. E molto bravi. Sono felice. Ho voluto provare con loro anche la gioia nell’affrontare tutte queste difficoltà: gli attimi di evoluzione, la violenza del diventare adulti, del ritrovarsi persi, lo scoprirsi disorientati.

In questa circostanza lei è il più vecchio e li guida su una strada dove è un pochino più avanti.

Esatto! Sono un saggio [ride].

Un saggio di trentasei anni.

Qualcosa avrò imparato…

Un artista sta molto attento e impara di continuo, no?

Assolutamente. Cerco di tenere le antenne tese. Il lavoro di coreografo consiste molto nel confrontarsi. È indispensabile la relazione con persone più grandi, piene di esperienza, che ne sanno di più e hanno visto movimenti nell’arte che ci sono stati e stanno tornando. Ma, soprattutto nella danza, bisogna vedere il mondo anche con gli occhi di artisti molto giovani che hanno occhi saggi perché con meno preconcetti.

E questo mi arricchisce da morire.

Conosce Chandra Livia Candiani?

Non personalmente, ma ho letto di lei. Pratica il buddhismo e ne subisce molto l’influenza. Non ne so tanto, ma penso che nel buddhismo sia ricorrente l’idea di non rimanere troppo suggestionati da quello che succede intorno noi. Il distacco rende la Candiani un’ottima osservatrice, in grado di vedere le cose per quello che sono. Lei riconosce la violenza della quale parlavo poco fa, ma ne vede anche i benefici.

Di solito si lamenta il fatto che in Italia la danza non è valorizzata. È d’accordo?

Purtroppo, sì. La danza in Italia soffre. Non è riconosciuta come dovrebbe essere. Io vengo dalla Germania, un Paese fin troppo privilegiato dal punto di vista delle sovvenzioni, un Paese pieno di compagnie di danza, non solo di indirizzo classico. In Italia l’unica compagnia che ha i mezzi, anche per poter viaggiare, forse è l’Aterballetto. Non per togliere nulla alle altre che lottano, che cercano di aumentare le proprie qualità. È che in Italia manca proprio la possibilità di dare una prospettiva a una compagnia.

La vita nuova
arriva taciturna
dentro la vecchia vita
arriva come una morte
uno schianto
qualcuno che spintona così forte
un crollo.

Auguri di risorgimento alla danza italiana.