Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alcune settimane fa, in una delle sue valutazioni sull’invasione russa dell’Ucraina, non esitò a parlare di “genocidio” consumato da Putin ai danni del popolo ucraino. Quel termine suscitò perplessità e disapprovazione, tanto grave appariva quella definizione a proposito del progetto di Putin contro la sfortunata popolazione civile del più grande Paese europeo per dimensioni, dopo la Russia europea. Il termine genocidio da quel momento è stato usato sia da parte russa che da parte ucraina con riferimento alle operazioni militari nella regione del Donbass.

Per la popolazione ucraina non si tratta di una novità: negli anni ’20 del secolo scorso Stalin condusse una politica agraria che portò alla carestia con conseguente morte per inedia di quattro milioni di persone nella sola Ucraina.

Fu dopo la tragica esperienza del genocidio nazista della popolazione tedesca di religione ebraica, che l’Assemblea Generale dell’ONU adottò la risoluzione 96 dell’11 dicembre 1946, con la quale il genocidio veniva definito “crimine in base al diritto internazionale” e il divieto di commettere genocidio venne tradotto in norme di diritto positivo con l’adozione, da parte della stessa Assemblea Generale (risoluzione 260° (III) del 9.12.1948), della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, entrata in vigore il 12 novembre 1951 (ratificata dall’Italia con l. 11 marzo 1952, n. 153).

L’art. I della Convenzione afferma che “il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine in base al diritto internazionale”. Il successivo art. II fornisce la definizione della fattispecie: “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”. L’art. III dichiara punibili, oltre al genocidio, anche l’intesa mirante a commettere genocidio, l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, il tentativo di genocidio e la complicità nel genocidio.

Se si mettono a confronto le varie condotte che integrano il delitto di genocidio con ciò che accade ormai da mesi sul territorio ucraino si vedrà come esse siano state tutte ampiamente già consumate. La maggior parte degli obiettivi dei missili e delle bombe lanciate dagli invasori russi sono state civili abitazioni, o meglio interi quartieri popolari, stazioni ferroviarie, supermercati, strutture scolastiche e ospedaliere, convogli di fuggitivi. Il fine non è certamente di carattere militare, bensì quello di seminare morte e terrore tra la popolazione, fiaccarne la resistenza e costringere milioni di ucraini a lasciare la loro patria per trovare rifugio all’estero. A ciò si aggiungano le migliaia di stupri consumati sulle donne ucraine, considerate come legittimo oggetto di saccheggio. Su queste manifestazioni di barbarie, numerose sono le testimonianze e le denunce raccolte in questi mesi. Melinda Simmons, ambasciatrice britannica in Ucraina, a tal proposito ha dichiarato che “è chiaro che (lo stupro) era parte dell’arsenale russo. Donne stuprate davanti ai propri figli, ragazzine davanti alle famiglie, come atto deliberato di sottomissione”.

Orrore dopo orrore, si aggiunge la deportazione di migliaia di bambini verso la Russia, con destino ignoto. L’aggressione all’identità linguistica e culturale dell’Ucraina si completa con l’imposizione della lingua del Paese aggressore nel linguaggio ufficiale in vaste regioni del Paese e in particolare in quelle orientali.

Quello di cui si è detto sinora rimanda a ricordi tristissimi per quel Paese in tema di genocidio. È quello che avvenne tra il 1929 ed il 1933, quando ancora l’Ucraina faceva parte della Russia e Stalin decise di domare i Kulaki (i ricchi contadini che si rifiutavano di conferire i prodotti dei loro terreni nei kolchoz sovietici). La collettivizzazione forzata si risolse in una catastrofe economica senza precedenti. La repressione stalinista fu feroce. Migliaia di famiglie contadine vennero deportate (parte delle quali non sopravvisse agli stenti del viaggio), scoppiarono rivolte represse nel sangue. La repressione più feroce doveva ancora venire e fu quella adottata da Stalin quando decise di sterminare per fame una parte della popolazione rurale, non solo dell’Ucraina, ma anche del Don, del Kuban. Gli effetti furono devastanti, migliaia di contadini si ridussero alla fame più nera, arrivando a nutrirsi di bucce di patate, ghiande, topi e animali domestici, arrivando in qualche caso persino all’antropofagia. Il patrimonio zootecnico si ridusse notevolmente perché i contadini dovettero macellare e mangiare il bestiame. I morti furono migliaia, tanto da non essere più sepolti. I cadaveri restavano sulle strade, nei cortili, dentro le isbe. Holomodor fu il nome attribuito a quella devastante carestia che si abbatté sull’Ucraina dal 1932 al 1933, causando oltre quattro milioni di morti. In lingua ucraina e russa quel termine mette insieme fame e morte e quindi l’intenzionalità di procurare la morte per fame.

Nel marzo 2008 il parlamento dell'Ucraina e diciannove nazioni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico nell'Ucraina dei primi anni Trenta come atti di genocidio. Una dichiarazione congiunta dell'ONU del 2003 ha definito la carestia come il risultato di politiche e azioni “crudeli” che provocarono la morte di milioni di persone.

Il 23 ottobre 2008 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione nella quale ha riconosciuto l'Holodomor come un crimine contro l'umanità. In Ucraina, fu deciso di commemorarlo ufficialmente ogni anno al quarto sabato del mese di novembre e dal 2008 è stato aperto il Museo nazionale del Genocidio dell'Holodomor.

Stalin nascose agli occhi del mondo quel che avveniva all’interno del suo Paese. I soldati cercavano e requisivano il grano anche quello all’interno delle case, destinato al consumo famigliare. Il grande scrittore russo Vassilij Grossman (autore del più noto Vita e destino e di Stalingrado) descrive questa triste pagina della storia ucraina nel suo libro Tutto scorre…, portando a conoscenza del mondo quello che succedeva in quegli anni all’interno della Russia. “D’altra parte – sottolinea lo scrittore – la storia millenaria della Russia è stata una storia di servitù, di sudditanza al potere”, dalla quale – detto per inciso – non ne è ancora venuta fuori del tutto.