Ci sono luoghi poco conosciuti, ignorati dai più, nascosti tra le luci delle vetrine dei grandi store che ormai invadono il centro di Milano, sempre diverso, sempre più internazionale.

Ma tra uno store e l'altro si diramano le antiche viuzze milanesi, le cui vestigia affiorano da un passato lontano, dove le pietre potrebbero raccontare tante storie.

Ma qua in un meraviglioso cortile, come solo Milano ci sa regalare, nascosto dietro un enorme portone antico, c'è un portoncino, in un luogo magico, dove mille colori ti vengono incontro quando entri: è un luogo in cui l'arte la si fa, la si vive. È la bottega di Max, simile alle botteghe antiche: ci sono i colori, ci sono i cavalletti, le panche, i tavolati carichi di materiali e attorno pareti arredate con arte di tutti i tipi: libri, CD, ricordi, matite, pennelli, gessi, tele, carta di ogni forma e colore e antichi reperti di situazioni diverse e ormai trascorse. Ma il qui e ora è sempre una modella col corpo perfetto, in posizione armoniosa e aggraziata, che posa nuda sotto le luci che fanno splendere la sua pelle candida. Una musica scelta con cura e gusto prezioso e colto mentre il rumore leggero delle matite, dei gessetti o dei pennelli che scivolano sulla carta veloci e la graffiano con dolcezza, si dispiega in sordina.

È il momento magico in cui si creano le opere, in cui gli artisti esercitano la mano dimentichi del mondo e della loro vita, in un'atmosfera sfumata di attenta creazione.

È piena Milano di questi piccoli atelier, che nulla chiedono alla gloria se non la gioia di esercitare la propria creatività: è un bisogno potente, che urge in coloro che sono attratti dall'arte e la vogliono ricreare.

L'atelier di Max è uno di questi, un luogo magico, dove lui è il re e il dominus, perchè sa dirigerlo con bravura tecnica e autentica creatività, grande sensibilità per la musica, attenzione per le luci e l'atmosfera, per le persone presenti, che lui sollecita con ironia e autoironia, mai pomposo, mai giudicante, sempre recettivo ed accomodante: sa creare l'atmosfera giusta.

Ma lui l'arte ce l'ha nel sangue da quand'era ragazzo e in nome di essa ad un certo punto della sua vita ha abbandonato il suo lavoro sicuro per obbedire alla creatività che non gli dava scampo, affrontando i sacrifici che questa società gli ha imposto: è molto difficile campare di arte.

Un artista puro, dedito soltanto ad essa è raro, perchè tutto si apprezza oggi, tranne ciò che veramente vale, troppi sono i falsi idoli, in tutti i campi.

Massimo Geloso Peralta è stato affascinato dai colori fin dall'adolescenza, tanto da approfondire la teoria dei colori da autodidatta: all'inizio della sua ricerca i suoi lavori astratti e concettuali erano ispirati al mondo dei fumetti che erano la sua passione.

Il colore l'ha sperimentato fino ad essere diventato un esigente perfezionista. La vita obbliga poi a scelte molto spesso poco soddisfacenti: quando Massimo decide di dedicarsi all'arte, dopo diverse esperienze lavorative, si iscrive all'Accademia di Brera frequentandone i corsi e cercando ogni altra occasione per l'arricchimento della tecnica e culturali, il che gli ha permesso di aprire il suo atelier, frequentato da adulti, ma anche da bambini che apprendono l'arte del disegno e della pittura.

Il suo spirito creativo l'ha spinto a dedicarsi a lungo al disegno della figura femminile dal vero, riuscendo a raggiungere un ottimo livello di conoscenza dell'anatomia e delle tecniche del disegno. Nel suo atelier si disegna e si dipinge, per lo più attraverso le pose veloci: la modella cambia posizione ogni dieci minuti e si deve essere attenti a seguirne le linee sempre in movimento in tempi strettissimi. Il corpo per quanto fermo ha impercettibili movimenti che modificano le forme: è un vero esercizio di virtuosismo, una sfida con se stessi ogni volta.

Massimo, continuando la sua ricerca, non s'è limitato alla figura femminile, che ha comunque arricchito con ogni sorta di elaborazione, rendendola una dea, sempre meno reale, arrivando fino all'informale e all'astratto.

Lui stesso dichiara che il suo fine è di esprimere la bellezza estetica, cercando di realizzare attraverso l'equilibrio della composizione la sua emozione estetica ed artistica attraverso i vari stati d'animo.

Il suo non è un intento concettuale o di denuncia sociale: è un artista, condivide con gli artisti la bellezza della creatività fine a sé stessa: è pura poesia che si dispiega attraverso il sapiente gioco dei colori e dei mezzi utilizzati.

Il fascino del suo lavoro sta nell'immediatezza dell'ispirazione, nel momento felice in cui c'è piena coerenza tra il desiderio di creare, l'ideazione e la realizzazione.

L'arte oggi ha spesso l'aspetto di sfogatoio delle proprie angosce e frustrazioni, troppi artisti hanno dimenticato che si crea quando dentro di noi si trasforma il dolore in poesia.

Ho intervistato Massimo Geloso Peralta nel suo atelier.

Presentati...

Sono nato a Milano nel 1953, dove sono cresciuto in un quartiere della periferia Sud. Mio padre lavorava come linotipista per un giornale, Il Sole 24 Ore, e mia madre gestiva un piccolo negozio di borse e articoli in pelle. Passavo da solo la maggior parte del tempo, frequentando quelle che non si potrebbero definire delle “buone compagnie. Fu nel corso dell’adolescenza che cominciò a manifestarsi la mia passione artistica per il disegno grafico. In realtà avrei voluto fare il grafico pubblicitario, ma le circostanze mi hanno portato a compiere studi tecnici, conseguendo un diploma professionale nel 1975. In seguito ho sfruttato queste competenza per mantenermi economicamente, lavorando come disegnatore tecnico per aziende e studi professionali fino agli anni 80-90.

Fu in quel periodo che presi la decisione di cambiare definitivamente la mia storia. A quell’epoca lavoravo come contabile presso un cantiere in provincia di Savona, andavo su e giù in macchina da Milano, ogni settimana. Durante il giorno facevo conti su conti e la notte disegnavo grandiose scene di naufragi su mari tempestosi. Un lunedì mattina mentre tornavo al cantiere, cominciò a nevicare sempre più forte, mi prese un senso di panico, fermai la macchina e tornai a casa. Dopo breve tempo, maturai la decisione di fare ciò che avrei sempre voluto: mollare il mio lavoro e studiare seriamente il disegno artistico.

Posso affermare con certezza che nessuno nella mia famiglia ha mai dimostrato un talento o interesse particolare riguardo alla pittura o altri in campi artistici. Così quando dissi ai miei che avrei voluto fare il pittore, mia madre osservò che evidentemente preferivo i miei hobbies al vero lavoro. In verità potrei aver ereditato una vena di pazzia creativa soltanto da mia nonna paterna, Bianca Nulli, scrittrice di romanzi di fantascienza, per la cronaca fu la prima donna in Italia a scriverne. Rimane tuttavia un mistero da quale parte mi siano venuti il talento e la passione e per il disegno e la pittura.

Verso l’inizio del 1990 mi sono iscritto alla Libera Scuola del Nudo serale di Brera, che ho frequentato dal '90 al ’94, sviluppando sempre più il mio interesse verso il disegno della figura umana. Ogni qualvolta se n’è presentata l’occasione ho partecipato a seminari e workshop tenuti da artisti di fama internazionale. Dal '94 in poi mi sono dedicato esclusivamente al disegno artistico e alla pittura, come artista e docente.

La mia ricerca creativa si sposta costantemente attraverso differenti tecniche pittoriche e grafiche. Ritengo comunque di avere sviluppato, in tutti questi anni di esperienza pratica, uno stile personale che potrebbe ovviamente essere stato influenzato dai molti grandi maestri del passato. Ho dichiaratamente subito il fascino di Paul Klee, di Alberto Giacometti, Picasso, Francis Bacon, Egon Schiele, e molti, molti altri ancora.

Vivo attualmente a Cernusco sul Naviglio, ma lavoro quotidianamente a Milano, nel mio studio, dove oltre a sviluppare il mio lavoro di ricerca pittorica ed espressiva, insegno disegno e pittura.

Conservi i tuoi primi disegni? Cosa raffiguravi?

Non ho conservato quasi niente dei miei primi lavori, ma ricordo che verso i 16 anni facevo dei grandi collages e gouaches di maschere urlanti ritagliando la carta di giornale, piuttosto inquietanti direi. Passata quella fase feci degli acquarelli su cartone con figure ispirate ai modelli di Modigliani. Poi terminati gli studi ho prodotto moltissimi astratti, molto concettuali, in cui avrei voluto rappresentare la trasformazione di un suono attraverso i diversi stati della materia. Presentai senza alcun risultato tangibile, alcuni di questi lavori ad un’agenzia pubblicitaria. A quell’epoca, verso gli anni '70, avrei voluto intraprendere la carriera di grafico pubblicitario.

Come ti sei avvicinato al mondo dell'arte? Quando ne hai scoperto l'importanza?

Ero affascinato dal colore, ma quando presentai al mio maestro, Italo Antico, alcuni astratti molto vivaci, fatti con pastelli a olio, ricordo che mi disse che con quelli avrei potuto incartare le uova di Pasqua, poi si avvicinò ad una vetrinetta dove teneva alcuni oggetti, ne estrasse il teschio di un animale dicendomi di copiarlo a matita.

Cosa ti ha spinto a scegliere i soggetti e le tematiche?

Ho cominciato con soggetti presi a prestito da Paul Klee, Fausto Melotti, Alberto Burri. Facevo molti esercizi sulla teoria del colore di Joannes Itten, ispirandomi liberamente alle Città Invisibili di Calvino. Poi quando cominciai a frequentare la Libera Scuola del nudo di Brera, la mia tematica diventò la figura umana, soprattutto quella femminile.

Di quali significati vuoi caricare i tuoi soggetti?

In realtà, quando disegno e dipingo, non penso a priori al significato intrinseco di ciò che sto producendo. Mi lascio ispirare dai materiali che ho a disposizione al momento. Vorrei trattare l’arte come un suggerimento alla bellezza, anziché un criptico esercizio mentale o una denuncia sociale. In fondo il soggetto per un artista è soltanto un pretesto per esprimere qualcosa che le parole non riescono a fare. Mi interessa molto di più l’equilibrio tra la composizione e la scelta cromatica dei colori. A volte mi trovo impantanato a rifare un soggetto all’infinito prima di esserne soddisfatto.

Quanto c'è della tua vita nelle tue opere?

Penso alla mia ricerca creativa come una sorta di diario visuale, in realtà qualcuno disse che un disegno vale più di mille parole. Certamente nelle opere di un artista, me compreso, si possono leggere i diversi stati d’animo e valori, oppure la negazione di questi e io non faccio eccezione. Me ne rendo conto durante le sedute dal vero con modella, se provo forti emozioni queste influiscono sul mio modo di disegnare, anche se non dovrebbe essere così.

Cosa pensi dell'arte contemporanea, del mondo dell'arte, dei critici e dei curatori?

Ogni tipo d’arte esiste in funzione del suo contesto storico e sociale, l’arte contemporanea è espressione del nostro tempo. Io rispetto ogni forma d’arte, anche se preferirei che possedesse oltre al contenuto, anche un minimo di forma estetica. Non necessariamente l’arte, per essere considerata espressiva, deve esprimersi attraverso la negazione di tutti i valori, compresa la bellezza.

I critici d’arte e i curatori sono sempre esistiti, solo che un tempo erano chiamati committenti e mecenati, oggi sono una professione che serve a influenzare le leggi che governano il mercato delle opere.

Come vedi il mondo dell'arte italiana? E quello estero?

Non provo un particolare entusiasmo riguardo al mondo dell’arte contemporanea in Italia. Nomi quali Cattelan, Pistoletto, Penone, Paladino, Cucchi, Clemente, Adami, oppure Gian Maria Tosatti ed Eugenio Viola, i due artisti che rappresenteranno il Padiglione Italia alla Biennale di quest’anno, non li considero rappresentativi dell’arte italiana.

Riguardo al panorama estero vale lo stesso presupposto. Certo il discorso è più ampio e i mezzi economici a disposizione sono maggiori, quando un artista possiede un esercito di collaboratori, è tecnicamente più facile produrre oggetti “artistici” da immettere sul mercato. Damien Hirst con il suo mastodontico progetto Treasures from the Wreck of the Unbelievable è un esempio paradigmatico di questo.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Vorrei ritrovare l’entusiasmo, un po’ naif, che avevo negli anni ’90, quando cominciai a dedicarmi professionalmente al campo della pittura, come docente e ricercatore. Mi piacerebbe soprattutto trovare un gallerista o un curatore realmente interessato all’arte e soprattutto agli artisti. Il progetto viene in seguito allo spazio che lo ospita.

Da 1 a 10 quanto ti senti soddisfatto delle tue opere?

Dipende dal risultato che ci si aspetta da un lavoro. Ci sono diversi tipi di valori, comunque a livello impegno artistico direi un 8 pieno.

Consiglieresti a un giovane artista di intraprendere questa carriera?

Direi a un giovane di valutare attentamente prima di assumere che questa strada possa essere l’unica fonte di sostegno economico. Consiglio di avere sempre un piano B, un aggancio alle arti applicate, il design, la moda, la scenografia…

Quali sono i tuoi artisti preferiti e perchè?

È necessario fare un distinguo. Ci sono artisti che ho amato per il loro contributo alla codificazione della composizione e alle teorie del colore, (quasi tutti quelli legati al Bauhaus di Weimar) Paul Klee, Kandinsky, Mondrian, Alberts, Hitten. Altri come gli espressionisti tedeschi della Brücke, per le loro coraggiose scelte coloristiche e il ritorno ai valori della natura, Ludwig Kirchner, Emil Nolde, Edvard Munch. Moltissimi artisti del ‘900, Modigliani, per la poetica, Picasso per la sconfinata capacità compositiva ed espressiva, Matisse per le scelte coloristiche. Tra i moderni e contemporanei, i secessionisti austriaci, Schiele per il disegno, Klimt per la sua contaminazione con la pittura giapponese. Tra gli astrattisti, Mirò, Kandinsky, Pollock. E poi tantissimi molti altri che hanno influenzato la mia attuale espressione creativa, per esempio, gli artisti della Pop Art, Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Jim Dine, Jasper Johns, Claes Oldenburg e Robert Rauschenberg, i graffitari Jean-Michel Basquiat, Keith Haring… l’elenco sarebbe infinito. Ma da ogni artista ho appreso che l’amore per l’arte supera ogni altro valore e va oltre l’istinto di sopravvivenza.

Quali artisti contemporanei secondo te passeranno alla storia?

Mi verrebbe da dire “non certamente io”. La storia dell’arte è un archivio di dati che massificano e codificano periodi e correnti, posteriori alle vite degli artisti. Tra gli artisti che passeranno alla storia ve ne sono alcuni che hanno travisato a loro uso e consumo il significato accademico dell’arte, trasformandola in spettacoli ricchi di effetti speciali ad uso e beneficio delle masse. Ma anche questo è parte del nostro periodo storico. Comunque, per fare qualche nome Jeff Koons, Damien Hirst, la band di Bansky, Maurizio Cattelan, David Hockney, Jenny Saville, Marlene Dumas, Michelangelo Pistoletto. Questi tra quelli a me più noti, ma sicuramente ve ne sono molti altri in fase di ascesa.

Mostre di Massimo Geloso Peralta

  • Mostra collettiva di disegni e pitture sul tema “Il Gesto e il Movimento” presso l’Open Art Caffè di Lissone.
  • Mostra personale di acquarelli e tecniche miste sul tema “Il Corpo - Viaggio pittorico tra sogni e visioni” presso Il Mosaico di Milano.
  • Mostra personale di tecniche miste sul tema “Cielo, terra e altri orizzonti” presso Il Mosaico di Milano.
  • Mostra personale presso il Centro Eureka di V.le Papiniano 14, Milano.
  • Mostra personale presso la Galleria Statuto - Via Statuto 13, Milano.

Massimo Geloso Peralta, non è solo un artista e un musicista, è anche un poeta che vede la realtà con una sorta di disarmante perspicacia, egli osserva il mondo attorno a sé, come quello dentro di noi, con sincerità ed acutezza: perciò sa anche entrare nell'animo degli artisti che ama di più, sviluppando testi che ripercorrono la loro vita e la loro passione creativa, che è la stessa che lo ispira. Ed è un modo per condividere momenti di grande ispirazione e di identificazione col mondo che ama di più: quello dell'arte!