Se non apparisse una dichiarazione fatta solo per raccogliere sorrisi, verrebbe da dire che Leonardo Del Vecchio sarebbe stato celebrato anche se non fosse diventato quello che era: un imprenditore che, verrebbe da dire per rispetto al suo ''amore'' industriale per l'occhialeria, vedeva ben oltre quello che era concesso agli altri. Se n'è andato e forse, se avesse avuto la possibilità di leggere la valanga di commenti, celebrazioni, financo volgari strumentalizzazioni di fugaci frequentazioni con lui, si sarebbe sorpreso della mancanza di rispetto per il suo profilo che non era certo all'insegna della riservatezza (il suo essere imprenditore a livello globale non glielo rendeva possibile, imponendogli delle regole, anche di comunicazione, da rispettare comunque).

Eppure, è stato proprio questo che è accaduto, ed è anche giusto e normale, perché lui aveva una storia che meriterebbe d'essere fatta studiare ai nostri ragazzi, a quelli che non sanno cosa siano state le vere privazioni e che leggendo di Del Vecchio vedevano in lui solo e soltanto l'uomo di successo e non l'imprenditore coraggioso prima ancora che geniale. E sarebbe stato interessante conoscere dalla sua viva voce se abbia mai pensato a cosa di lui sarebbe accaduto se l'orfanotrofio milanese dei Martinitt avesse respinto l'accorata lettera con cui la madre, Grazia Rocco, nel 1942, chiese che il figlioletto Leonardo fosse accolto, per toglierlo dalla strada e forse nella speranza che lo formasse.

Del Vecchio entrò in orfanotrofio - il padre era morto giovanissimo - che aveva sette anni e ne uscì a 14, forte di un carattere che lo avrebbe portato a scommettere su sé stesso, convinto come era che, se nessuno ti regala niente, le cose te le devi andare a conquistare da solo.

Il mondo dell'imprenditoria che il giovane Leonardo vedeva davanti a sé non era un 'maso chiuso', da guardare da lontano, come i bambini che, sotto Natale, schiacciano il viso contro la vetrata del negozio di giocattoli o della pasticceria. Era qualcosa che era a portata di mano di chi, sfidando la sorte (e con essa il fatto di essere un “nessuno''), era disposto a rischiare.

Leonardo Del Vecchio ha sempre rischiato, lo ha fatto in prima persona e, solo quando ha capito d'essere diventato importante, ha coinvolto nei suoi sogni altri imprenditori, come lui illuminati e quindi capaci di vedere oltre la linea dell'orizzonte.

Una linea, quella Leonardo Del Vecchio, che è stata sempre un po' più in avanti rispetto a quella degli altri, ma lui, di questa dote o regalo, non ha mai fatto vanto, facendo capire che le cose sono facili da ottenere se solo se ne ha veramente voglia.

Cosa sia stato, cosa abbia significato Leonardo Del Vecchio sarà il tempo a dirlo, quando la sua visionaria concezione della vita e dell'impresa diverrà essa stessa storia e non più l'attualità delle cronache della finanza, della grande finanza.

Quello che è certo è che Del Vecchio amava la gente, amava guardare come una società, grande o piccola, evoluta o di retroguardia, reagisce al montare impetuoso della tecnologia. Un amore fortemente ricambiato, e non parliamo solo di quelli che lavoravano con lui e per lui, con i quali il rapporto era pressoché quotidiano, anche se talvolta si limitava ad un fuggevole sguardo, tra una riunione e l'altra.

E di quell'amore ha voluto essere testimone la gente di Agordo, da quella Agordo che era diventata ''sua'' quando, nel 1961, aveva dato da lì, da una piccola officina meccanica, inizio ad un cammino che non si è mai fermato. Non è un modo di dire che Del Vecchio e Agordo fossero un sodalizio perfetto, un matrimonio senza tentennamenti (per lui che tra mogli e figli era una piccola enciclopedia del saper vivere senza infingimenti) che è finito, ma solo per il momento, perché gli agordini continueranno a volergli bene.

Come hanno dimostrato nel giorno dei suoi funerali, dopo avere fatto ala, dopo avere applaudito il passaggio del feretro sulle pietre del corso principale. Poi, nel palazzetto intitolato a Luxottica, il lungo addio, al quale in molti hanno voluto partecipare indossando gli abiti che a lui sarebbe piaciuti: quelli da lavoro, con tanto di logo bene in vista.

Il vuoto che Del Vecchio ha lasciato forse non riguarderà la sua azienda (per la quale aveva da tempo cominciato a programmare il ''dopo'', puntando sulla formazione di persone a lui care o professionalmente vicine), ma l'imprenditoria italiana, cui forse per molto tempo mancherà l'uomo che guardava al mondo dopo avere inforcato gli occhiali della fiducia.