Mariapia, in cosa consiste la tua professione?

Sono pedagogista, criminologo investigativo, consulente familiare, consulente tecnico di parte d’ufficio per la Procura di Messina e per l’ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari. Ho 41 anni e vivo a Messina, in Sicilia.

Mi occupo di minori a rischio giuridico, maltrattamenti in famiglia, donne vittime di violenza, separazioni conflittuali nell’ambito delle quali vengono coinvolti minori, all’interno di contese che variano da quella economica a quella inerente all’affido e al diritto di visita del genitore che abbandona il nucleo familiare.

Le ICTU, ovvero le Consulenze Tecniche d’Ufficio, sono molto particolari poiché il professionista è chiamato ad occuparsi di quella che viene definita “bigenitorialità” e quindi ad indagare sulle capacità genitoriali sia dell’uno che dell’altro coniuge, sulla loro personalità e su quella del minore coinvolto.

Quali sono le principali cause degli omicidi in famiglia?

Indagare sulle principali cause di omicidi in famiglia non è semplice. In una società dove ormai genitori e figli, nel momento in cui non risultano in grado di dirimere il loro rapporto conflittuale, trovano nell’omicidio l’unica soluzione.

L’omicidio dei figli piccoli riguarda soprattutto quelle madri vittime di disturbi psichiatrici importanti come, ad esempio, una sindrome derivante da una depressione postpartum, unita ad altre complicanze.

L’omicidio del genitore da parte di un/a figlio/a; quest’ultimo/a può provenire indifferentemente da nuclei abusanti e non. L’omicidio avviene laddove le figure di riferimento non riescono più ad essere tali agli occhi del/la proprio/a figlio/a.

Sono figli fortemente condizionati da Internet, da ciò che leggono, dalle immagini che vedono; ragazzi che non risultano in grado di gestire la propria emotività e, nella loro mente problematica si convincono che uccidere il proprio genitore, causa dei loro problemi esistenziali, sia probabilmente la soluzione migliore, unica e definitiva.

Colui che commette un omicidio in famiglia, che sia il genitore nei confronti dei propri figli o viceversa, non prende mai in considerazione la possibilità di essere scoperto; infatti, egli pianifica e realizza scene surreali come, ad esempio, tentate rapine ad opera di extra comunitari, finte aggressioni, afferma di non avere idea di dove sia finito il proprio congiunto scomparso. Scene che vengono puntualmente smontate dalle autorità. Sono dinamiche, quelle appena descritte, molto delicate, accompagnate quasi sempre da sindromi importanti, come ad esempio quella paranoidea, una complicanza della sindrome schizofrenica; da disturbi maniacali di una certa entità, patologie psichiatriche ad andamento costante, progressivo e cronico, come ad esempio la schizofrenia oppure la sindrome Borderline; quest’ultima, infatti, elimina qualsiasi tipo di razionalità lasciando spazio ad un’istintualità bestiale e devastante.

Questi omicidi, infatti, avvengono in maniera efferata. Si pensi, ad esempio, al caso di Benno Neumair il quale, nel gennaio 2021, uccise i genitori e gettò i loro cadaveri nel fiume; oppure a quello di Veronica Panarello, la mamma del piccolo Loris, la quale, nel novembre 2014, ebbe la freddezza di gettare il figlio nel canale, dopo averlo ucciso con le fascette stringi cavo e inventando storie surreali per potersi proteggere dalle accuse; oppure Annamaria Franzoni, la donna che uccise il figlio Samuele nel 2002. Ancora oggi non è chiaro quale complicanza psichica abbia compromesso la capacità della donna, di essere madre.

Sono moltissimi gli omicidi intrafamiliari, sono efferati e in continuo aumento. Oggi, la gestione delle frustrazioni quotidiane e dei traumi è difficile. Questo perché molto spesso le famiglie vengono lasciate da sole.

Cosa può portare un membro della famiglia a decidere di togliere la vita ad un proprio congiunto?

Uno dei motivi per cui ciò può accadere è che vi è sempre meno, sia da parte dei genitori nei confronti dei propri figli e viceversa, quella capacità di comunicazione assertiva utile alla risoluzione dei conflitti; inoltre viene sempre più a mancare un metodo educativo funzionale fatto di regole tali da riuscire a gestire ciò che in quel momento risulta complesso da accettare e, piuttosto che cercare di individuare soluzioni anche con l’aiuto di professionisti e dopo uno stress psico-fisico di una gravità estrema, si giunge alla commissione del reato.

Solitamente, il figlio che uccide il genitore, lo fa per interesse economico, perché non sopporta l’esistenza di quel genitore visto come un ostacolo nel raggiungimento dei suoi obiettivi. Esistono anche quei casi di omicidio in famiglia dettati dalla volontà di uccidere il genitore abusante o per difendere un altro componente del nucleo familiare.

Quali sono i segnali (fisici, emotivi, relazionali) di un individuo che potrebbe giungere all’omicidio di un membro della famiglia?

I segnali, se si sanno cogliere, sono tanti. La chiusura in se stessi; il rifiuto di una comunicazione non soltanto in famiglia ma anche con il mondo esterno; argomentazioni particolari, confabulazioni; l’utilizzo di un linguaggio povero a livello di contenuti; minacce, anche velate; isolamento; rifiuto di uscire e socializzare. Se ci si riferisce agli omicidi intrafamiliari ad opera dei figli, è possibile osservare ragazzi che si chiudono nelle loro stanze in compagnia dei loro strumenti tecnologici e covano un odio e rancore costante nei confronti dei genitori che non soddisfano più le loro richieste, le quali non sono solo materiali ma anche emotive.

Il genitore che uccide il proprio figlio rappresenta un argomento delicato e complesso.

Vi sono anche quegli individui “malvagi puri”, ovvero quelle persone che non presentano note di psicopatia ma che vengono definite sociopatiche. Il sociopatico è colui che prova un profondo odio, un distacco emotivo e una mancanza assoluta di empatia nei confronti di tutto ciò che non riguarda se stesso. Un esempio è quello del narcisista maligno; anche un genitore può essere tale; egli non ha nessuno slancio emotivo, quindi, nemmeno nei confronti di colui che ha messo al mondo, di quello che atavicamente rappresenta il prolungamento fisico ed emotivo di sé. Arrivare ad uccidere un figlio, sia che si tratti di un genitore sociopatico, sia che si tratti di un genitore con una mente problematica oppure di un genitore esasperato, ad esempio, dalla condizione di tossico dipendenza o di delinquenza di un figlio, rappresenta il fatto che in quell’istante egli non trova altra soluzione se non quella di eliminare il problema alla radice.

La pandemia da Covid 19 e il successivo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, può aver acuito stress psico-emotivo negli individui?

Sicuramente la pandemia e il successivo scoppio della guerra hanno aumentato la presenza di sindromi depressive e sindromi post traumatiche da stress, laddove tutte le certezze sono crollate, la libertà personale è stata limitata, provare paura, per quanto concerne la guerra in Ucraina, di essere coinvolti in un conflitto di tali dimensioni, il timore di avere la morte in casa, porta la mente a vacillare.

La guerra in Ucraina, tuttavia, non la inserirei nel novero delle cause che potrebbero aver fatto aumentare gli omicidi intrafamiliari. Mentre per quanto concerne la pandemia, purtroppo chi, durante la fase di lockdown, già proveniva da un nucleo abusante e violento oppure aveva figli affetti da disturbi mentali o, comunque, con situazioni problematiche, chiaramente si è ritrovato a vivere una condizione di maggiore pericolo e stress.

In definitiva, posso affermare che per quanto riguarda l’omicidio in senso stretto all’interno del nucleo familiare, sia la pandemia che lo scoppio della guerra non hanno accentuato un fenomeno già statisticamente fortemente in crescita.

Quali azioni possono essere attuate per arginare il pericolo di omicidi in famiglia?

Sicuramente è necessario attuare prevenzione all’interno di nuclei familiari che presentano difficoltà, devianze, che provengono da contesti di deprivazione socioculturali ed economica ma, anche in quelli maggiormente abbienti. Quindi, risulta necessario che la prevenzione avvenga anche all’interno del contesto scuola. Cercare di comprendere come vivono i ragazzi, quali sono i loro sogni, desideri, quali sono le loro frustrazioni, qual è il loro pensiero riguardo al rapporto che vivono con i loro genitori, come gestiscono le negazioni. Il compito della scuola deve essere anche quello di aiutare i genitori ad imparare a dialogare con i propri figli, cercare di ritagliare tempo di qualità e per creare e/o rafforzare il rapporto con loro.

Oggi, sia l’uomo che la donna dedicano molto tempo al lavoro per passione o per necessità e, di conseguenza, i figli sono posti nelle condizioni di trascorrere molto tempo da soli. Essi, privati di un adeguato dialogo con i propri genitori, covano rabbia e frustrazione. Risulta, quindi, fondamentale aiutare i ragazzi e i genitori a chiedere un supporto psicologico di un professionista, l’aiuto di un pedagogista o di un consulente familiare.

Inoltre, vi è anche la difficoltà nella nostra società, di vedere la patologia psichiatrica, come un tabù, una condizione che può risolversi spontaneamente e quindi, tendenzialmente viene ignorata. La nostra società, infatti, è abituata a dare ridondanza a quelle che sono le patologie fisiche, poiché rappresentano un qualcosa di tangibile.

Si deve partire dalla scuola, dai nuclei familiari, fare in modo che i Servizi Sociali non siano vissuti come lo spauracchio delle famiglie, bensì come quell’organo sociale utile a fornire aiuto alle famiglie in difficoltà.

Prevenzione, educazione e ascolto. Queste sono le tre azioni da attuare per arginare il pericolo degli omicidi intrafamiliari.