Il senso di equità nelle scimmie è molto diffuso, come lo è d’altra parte nell’uomo. È un sentimento universale e si manifesta tutte le volte che delle giuste aspettative, soprattutto alimentari, vengono violate per qualche ragione. Nell’uomo la violazione dell’equità alimentare è frequente come in altre specie, ma è indispensabile partire da qui per poter operare un confronto tra noi e le scimmie in cui gli alimenti hanno un’importanza fondamentale per la sopravvivenza. Il sentimento di iniquità nell’uomo si alimenta con un’infinità di esempi, nell’ingiustizia sociale, nella discriminazione razziale, in quella economica e nei ruoli assunti dalle persone nell’amministrazione della politica, del bene comune e in tante altre attività spesso violate dalla raccomandazione, dallo scambio di favori, dal denaro, dalla corruzione e dalla mediocrazia, molto diffusa in tutti gli organi dello Stato, fatte, ovviamente le dovute eccezioni. Però non è solo di queste iniquità che vogliamo parlare in questo articolo, ma di quelle per cui alcuni individui si trovano esclusi dall’approvvigionamento egualitario del cibo a disposizione. Se consideriamo che meno del 5% della popolazione umana consuma il 95% delle risorse alimentari del mondo, il problema non è secondario, non è un’invenzione, ma è di primaria importanza il cercare di risolverlo. Sono le aspettative continuamente violate per quelle persone che vivono di stenti e non hanno il denaro per alimentarsi adeguatamente che finiscono per subire il peso maggiore pere tali iniquità.

Predisposizione evoluzionistica e culturale all’equità

Tornando alle scimmie, è stato scientificamente provato che sono molto sensibili alle iniquità alimentari dimostrando di possedere una predisposizione evoluzionistica a evitarle, costi quel che costi. Questa capacità l’hanno ereditata dalle loro lontane antenate, come l’uomo l’ha ereditata dalle nostre cugine, appunto le scimmie. Ma che cosa vuol dire predisposizione evoluzionistica? Vuol dire semplicemente che la capacità di discernere il giusto dallo sbagliato, il falso dal vero, ha un’origine culturale molto antica, altrimenti tutte le specie che non la posseggono correrebbero il pericolo di estinguersi. La distribuzione equa del cibo in una comunità di scimmie è fondamentale ai fini della sopravvivenza del gruppo e quindi deve essere rispettata. Per capire l’iniquità però bisogna avere anche il supporto cognitivo e intellettivo per far praticare il suo opposto cioè l’equità.

Allora qualcuno potrebbe dire che nelle formiche, insetti eusociali, esiste la capacità di manifestare equità alimentare perché vivono in una società estremamente organizzata e con una ripartizione dei ruoli molto rigida in cui nessuno si può comportare egoisticamente, mangiare più cibo degli altri o vivere per proprio conto. La formica operaia non può avere l’ardire di diventare di punto in bianco una regina o altro di questo genere. Deve sempre stare al suo posto. Nelle formiche questo scambio di ruoli non avviene quasi mai perché i loro comportamenti sociali sono iscritti interamente nel loro patrimonio genetico oltre al fatto che le formiche non sono certamente capaci di sviluppare una loro cultura e di trasmetterla alle altre formiche. Esse comunicano attraverso dei segnali chimici e si comportano sempre alla stessa maniera per generazioni e generazioni, direi sin da sempre, sin da quando sono diventate delle formiche. Per le scimmie le cose sono molto diverse perché capiscono l’iniquità e quindi anche l’equità in forme molto più complesse di quelle delle formiche, ammesso che le formiche ne abbiano la capacità. Molte specie di scimmie hanno invece questa sensibilità e sono spinte alla cooperazione alimentare e a una distribuzione equa delle risorse.

Uomini e scimmie: somiglianze e differenze

A tale riguardo dobbiamo chiederci quali siano le differenze e le somiglianze tra gli uomini e le scimmie. A guardare bene, le differenze sono minime, soprattutto per quanto riguarda la discriminante uguaglianza/differenza, equità/iniquità. È stato visto che i cebi dai cornetti (Cebus apella) di fronte a test che superano facilmente, quelli ricompensati ad esempio con un cetriolo, si sentono discriminati nel caso abbiamo risolto lo stesso problema di quelli che vengono ricompensati invece con uva secca, che è il cibo preferito da questi animali. È come se un bambino sottoposto a una prova, nel risolverla ricevesse un pezzo di pane e un altro, sottoposto alla stessa prova e risolvendola, ricevesse invece un dolcetto. I bambini messi di fronte a queste due ricompense preferiscono ovviamente la seconda e non la prima e se il compito era poi lo stesso, i bambini che ottengono un pezzo di pane invece del dolcetto si sentono discriminati. Inoltre i bambini che ricevono il dolcetto vogliono essere sempre ricompensati in questo modo e mai con il pane e nel primo caso, tendenzialmente, non sono predisposti a scambiarlo con nessuno. Dal momento che i bambini vivono generalmente in comunità, un asilo o una scuola primaria, dove alcuni assumono ruoli di dominanza e altri di sottomissione, come è stato dimostrato in molti studi, i primi sono sempre poco disposti a condividere i premi più ambiti con gli altri, ma a tenerseli egoisticamente per sé. Non è un caso che i genitori che hanno molti figli nati uno dietro l’altro hanno sempre il problema di accontentarli tutti allo stesso modo anche perché non si possono fare gli stessi regali a tutti, così almeno pensano i genitori. Le scimmie si comportano come i bambini.

La ricompensa ricevuta che non è gradita genera competitività, soprattutto invidia da parte di chi si sente discriminato. Strano ma vero: le scimmie in un test con ricompense inique sono molto meno disposte a uno scambio tra un dono gradito e uno non gradito con gli altri, mentre si comportano all’opposto con un test equo. In sostanza sono le iniquità che in una società sollevano problemi tra gli individui. Le iniquità creano competizione negativa e la perdita di uno dei comportamenti più importanti, cioè la cooperazione sociale. Una società, animale o umana che sia, in cui viene a mancare la cooperazione, si disgrega e trova difficoltà a superare i momenti di pericolo nei quali, tra gli individui, la cooperazione è invece fondamentale. Dal momento che conosciamo le conseguenze negative di un’iniqua ripartizione dei beni in una comunità, cioè antagonismo e competizione, noi uomini dovremmo trarre insegnamento dalle scimmie che attraverso dei test ci possono dimostrare come funzionano questi meccanismi mentali (con l’uomo ovviamente sarebbe molto più difficile sperimentarlo), anche se la nostra coscienza ci dovrebbe indurre a comportarci sempre equamente. È allora una questione di coscienza? Inoltre, in questi meccanismi mentali sono coinvolte delle categorie emozionali?

A queste due domande dobbiamo rispondere di sì. In una ricerca condotta con un gruppo di 140 studenti universitari di diverse nazionalità, si è dimostrato che gli individui appartenenti alle classi sociali inferiori dimostrano di essere più solidali con quelli che avevano le stesse origini che verso quelli delle classi sociali superiori o con disponibilità economiche superiori. Ma il fatto più straordinario fu che quelli che provenivano dalle classi inferiori, messi di fronte a scene che mostravano situazioni di disagio economico e familiare, quindi di individui come loro, reagivano fisiologicamente con una decelerazione del loro battito cardiaco, si sentivano più rilassati, più in sintonia con i loro simili che con gli altri. Questa era una risposta emozionale e culturale di solidarietà sociale. In sostanza gli individui provenienti dalle classi sociali più basse entravano empaticamente più in sintonia con i loro simili che con gli altri e i giudizi erano pieni di solidarietà verso i loro simili. In sostanza si era evidenziata un’associazione molto stretta tra l’appartenenza a una determinata classe sociale e l’accuratezza emotiva con la quale si esprimevano i giudizi. Questo non deve sorprenderci, perché anche nelle scimmie la solidarietà tra gli individui sottomessi spesso è molto più forte di quella tra i leader che pensano solo a come mantenere il potere tutto per loro e a mettere in difficoltà e punire chi cerca di toglierglielo, anche se a volte i sottomessi ci riescono; mantenere il potere infatti non è facile. Queste sono le cause principali di stress mentali e anche fisiologici molto più diffusi tra le classi sociali superiori e dominanti che in quelle inferiori, uomini o scimmie che siano.

Conclusioni

Concludiamo con le acutissime considerazioni di un noto ricercatore americano (Robert Sapolsky) il quale spiegò perché le zebre non si ammalano mai di ulcera, una malattia psicosomatica che causa una lesione della mucosa gastrica. Quella di Sapolsky sembra una battuta ma è la realtà e va spiegata. Nell’uomo, così come nelle scimmie, esiste un’area corticale preposta, quella prefrontale mediale, che ha il compito di gestire le funzioni cognitive superiori. È anche un’area funzionale all’apprendimento e alla previsione dei risultati conseguenti alle azioni umane e anche delle scimmie. Non è infatti un caso che quando nei giocatori d’azzardo quest’area risulta parzialmente danneggiata per qualche ragione, essi non riescono più a valutare adeguatamente i rischi che corrono quando giocano e molti finiscono in rovina. Quest’area nella normalità implementa nella nostra memoria i risultati delle esperienze passate ed elabora le azioni giuste da intraprendere distinguendole da quelle sbagliate. In sostanza ci consente di calcolare i rischi delle nostre azioni. Ebbene, nelle zebre, quest’area, forse non lavora come quella umana, e permette a questi animali di evitare istintivamente un pericolo (per esempio la presenza di una leonessa malintenzionata), di scordarselo subito dopo, come se non fosse successo nulla e di ritornare a brucare l’erba tranquillamente. Ciò che è interessante è che questo fa cessare in questo animale una perdurante risposta fisiologica stressante molto pericolosa, mentre noi uomini, spesso, dopo un fatto di questo genere, continuiamo a elaborarlo e rimuginarlo cognitivamente all’infinito fino all’esaurimento, e, conseguentemente fino ad ammalarci, nella migliore delle ipotesi, di ulcera; le zebre invece no, come dice appunto Sapolsky.

Bibliografia

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Robert M. Sapolsky. Why zebras don’t get ulcers. New York, Henry Holt and Company, 2004 (tr. it. Perché alle zebre non viene l’ulcera. Roma, Castelvecchi, 2018.
Angelo Tartabini. Pensiero Animale. Roma, Orme Editore, 2021.