Il giorno, nel mezzo del cammin della nostra vita, in cui ci sembra che la diritta via sia smarrita e per ritrovarci rivolgiamo lo sguardo verso l’interno, ci ritroviamo di fronte una selva oscura.

Una boscaglia fitta e apparentemente impenetrabile, un groviglio di rami, denso e disordinato, vagamente inquietante. Avanzando con passo incerto ogni ombra ci appare come un ostacolo, il terreno disconnesso non ci consente di appoggiare bene i piedi e ogni movimento che facciamo richiede una decisione, una scelta da fare con molta attenzione. Dobbiamo scavalcare tronchi caduti, rami spezzati, siamo costretti a piegarci, a proteggerci, a liberarci da liane che ci trattengono, spine che ci feriscono, radici che ci fanno inciampare e scivolare, rovi nei quali rimaniamo impigliati, barriere invalicabili che ci costringono a deviare dal percorso.

Tutto ciò che non conosciamo ci appare rischioso e faticoso, e così anche il percorso per scendere nella profondità di noi stessi ci fa paura.

Perché allora intraprendere il viaggio, visto che nessuno ci obbliga? Il cammino verso la consapevolezza è sempre una scelta e il bosco non è solo una metafora, è una corrispondenza di modelli e significati tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno: le forme con cui la Natura si manifesta ci rivelano come siamo fatti, perché anche noi siamo parte di lei, come lei di noi. Così come dentro è il fuori, così come sopra è il sotto, così come il piccolo è il grande.

Perciò ognuno di noi è come un bosco. Siamo un insieme organico solo apparentemente disorganizzato, dove quel che sembra appagante potrebbe essere velenoso, dove ciò che crediamo tossico potrebbe rivelarsi curativo, dove i frutti più gustosi sono protetti da spine, dove ciò che a prima vista sembra dannoso potrebbe avere un ruolo preciso e determinante per il bene dell’intero sistema e dove ciò che immaginiamo inutile si rivela un’indispensabile risorsa.

Nel bosco, come dentro di noi, ci sono alberi antichi e forti, capisaldi, princìpi all’ombra dei quali tanti potenziali giovani germogli possono crescere rigogliosi e protetti; alberi le cui radici profonde nutrono rami che si spingono giorno dopo giorno sempre più in alto in direzione del cielo. A volte può capitare di imbattersi in qualcosa di disarmonico, l’esito di un incidente, il risultato di una violenza di cui non conosciamo né la causa né la ragione. Frane e alluvioni lasciano segni e danni permanenti, cambiano la forma del nostro paesaggio interiore. A volte portati dal vento arrivano semi che attecchiscono e scombussolano l’equilibrio esistente, ed uno tutto nuovo va ricostruito.

Quando rivolgiamo lo sguardo all’insieme, ci accorgiamo che è difficile, praticamente impossibile, distinguere dove finisce una cosa e ne inizia un’altra. Separare gli elementi è tanto arduo quanto insensato, tanta è la penetrazione, la condivisione, l’incastro. Per questo, nonostante sia un insieme così infinitamente ricco di forme e identità variabili, possiamo comunque definirlo con un sostantivo singolare: bosco. Esattamente come noi, è un essere plurale, un organismo composto, un sistema complesso, e al tempo stesso un individuo, un’identità, un’unità.

Nonostante la visione intimorisca, perché sappiamo che esistono tanti angoli oscuri, ci mettiamo in cammino, e sono l’istinto indagatore, l’innata curiosità e il desiderio della scoperta a guidarci. Che sia perché oltre il fitto della boscaglia intravediamo una luce o perché subiamo la fascinazione dell’oscurità, decidiamo comunque di intraprendere il viaggio. Se siamo fortunati durante la vita ci siamo dotati di strumenti e abbiamo incontrato delle guide, certo è che per viaggiare lungo quel percorso possiamo fare affidamento solo sull’istinto, sulle nostre capacità, sulle sensibilità innate e acquisite con l’esperienza, e in qualche modo sulla fiducia che ne valga la pena e che la ricompensa sarà uno spazio di meraviglia.

Chi, dunque, ci può guidare ed ispirare più della Natura per muoverci dentro quel bosco? Quando iniziamo a mettere attenzione ai dettagli, alle particolarità e alla bellezza del sistema non giudicante che governa il regno naturale, ci accorgiamo che lì è possibile trovare le risposte e le soluzioni di cui abbiamo bisogno. Scopriamo che l’acqua del torrente non scorre tutta alla stessa velocità, e così ci consoliamo pensando che anche i nostri progetti non avanzano tutti in parallelo, qualcuno corre, qualcuno ristagna. In alcuni punti l’acqua fa un giro e torna indietro e poi ancora e ancora, un altro giro… ma ecco che la foglia sul pelo dell’acqua ci rivela che dopo qualche tentativo la corrente ha la meglio e via! Si torna a scorrere.

Da uno spazio di calma possiamo osservare come l’aria trasporta odori e suoni da molto lontano, cos’altro di nuovo vuole portarci? E quando arriva forte e improvviso il vento, se abbiamo lasciato in giro qualche cosa, qualcosa che abbiamo dimenticato o trascurato, potremmo ritrovarla in un altro posto, messa in un altro ordine, in un’altra posizione. Proviamo allora ad osservare i nostri problemi da un altro punto di vista, a rimescolare le carte.

Può bastare una pozzanghera, guardarci dentro e scoprire che ci sono tre mondi. Uno è il fondo, il sotto: erba, terra, sassi che ieri erano asciutti e oggi sono sommersi. Poi la superficie: una membrana trasparente che accoglie foglie, pagliuzze, insetti, l’effetto piuma di pavone di una goccia di benzina. E poi c’è il riflesso, il sopra: il cielo, le nuvole, le chiome degli alberi, gli uccelli che passano. In un unico colpo d’occhio possiamo percepire le diverse dimensioni che coesistono in ciò che osserviamo.

Esattamente come avviene per gli alberi, il nostro benessere dipende dalla nostra capacità di tenere in equilibrio ciò che prendiamo con ciò che diamo, doniamo, restituiamo, e con la possibilità che ci viene concessa di manifestare noi stessi. Così, camminando nel bosco, anche se ci sentiamo persi, se non sappiamo con precisione dove siamo, e magari nemmeno dove stiamo andando, possiamo prendere una direzione casuale, e procedendo senza meta troveremo sempre una linea, delle tracce, dei punti di riferimento, qualche dettaglio che attira la nostra attenzione e guida i nostri passi. Se ci concediamo il tempo di prendere confidenza con quell’habitat che ci pareva ostile, piano piano ci appare il senso. Seguendo il sentiero con l’intuito ci viene rivelato un ordine nel caos ed iniziamo ad orientarci. Impariamo a conoscere e riconoscere le piante e le tracce degli animali (o di chi è passato per quella stessa via prima di noi) a distinguere i rami secchi che possono essere lasciati andare, scopriamo che i rampicanti infestanti non crescono in modo così aggressivo come credevamo, comprendiamo il ruolo di ogni elemento e le relazioni che legano l’insieme, e un passo alla volta riusciamo a sistemare, a ripulire e, qua e là, a far penetrare la luce.

Quando abbiamo imparato come muoverci in quell’ambiente, allora possiamo addentrarci sempre più in profondità, ogni cosa nuova che impariamo ci permette di comprendere meglio ciò c’è dentro e fuori di noi. Possiamo a quel punto misurare le nostre capacità, scoprire nuove abilità, affinare doti innate, sopperire a mancanze strutturali con stratagemmi suggeriti dal bosco stesso, che ci offre opportunità, risorse, ricchezze che mai avremmo immaginato di avere e mai avremmo scoperto se non avessimo deciso di addentrarci in quella selva oscura. Diventiamo allora esploratori di entrambi i mondi, quello di fuori e quello dentro di noi, che essendo uno lo specchio dell’altro, ci rivelano la continuità tra tutte le cose.

Ed eccola la meraviglia che cercavamo: la capacità di vivere consapevolmente in quei panorami, disegnare nuovi percorsi e raggiungere nuovi scorci, godere della quiete, farci sorprendere da specchi del paradiso, accorgerci per tempo dei pericoli, e con entusiasmo prendercene cura, fare manutenzione. A quel punto il desiderio di vedere sempre più a fondo, sempre oltre, studiare come ogni cosa sia connessa e interdipendente, innesca nel nostro animo una gioia, quasi un’euforia, che dalla profondità emerge fino in superficie. Diviene evidente, la si può percepire. Anche gli altri che ci osservano, senza riuscire a identificarla, intravedono in noi una luce che prima non c’era.

Quando avremo esplorato per quanto ci è possibile quel bosco sacro e magico che è il nostro essere, con le sue meraviglie e i suoi orrori (che a quel punto ci saranno noti), quando avremo conosciuto a sufficienza quello spazio costruito dal cervello, dalla mente, dai nostri sensi e dal cuore e lo avremo accettato per quello che è, nella sua intera bellezza, allora potremo imparare semplicemente a meravigliarci di ogni nuova scoperta, ad amare quel luogo fino a sentirci sicuri, e potremo anche scegliere di accogliere qualcun altro, per camminare insieme, perché finalmente non avremo più paura.