Avete mai provato ad aprire un'ostrica? Se la toccate dolcemente nel punto giusto si apre totalmente, se invece la si vuole aprire per forza l’ostrica si chiude e tale rimane per molto tempo.

È un esempio del principio del minimo stimolo.

Le discipline sociali - tra cui anche la medicina e la psicologia - conoscono l'importanza essenziale dei piccoli stimoli piuttosto che degli stimoli grandi per rafforzare la capacità di autoregolazione e autoriparazione dell'organismo vivente.

Non serve forzare o fare grandi fatiche e grandi opere per attivare il cambiamento, che sia organico o psicologico: uno stimolo dolce e leggero, rispettoso dei nostri limiti attiva risorse interne che poi cominciano a lavorare per conto proprio generando un circolo virtuoso che permane nel tempo.

Già intorno alla metà del 1800 gli studi di fisiologia furono in grado di stabilire una relazione tra stimolo e risposta universalmente valida per tutte le specie viventi, sia animali sia vegetali: era appunto il principio del minimo stimolo che afferma che quanto è minore l’input tanto maggiore è la potenzialità dell'organismo di riformarsi e riorganizzarsi.

Che si tratti di salute e benessere o di una relazione; che si tratti dell'educazione di un bambino o di dinamiche lavorative, forzare, stressare la situazione può non essere il metodo più indicato per ottenere dei cambiamenti reali.

L’abuso di antibiotici va in questa direzione. Il ricorso, come mai prima nella storia, di antidolorifici e antiinfiammatori pure.

Ma anche se vogliamo comunicare qualcosa a qualcuno, specie se si tratta di argomenti spinosi, il principio omeopatico del “poco a poco” può aiutare.

Chi ha a che fare con gli adolescenti sa che non forzare è una sorta di legge. Se tocchiamo il limite delle persone senza la necessaria delicatezza si attivano due possibilità: la paura o il dolore. E le conseguenti reazioni di attacco-fuga.

Sentirsi forzati genera in ciascuno di noi il ricordo di una qualche sofferenza, anche inconscia, e la riattivazione di sensazioni di vulnerabilità e di impotenza, sperimentati da tutti in qualche momento dell’esistenza.

In qualcuno di noi questa può essere stata un’esperienza dolorosa e costante che si è trasformata in una contrazione, in una chiusura, in una difesa: in poche parole in una corazza. Continuare a punzecchiare la corazza, non la scioglie, ma la indurisce.

Potete comprendere facilmente di cosa si tratta se pensate a qualche conoscente, più o meno intimo, che di fronte a certi temi o a certi modi si chiude, e magari si arrocca in un mutismo imbronciato che dura per giorni.

Con un metodo più morbido e omeopatico invece non solo questi blocchi possono sciogliersi ma si possono attivare cambiamenti più profondi.

È certamente un principio guida poco attuale, ma per questo tanto importante, visto che oggi tutto spinge ogni cosa all'eccesso, tutto tende all'esagerazione. È un viraggio di prospettiva che può aprire nuovi orizzonti in ciascuno di noi: bisogna solo permettere a questo processo di evoluzione e di crescita - che è insito e naturale nell'essere vivente - di attivarsi e di svolgersi da sé, senza spingere né forzare appunto.

Il minimo stimolo mette in moto un processo energetico che si sviluppa da sé. Certamente prendere questa strada implica mantenere un'attenzione vigile e una consapevolezza accesa dei processi interni e delle relazioni e anche questo è qualcosa di fuori moda.

Ma solo in questo modo l’ostrica così chiusa nel suo guscio – metafora del nostro mondo interiore- può svelare la rara perla nascosta al suo interno.