La Terra si riscalda e il clima sta cambiando più velocemente del previsto. Basta guardarsi attorno per accorgersene: le temperature medie stagionali aumentano, le piante fioriscono prima, la neve non si vede quasi più, i ghiacciai si riducono, ma soprattutto siamo colpiti con sempre maggior frequenza da fenomeni metereologici estremi: bombe d’acqua, alluvioni, uragani, alternati a lunghi periodi di siccità, ondate di calore e incendi boschivi, con il pesante carico di morti, distruzioni, migrazioni, conflitti e dolore che portano con sé.

Le conseguenze sulla biosfera, sulla vita e la salute dell’uomo sono molteplici e gravi e sono destinate a peggiorare ulteriormente fino a divenire irreversibili se entro il 2050 non riusciremo a invertire la crescita delle emissioni di CO2 e contenere l’aumento della temperatura terrestre entro 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca preindustriale, come stabilito dalla conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Glasgow nel 2021.

Per raggiungere questo ambizioso ma inderogabile obiettivo è necessario però che tutta la società civile sia consapevole dei gravi rischi che incombono sugli equilibri degli ecosistemi terrestri e prima che sia troppo tardi metta in atto adeguate misure correttive, monitorando il cammino percorso e valutando i risultati raggiunti.

Ognuno deve fare la propria parte

In questi ultimi anni, a causa della pandemia, della guerra contro l’Ucraina e grazie alle iniziative di tenaci giovani attiviste come Greta Thunberg, la sensibilità dell’opinione pubblica nei confronti dell’ambiente sta progressivamente crescendo. Da vari settori produttivi come agricoltura, trasporti, urbanistica, edilizia, commercio, turismo giungono diverse proposte d’intervento, ma sorprendentemente il settore sanitario, perlomeno in Italia, sembra essere ancora poco sensibile al problema. Eppure, date le pesanti conseguenze sulla salute associate ai cambiamenti climatici, medici, infermieri e personale sanitario dovrebbero essere in prima linea nell’individuare le azioni capaci di arrestare o perlomeno frenare il progressivo riscaldamento terrestre1.

Stando allo scarso interesse manifestato dalla maggior parte dei medici sembrerebbe che in campo sanitario non ci sia nulla da fare e che i problemi dell’ambiente riguardino solo gli altri, come se tutto ciò che si fa in medicina fosse egualmente utile, appropriato ed eseguito in modo sostenibile. Le cose, però, non stanno affatto così. Certo, i servizi sanitari sono essenziali per la nostra salute ma anche loro contribuiscono e non poco a peggiorare la crisi climatica e anche in questo settore c’è tantissimo da fare. Nessuno, per esempio, spiega alla gente che per salvaguardare la salute non basta stanziare più risorse e acquisire nuove tecnologie ma occorre interrogarsi sulle modalità del loro impiego e sulla loro efficacia. Il fine non sempre giustifica i mezzi. Come vedremo in seguito, la letteratura scientifica è molto ricca di esempi sugli enormi sprechi che si perpetuano in campo sanitario e OMS e OCSE sollecitano da tempo l’adozione di misure urgenti per limitare gli effetti avversi associati a questo fenomeno.

L’impronta ecologica dei servizi sanitari

Il settore sanitario attraverso la gestione degli edifici, l’erogazione dei servizi, l’utilizzo di farmaci, dispositivi medici e tecnologie sanitarie, lo smaltimento dei rifiuti, l’alimentazione, i trasporti contribuisce con il 4-5% al totale delle emissioni in atmosfera di gas clima-alteranti. Un valore significativo, che in termini di emissioni lo colloca al primo posto tra i diversi settori afferenti ai servizi, più o meno come l’intero trasporto aereo. Intervenire su di esso è molto importante anche perché le attività correlate ai servizi sanitari rappresentano una quota considerevole del PIL, pari all’8,3% in Europa e all’8,7% in Italia2 ed esercitano quindi una forte influenza su molte altre attività economiche, a cui sono intimamente connesse.

Le iniziative, non solo dovrebbero ridurre l’impronta ecologica delle attività correnti ma anche accoppiare ogni ulteriore espansione dei servizi con l’indicazione delle misure che s’intendono adottare per rispettare gli impegni internazionali sul clima. Un lavoro arduo ma non impossibile, purché ci sia la consapevolezza della rilevanza del problema e la ferma volontà di affrontarlo.

Cosa possono fare i professionisti della salute?

I professionisti della salute possono fare molto per realizzare un servizio sanitario di alta qualità, capace di salvaguardare la salute delle persone senza danneggiare il pianeta. Gli interventi devono affiancare e sostenere le iniziative messe in atto con analoghi intenti in altri ambiti economici in uno spirito di collaborazione e di integrazione interdisciplinare e devono essere indirizzati su due fronti: ridurre l’impronta ecologica connessa con l’erogazione dei servizi e agire sull’appropriatezza delle cure evitando diagnosi e trattamenti non necessari.

Importanti associazioni come Health Care Without Harm a cui aderiscono migliaia di ospedali, organizzazioni sanitarie, leader e professionisti della salute di tutto il mondo, raccomandano a tutti coloro che hanno responsabilità decisionali in ambito sanitario di affrontare la crisi climatica dotandosi, in primo luogo, di una propria “Road Map” di avvicinamento agli obiettivi indicati dagli accordi di Glasgow3. A questo fine ospedali e istituzioni sanitarie dovrebbero nominare un apposito gruppo di lavoro composto da persone motivate, afferenti a diversi ambiti professionali con il compito di sensibilizzare gli operatori sanitari sui fattori ambientali correlati alla salute e definire un’agenda delle azioni da intraprendere per facilitare la transizione ecologica.

Tenuto conto delle specificità locali tali azioni potrebbero far riferimento a sei ambiti di lavoro tutti strettamente interconnessi. Non è necessario fare tutto contemporaneamente, l’importante è partire con qualche iniziativa che funga da stimolo e faccia cogliere il senso della direzione. Poi occorre incoraggiare la creatività, assecondare l’innovazione e creare le condizioni affinché ciascuno sia messo nelle condizioni di dare il meglio di sé e possa introdurre nel proprio contesto lavorativo le opportune azioni di miglioramento. Ecco qualche esempio.

Ridurre le emissioni di gas-serra degli edifici

Massimizzare l’efficienza energetica dei fabbricati; ove possibile favorire l’illuminazione e la ventilazione naturale degli ambienti; ottimizzare l’utilizzo degli spazi; impiegare fonti luminose a tecnologie LED; sostituire gradualmente le fonti di energia fossile con energie rinnovabili, aumentare gli spazi verdi.

Limitare i trasferimenti e migliorare l’efficienza dei trasporti

Sviluppare strategie di telemedicina e di comunicazione digitale come alternativa ai colloqui diretti, compresi i convegni e gli incontri di formazione; impiegare ambulanze elettriche; realizzare depositi protetti per biciclette (con possibilità di bike-sharing); negoziare sconti per l’uso dei mezzi di trasporto pubblici.

Ridurre il volume dei rifiuti sanitari

La maggior parte dei rifiuti ospedalieri (75-80%) purché raccolti in modo differenziato può essere smaltita con i rifiuti urbani; compatibilmente con la sicurezza del paziente limitare l’impiego di dispositivi monouso; utilizzare preferibilmente materiali riusabili, riciclabili e rinnovabili; eliminare la distribuzione dell’acqua in bottiglie di plastica (ove possibile utilizzare solo acqua del rubinetto).

Promuovere un’alimentazione sana e sostenibile

Modificare i menu del personale e dei malati al fine di ridurre il consumo di carni lavorate, grassi saturi e cereali raffinati; valorizzare i prodotti locali e coltivati con metodi biologici; eliminare le bevande zuccherate dai distributori automatici, avviare progetti di recupero degli scarti alimentari e del cibo non consumato.

Contenere l’inquinamento ambientale da farmaci e gas anestetici

Ridurre la sovraprescrizione e quando possibile scegliere farmaci e modalità di somministrazione con minor impatto sull’ambiente; limitare l’impiego di gas anestetici specie l’ossido nitroso e il desflurano (impatto sull’ambiente pari a 2 mila volte quello della CO2); sostituire i gas utilizzati come propellenti negli inalatori spray per l’asma; preparare confezioni di farmaci con quantità minime; curare lo smaltimento differenziato.

Migliorare l’appropriatezza delle cure

Le prestazioni sanitarie inappropriate, inutili e perfino dannose consumano il 20-30% delle risorse dedicate alla sanità4. Un fenomeno molto preoccupante, tanto che il controllo dell’eccesso di prestazioni sanitarie è considerata dall’OMS e dall’OCSE, una tra le più importanti misure di contenimento dell’impronta ecologica dei servizi sanitari, oltre che un valido strumento di miglioramento della qualità e della sicurezza delle cure5-7.

L’eccesso di prestazioni è oggetto di grande interesse da parte del mondo scientifico e ha dato origine a importanti campagne internazionali, tra le quali ricordiamo: Less is more, lanciata nel 2010 da JAMA Internal Medicine, Too much Medicine, promossa nel 2013 dal BMJ e Choosing Wisely avviata nel 2012, negli Stati Uniti, dall’ABIM Foundation e ripresa in Italia da Slow Medicine. Insomma, molte voci autorevoli ci esortano ad agire con urgenza perché è intollerabile constatare che a molti pazienti è preclusa la possibilità di accedere a servizi sanitari essenziali, mentre un’ingente quantità di risorse viene sperperata per eseguire prestazioni sanitarie inutili e dannose per le persone e per l’ambiente. A questo riguardo la letteratura scientifica è molto ricca di esempi e di iniziative che potrebbero essere facilmente introdotte nel contesto locale a condizione che i professionisti prendano consapevolezza della gravità del problema e si attivino per affrontarlo.

Ecco qualche esempio di prestazioni spesso eseguite in modo non appropriato: esami preoperatori, artroscopia del ginocchio per lesioni osteoartritiche, radiografie, TAC e RM per il mal di schiena, check-up, PSA per il cancro della prostata, screening ecografico della tiroide, antibiotici per le infezioni delle vie aere superiori, vitamine e integratori. Gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo, evidenziando centinaia di interventi chirurgici, procedure sanitarie, test di laboratorio, indagini diagnostiche e farmaci che oltre a danneggiare le persone a cui sono indirizzate rappresentano un ingente fonte di spreco.

È tempo di agire

L’emergenza climatica, secondo un’autorevole commissione formata da esperti del Lancet e dell’Institute for Global Health rappresenta, la più grande minaccia per la salute del 21° secolo8. Essa è destinata a influire profondamente sul nostro modo di vivere, le nostre abitudini, la convivenza sociale, la natura, la nostra salute e quella delle generazioni future.

Siamo di fronte ad una emergenza planetaria senza precedenti che richiede uno straordinario sforzo di cambiamento da parte di tutti ed in particolare dei professionisti sanitari che dovrebbero occupare una posizione di leadership nell’opera di sensibilizzazione della comunità. Le iniziative però, sono ancora scarse. Solo recentemente la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli ordini dei medici) ha costituito un apposito gruppo di lavoro sui temi della salvaguardia ambientale, mentre ISDE (Medici per l’ambiente) e Slow Medicine hanno avviato il progetto “Verso un’ecologia della salute” che si propone di coinvolgere le Società scientifiche allo scopo di definire specifiche raccomandazioni capaci di salvaguardare l’ambiente, migliorando, nel contempo, la qualità e la sicurezza delle cure.

È ormai tempo di agire e in questo senso gli operatori della sanità dovrebbero sempre valutare le conseguenze sugli ecosistemi delle loro scelte cercando ogni volta di adottare le alternative più sicure, consapevoli che anche piccoli cambiamenti nella pratica corrente possono conseguire nel tempo risultati molto significativi. Il tempo passa, la sensibilità è ancora scarsa e il lavoro da fare molto. Cambiamenti strutturali e modifiche comportamentali sono ugualmente utili e riguardano ogni ambito della medicina ad ogni livello di responsabilità: dai vertici gestionali ai singoli operatori e devono procedere in sintonia. Non c’è nulla di impossibile ma ciascuno deve fare la propria parte con impegno e determinazione perché come ci ricorda papa Francesco:

Non possiamo pretendere di rimanere sani in un mondo malato.

Note

1 Pichler PP et al: International comparison of health care carbon footprints. Environ. Res. Lett. 2019; 14 064004.
2 OECD/European Union (2020), Health at a Glance: Europe 2020: State of Health in the EU Cycle, OECD Publishing, Paris.
3 Global Road Map for health Care Decarbonization. Health Care without Harm 2021.
4 Hensher M et al: Health care, overconsumption and uneconomic growth: a conceptual framework. Social Science & Medicine 266 (2020) 113420.
5 Tackling wasteful spending on health. OECD 2017.
6 Morgan, et al: Setting a research agenda for medical overuse. BMJ 351; 2015.
7 Barratt A, McGain F: Overdiagnosis is increasing the carbon footprint of healthcare. BMJ 2021; 375: n2407.
8 Managing the Health Effects of Climate Change. The Lancet and University College London Institute for Global Health Commission. The Lancet, Vol. 373, May 16, 2009.