I tragici eventi di questi giorni riportano alla mente e forse anche al cuore di molti di noi le trascinanti note della Grande Porta di Kiev, brano conclusivo della famosissima suite Quadri di un’esposizione di Modest Mussorgskji. Composta per pianoforte nel 1874, è dedicata all’amico Victor Hartmann, architetto, scenografo e pittore russo di origine tedesca, scomparso ancora giovanissimo l’anno precedente. I colleghi dell’Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo gli organizzano una personale postuma di bozzetti, disegni e progetti, poi diventati famosi, perché riprodotti in numerosissime pubblicazioni, oggi anche in rete, e resi celebri, compreso il progetto della Grande Porta di Kiev, più che dal loro intrinseco valore artistico, dal successo intramontabile della musica.

Mussorgskji dà vita sul pentagramma alle suggestioni musicali sollecitate da dieci disegni, che diventano altrettanti momenti musicali tra loro collegati dal motivo conduttore della Promenade che suggerisce con straordinaria evidenza quasi visiva proprio il movimento dello spettatore all’interno della mostra. Ed è proprio il tema della Promenade che, a conclusione del percorso espositivo con il progetto della Grade Porta di Kiev, si trasforma quasi in una marcia trionfale che descrive l’incedere tra le colonne, sotto la grande arcata e la maestosa cupola che Hartmann ha disegnato. Sullo spartito originale è indicato: “Allegro alla breve. Maestoso. Con Grandezza”. La musica sembra riprodurre le linee maestose e la monumentalità della porta che avrebbe dovuto essere eretta a Kiev per ricordare lo scampato assassinio dello zar Alessandro II nell’aprile del 1866.

Nonostante l’originalità, o forse proprio per questa originalità, la composizione non riscuote, al suo esordio, eccessivo successo. Successo che invece esplode clamoroso quando, il 19 ottobre del 1922, al Teatro dell’Opera di Parigi, viene eseguita, con la direzione di Serge Koussevizky, la prima della versione per orchestra realizzata da Maurice Ravel, che da allora entra davvero trionfalmente nei repertori concertistici di tutto il mondo. Nella compagine orchestrale tradizionale Ravel inserisce strumenti fino ad allora esclusi, come il sassofono contralto, la raganella, la celesta. L’impasto sonoro di Ravel, pur fedele all’originale, si colorisce di sfumature e di fluidi cromatismi che sollecitano suggestioni emotive nuovissime ma, ad un tempo, evocative della musicalità tradizionale russa. Così il finale con la porta di Kiev assume un andamento di accesa grandiosità e d’ampio respiro con uno strepitoso crescendo di sonorità.

Musica a programma? Musica descrittiva? O ricordo musicale appassionato e fantasioso di un amico? Difficile, forse inutile, stabilirlo.

Sta di fatto che il rapporto tra visualità del disegno e notazione musicale è comunque innegabile. Nel 1928, in seno agli straordinari esperimenti di arte globale che il Bauhaus va promuovendo in Germania, prima a Weimar poi a Dessau, si realizza uno straordinario progetto di Vasilij Kandinskij. Kandinskij reinventa i Quadri di un’esposizione con un processo contrario e contrapposto dalla musica all’immagine, dipingendo una serie di pannelli che alcuni figuranti muovono su una scena teatrale seguendo ritmicamente lo sviluppo della musica.

Kandinskij dà sfogo a tutta la sua fantasia creativa ma, nello stesso tempo, mette in atto le sue convinzioni sulla compenetrazione delle arti, tra colore e strumento musicale, suggestione cromatica e suggestione sonora, trasmissione del suono e trasmissione del colore, elaborate e spiegate nei suoi scritti teorici, quali: Lo spirituale nell’arte, Il suono giallo e Punto, linea, superfice.

I suoi pannelli traducono le suggestioni musicali in colori e soprattutto in punti, in linee e in superfici, in sintonia con la sua fede assoluta nell’astrattismo. Ma nel trasporre in immagine le sonorità della Grande Porta di Kiev, Kandinskij non resiste alla tentazione di evidenziare, nella solarità luminosa e squillante dello sfondo giallo-oro su cui spiccano architetture geometriche e irreali, forme multiple che rimandano direttamente alle cupole e agli archi di quella tradizionale architettura cui Victor Hartmann si ispira e che inducono Mussorgskji al trionfalismo del finale.

Ma la storia dei Quadri di un’esposizione ha ancora un altro sviluppo. Ci ha pensato nel 1971 il trio Emerson, Lake e Palmer con il suo Picture at an Exibition. Si tratta di una nuova trascrizione e di una nuova orchestrazione, in chiave di progressive rock: Keith Emerson organo e tastiere, Carl Palmer percussioni, Greg Lake chitarra e voce. Dei quadri dell’originaria partitura ne vengono scelti quattro, sui quali il trio sfoga la sua dirompente creatività, che dà vita a una vastissima gamma di variazioni, con un uso prepotente delle percussioni, a tratti ossessive e compulsive, a tratti barbariche e martellanti, che non prevaricano l’originale, rivelandone piuttosto, la modernità assoluta, rivoluzionaria e anticipatrice di future esperienze musicali.

Ancora una volta la musica trascrive l’immagine, creando nuovi messaggi, nuove vibrazioni, nuove emozioni e, se volete, nuovi patemi. E dove non riesce ad arrivare lo strumento musicale, pur col virtuosissimo acrobatico di cui sono capaci Emerson Lake e Palmer, arriva la voce umana, sognante, disperata, lacerata. Greg Lake aggiunge, sull’onda delle note, le sue liriche.

Così mentre ci si avvia al finale, nei momenti in cui l’incalzare della musica conduce l’ascoltatore quasi sotto la grande Porta di Kiev, negli attimi in cui il volume sonoro smorza la sua veemenza e lascia spazio alla parola, la voce di Greg Lake potente e un po’ roca, drammatica e comunicativa, confessa:

There is no end for my life
No beginning to my death…. (Non c’è più fine alla mia vita
Non c’è inizio alla mia morte...).

Parole che non richiedono commento alcuno.