Ho iniziato ad amare i terrazzini in Grecia, a Salonicco, una decina di anni fa. Era estate ed ero andata a trovare la mia amica greca Eleni (o Elena, all’italiana, come ama farsi chiamare lei, che l’italiano lo parla e insegna), che vive in un quartiere tranquillo, Papafio, a 15 minuti a piedi dal centro di Salonicco, in un appartamentino con terrazzino al sesto piano.

Ospite di Elena, una sera, colta da ispirazione, sul suo terrazzino al sesto piano ho scritto una poesia a cui tengo molto, sull’appartenenza, le radici, l’identità, tra un calice di vino greco e un romanzo di Mauro Covacich. Nemmeno i clacson strombazzanti di sotto a tutte le ore riuscivano a distogliermi dal senso di rilassatezza e agio che provavo lassù: ogni striscia rosata di tramonto che mi precipitava davanti agli occhi, verso sera, era una consolazione dolcissima al brusio di sottofondo (che, comunque, ho sempre percepito come qualcosa di positivo, una forza vitale ricca di adrenalina). In Grecia, a ripensarci, tutte le case hanno un terrazzino. “A causa del clima”, mi spiega Elena, “dato che il sole è presente quasi tutti i giorni dell’anno”. Lei, per esempio, ha sempre vissuto in una casa con terrazzino. Per me, al contrario, nata e vissuta nel Nordest italico, che non brilla certo per clima mediterraneo, un balcone o un terrazzo non rappresentano chissà cosa.

Mi perdo ad ascoltare Elena che mi racconta come, per lei, ogni terrazzino abbia una propria funzione: nella sua casa di Atene, ne ha addirittura cinque! “Abbracciano l’intero appartamento al quarto piano”, mi spiega, “quindi sole in tutte le ore della giornata. Ogni terrazzino ha un uso diverso”, prosegue, “uno per i giocattoli del bambino, il mini giardino, l’area caffè, l’area relax con poltrone a sdraio e quello più piccolo dedicato al riciclo”. Nella casa di Salonicco, invece, mi svela di averne “solo” due: “Quello minuscolo è l’area green, quello più grande è l’area relax-sala da pranzo”.

Per Elena, il terrazzo è uno spazio vitale assoluto. “È soprattutto lo spazio del relax, della lettura o scrittura, per bere un caffè con gli amici, prendere la colazione o la cena a seconda della temperatura della giornata”, mi spiega. Sorride quando mi confessa: “Me ne dimentico solo se fa molto freddo, cioè pochissimi giorni all’anno”.

Salonicco, città portuale situata sul Golfo Termaico del Mar Egeo, è decisamente Mediterraneo. Mediterraneo, mi dice Elena, per lei è soprattutto “vacanze, isole, delfini” (che mi fanno pensare ad acqua e sole, come comune denominatore). Grecia, per Elena, è soprattutto “mare, musei, olio di oliva, sole”. L’acqua e il sole che tornano, nelle sue parole. Il clima di un luogo di certo aiuta a godersi un terrazzino. E un terrazzino si rivela cruciale, nel momento in cui, nonostante il clima, si è costretti in casa… mi tornano in mente i mesi del lockdown 2020, che ho passato rinchiusa in una abitazione senza spazi esterni. Anche in Grecia c’è stato il lockdown, e il terrazzo, per Elena, è stato salvifico: “L’unica uscita di sicurezza, senza la paura del virus”.

Durante il lockdown è cambiato il nostro modo di vivere le case. I terrazzi e i tetti condominiali, per esempio, sono diventati non solo luoghi vissuti nel quotidiano (rispetto a semplici luoghi di passaggio dove stendere la biancheria o fumarsi una sigaretta), ma scenari in cui sacerdoti si sono ritrovati a svolgere messe, o condomini si sono messi a praticare yoga, a cantare tutti in coro, a improvvisare aperitivi. Nuovi spazi di socialità, insomma. Che architetti e ingegneri stanno cominciando a “ripensare”, per dotarli di nuove funzioni: non solo spazi dove fare sport o smart working, ma crescere orti: “Ora in Grecia vanno di moda i terrazzini green, i nuovi giardini urbani pendenti”, mi conferma Elena.

Spazi verdi associati al benessere, scopro tra le righe del saggio Psicologia dell’abitare, a cura di Tommaso Filighera e Alessandra Michalizzi (FrancoAngeli 2018): a partire dalle prime sperimentazioni empiriche condotte da Ulrich nel 1984, sono state sempre più numerose le ricerche che hanno confermato una correlazione positiva tra esposizione alla natura e benessere psicofisico. Il verde, dicono gli studi, riduce lo stress, l’irritabilità, la stanchezza, il panico e la depressione… per cui, ben vengano i terrazzi, luoghi tattici da riempire di verde!

Mi rendo conto che, negli anni a venire, sulla spinta di questo periodo storico la progettazione di case e palazzi subirà dei cambiamenti. Che quello che cercheremo, in una casa, non saranno più soltanto determinate caratteristiche interne. Anzi, probabilmente l’interno da solo non ci basterà più, per quanto grande, per quanto bello. Già nel settembre 2020, un esperto come Francesco Roesler, Senior Landscape Architect & Masterplanner dello studio internazionale Dar Al-Handasah, sottolineava l’importanza crescente degli spazi esterni: un balcone o terrazzo, un giardino, saranno una priorità per ognuno di noi. Ci siamo resi conto che un ambiente esterno è a tutti gli effetti una estensione della nostra abitazione. Contemporaneamente, osserva Roesler, siamo diventati più sensibili all’aspetto, di tale ambiente, ai suoi arredi, agli esseri vegetali con cui possiamo decorarlo. Ci siamo indirizzati, dunque, verso una maggiore cura degli spazi vivibili che circondano la nostra casa.

Sono molti gli specialisti dell’ambito edilizio e architettonico, a sostenere che faremo sempre più uso di tetti e terrazze, cercando un legame tra interno ed esterno. Mi diverto a immaginare nuove sperimentazioni architettoniche: grandi terrazzi interni, fulcro centrale di ogni abitazione, ai cui quattro lati si aprono porte finestre che portano nelle varie stanze? Terrazzini incastrati in qualche modo tra una stanza e l’altra? Una piccola veranda personale in ogni stanza? Terrazze condominiali come parte integrante, e non accessoria, di ogni palazzo?

Probabilmente, le abitazioni rivestiranno un ruolo sempre più importante. Non solo come “contenitori” fisici in grado di fornirci riparo e rifugio, protezione. Ma soprattutto come luoghi “simbolici”. Sempre nel saggio La psicologia dell’abitare, leggo che “la casa, secondo de Botton, è il posto che riesce a dare un senso a ciò che riusciamo a interpretare e comprendere del mondo che ci circonda. Se prendiamo il termine ‘senso’, nella sua doppia accezione di direzione e di significato, possiamo ipotizzare che la dimensione dell’abitare, intercettando lo spazio e il tempo, trovi la sua naturale espressione nel racconto, nello storytelling”.

Ogni casa è una narrazione, dunque. “Gli oggetti, e con essi anche un meta-oggetto come la casa”, continuo a leggere su La psicologia dell’abitare, “possiedono un’intrinseca capacità narrante”. Quindi, anche gli ambienti esterni, di una casa, come i terrazzini? Penso alla mia narrazione, legata al mio contesto climatico: un terrazzo come mero luogo “di passaggio”, un’apertura verso l’esterno, per sentirsi parte integrante del mondo. Penso alla narrazione principale di Elena, legata al suo, di clima: il terrazzo come luogo fondante, “una camera in più, senza muri, in cui hai contatto diretto con il sole, il caldo”, mi diceva.

A proposito di sole, Elena mi cita uno dei maggiori poeti della Grecia moderna, Odiesseas Elitis (Creta, 1911 – Atene, 1996), detto anche “il poeta solare”, insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 1979. Un poeta che, durante la cerimonia di premiazione, non fece grandi discorsi, ma parlò del valore del sole, della luce. Tra le sue parole, spiccano “mi sia permesso di parlare in nome della luminosità e della trasparenza. Proprio perché i tempi sono oscuri dovremmo avere una visione più ampia, più luminosa delle cose”. Osservazione che mi pare sposarsi bene anche con i nostri, di tempi.

Per Elitis, il sole è come un imperatore, mi racconta Elena. I critici hanno sempre considerato quella di Elitis una voce piena di speranza e vigore, gioia e ottimismo. Non sempre il poeta si è trovato d’accordo con questa visione. Amava ripetere questo (traduzione mia, dall’inglese): “Credo che la poesia, a un certo livello di realizzazione, non sia né ottimista né pessimista. Piuttosto, rappresenta un ‘terzo livello dello spirito’, dove gli opposti cessano di esistere. Questo tipo di poesia è come la natura stessa, né buona né cattiva, né bella o brutta: semplicemente, è.”

Un augurio che faccio mio, nostro: quello di “semplicemente essere”, di questi tempi, dove siamo, come siamo. Magari scrutando, di tanto in tanto, il mondo che scorre fuori, dalla “giusta distanza”… dall’alto di un terrazzino?

In the beginning the light And the first hour / when lips still in clay / try out the things of the world / Green blood and bulbs golden in the earth / And the sea, so equisite in her sleep, spread / unbleached gauze of sky / under the carob trees and the great upright palms.

Al principio la luce E la prima ora / quando le labbra ancora d’argilla / saggiano le cose del mondo / sangue e bulbi verdi dorati nella terra / E il mare, così squisito nel sonno, sparge un velo di cielo non sbiancato / sotto il carrubo e le grandi e ritte palme [traduzione mia].

(Odiesseas Elitis, da The Axion Esti, 1959)