Il cibo è il fattore che più di ogni altro domina la storia del genere umano e ne condiziona lo sviluppo, la cultura, il benessere e la salute. In effetti la storia dell’uomo iniziò circa 20.000 anni fa con lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento che trasformarono le piccole tribù nomadi di cacciatori-raccoglitori in grandi popolazioni stanziali di contadini e pastori. La maggiore disponibilità di cibo, infatti, favorì l’aumento della popolazione mentre la vita sedentaria, unita alla maggiore disponibilità di tempo (i cacciatori-raccoglitori passavano gran parte della giornata in cerca di cibo), consentì ad un crescente numero di persone di dedicarsi allo sviluppo delle idee, dell’organizzazione sociale e della tecnologia1 .

Attualmente l’agricoltura nutre oltre 7 miliardi di persone ma molti studi hanno messo in evidenza che i modelli prevalenti di consumo e di produzione del cibo sono dannosi per la salute e insostenibili per l’ambiente. Occorre quindi, procedere con urgenza ad un decisivo cambio di rotta, ma come?

La questione non è affatto semplice. Le complesse relazioni che legano la produzione, il commercio e il consumo del cibo costituiscono infatti un immenso sistema complesso dove moltissimi elementi interagiscono e si influenzano a vicenda attraverso una fitta rete d’interazioni, gran parte delle quali ci è ignota. Comunque sia, ancorché l’evoluzione dei sistemi sia per loro natura caratterizzata da un alto grado d’incertezza, ciò che sappiamo ci consente di delineare con un buon grado di attendibilità e di sicurezza una serie di contromisure da adottare prima che sia troppo tardi.

In questa breve esposizione mi concentrerò su due elementi: dieta ideale e modelli di produzione del cibo eco-sostenibili.

Diete per tutti i gusti

L’alimentazione, oltre che motivo di sostentamento e di piacere, è senza dubbio un fattore essenziale per la salute, tanto che l’OMS stima che un decimo di tutte le malattie sia associato alla dieta. Si capisce quindi il grande interesse del mondo scientifico per lo studio di una dieta salubre.

Il compito, però, è tutt’altro che facile. Prima di tutto perché non è semplice stabilire come si nutre davvero la gente. Le persone tendono infatti a dimenticare facilmente ciò che mangiano, dimostrano una certa compiacente amnesia per alcuni alimenti (aperitivi, snack e dolciumi in particolare) e, stando a quanto riportato nei questionari, mangiano con sobrietà, tanto che in molti casi l’introito energetico sarebbe addirittura incompatibile con la vita. Inoltre, molto spesso le abitudini alimentari cambiano nel tempo e possono trascorrere decenni tra il consumo di un alimento e la manifestazione del problema di salute a cui è associato. Infine, attribuire proprietà positive o negative a singoli componenti come proteine, grassi, zuccheri o micronutrienti è particolarmente arduo in quanto cibo e salute sono legati da innumerevoli relazioni di tipo non-lineare che confondono gli effetti e inficiano le conclusioni. Non possiamo neppure dimenticare che il sistema alimentare muove interessi economici enormi e che di conseguenza la ricerca non è esente da palesi conflitti d’interesse. Basti pensare che oltre il 90% degli studi sponsorizzati dall’industria alimentare riporta risultati favorevoli agli interessi commerciali di chi li propone2 .

Tutto ciò contribuisce ad alimentare una ridda di consigli, aneddoti e annunci di successi straordinari spesso indotti da tornaconti economici. Basta un rapido sguardo a ciò che propone il web per rendersi conto che, a parte le diverse abitudini alimentari dettate dal modello culturale di riferimento, milioni di persone seguono regimi dietetici molto diversi e talvolta stravaganti. Vegetariani e vegani non mangiano cibi di origine animale, altri si nutrono prevalentemente di carne come i nostri antenati preistorici, qualcuno consuma solo cibi crudi, altri ancora scelgono gli alimenti in base al colore o mangiano qualsiasi cosa ma solo in determinati orari.

Il cibo nell’Antropocene

Per fare un po’ di chiarezza in questa baraonda nel 2019, su invito dalla Fondazione no-profit EAT e della prestigiosa rivista The Lancet, un gruppo di 37 scienziati indipendenti, appartenenti a diverse discipline scientifiche e provenienti da 16 Nazioni, fu incaricato di definire, sulla base delle migliori conoscenze disponibili, una dieta che fosse nel contempo salubre per l’uomo e sostenibile per l’ambiente. Le conclusioni furono pubblicate nel famoso Rapporto: Food in the Anthropocene3 secondo il quale, per evitare che i nostri figli ereditino un pianeta gravemente degradato è necessario promuovere un radicale cambiamento del modo di alimentarci e di produrre il cibo. Già oggi, del resto, più di 800 milioni di persone soffrono la fame, mentre paradossalmente quasi due miliardi sono obese e tantissime altre seguono regimi dietetici qualitativamente squilibrati. Come dovrebbe essere allora la dieta ideale?

La dieta ideale

Molti aspetti legati ai singoli nutrienti restano ancora da chiarire e le conoscenze sono in continua evoluzione ma quello che sappiamo ci consente di definire con un buon livello di affidabilità alcune linee guida di sicuro affidamento.

In primo luogo, dobbiamo attenerci a due regole generali: mangiare con sobrietà per non aumentare di peso e seguire una dieta prevalentemente vegetariana: cereali integrali, frutta secca e legumi, verdura e frutta di stagione.

Il consumo di carni rosse (manzo, maiale e pecora), specie se lavorate, dovrebbe essere limitato a circa 100 g alla settimana, dato che esso è associato ad un aumento significativo del rischio di malattie cardiovascolari e cancro. L’apporto proteico dovrebbe essere garantito, oltre che da cereali, legumi e frutta secca, da un modesto consumo di pollame, pesce, uova e prodotti caseari.

Per diminuire il rischio di malattie cardiovascolari, fino a qualche anno fa si raccomandava di ridurre l’apporto complessivo di grassi ma le attuali conoscenze derivate da studi osservazionali e da trial clinici non confermano questi benefici4 . In particolare, sostituire le calorie assunte con i grassi con quelle provenienti dai carboidrati (specie se zuccheri semplici), oltre a non ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, aumenta l’incidenza del diabete di tipo 2 e dell’obesità. Vi sono invece consistenti prove scientifiche sull’utilità di sostituire l’apporto di grassi saturi di origine animale con oli di origine vegetale, come l’olio extravergine di oliva, ricco di grassi insaturi.

Il consumo di dolci e in particolare di bevande zuccherate dovrebbe essere drasticamente ridotto perché associato ad un’alta incidenza di obesità, diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari.

Sistemi agro-alimentari: i limiti dello sviluppo

Stabilita la dieta ideale vediamo ora cosa si dovrebbe fare per produrre i cibi necessari a soddisfare i fabbisogni nutritivi dell’uomo senza compromettere l’ambiente.

Agricoltura e zootecnia sono la principale causa del degrado ambientale. Esse emettono il 25-30% dei gas serra, consumano il 70% dell’acqua dolce, eutrofizzano e acidificano gli ecosistemi acquatici e terrestri e riducono la biodiversità. Una situazione insostenibile per l’ambiente e destinata a peggiorare ulteriormente a causa dell’aumento della popolazione e del repentino cambiamento delle abitudini alimentari sempre più orientate verso il consumo di proteine animali.

Come si può facilmente intuire siamo di fronte ad una serie di problemi interdipendenti che vanno affrontati in un’ottica sistemica e transdisciplinare. Per capire di cosa parliamo può essere utile ricordare brevemente i 5 sistemi ambientali più direttamente coinvolti.

1. Clima

La produzione del cibo è responsabile di circa un terzo delle emissioni globali di metano, ossidi di azoto e CO2, da cui deriva il surriscaldamento terrestre e le sue disastrose conseguenze. Il metano è prodotto principalmente dai ruminanti durante la digestione; gli ossidi d’azoto sono rilasciati dai microbi del suolo e dai fertilizzanti di sintesi; la CO2, deriva dalla combustione del materiale organico, dall’impiego di combustibili fossili e dalla deforestazione.

2. Acqua

Senza acqua non c’è vita. Dall’acqua dipende lo sviluppo e la distribuzione della biomassa terrestre. Il 70% dell’acqua dolce viene utilizzata in agricoltura con rendimenti molto variabili. La diffusione di adeguate tecniche irrigue potrebbe senza dubbio contribuire ad aumentare la produzione soprattutto nelle regioni dove la scarsità di acqua rappresenta l’elemento più critico.

3. Ciclo dell’azoto e fosforo

Sono elementi vitali per gli organismi viventi ma la loro disponibilità non è ubiquitaria, cosicché l’aggiunta di fertilizzanti chimici è indispensabile per garantire buoni raccolti. Se utilizzati in modo eccessivo essi, però, si riversano nei fiumi e nei laghi con conseguenze molto negative per l’ambiente, quali l’eutrofizzazione delle acque e la riduzione della biodiversità. La loro produzione, inoltre, genera un ingente quantità gas serra, per cui è necessario migliorare le modalità d’impiego e di riciclo.

4. Suolo

Circa il 40% delle terre non coperte da ghiacci è impiegato per usi agricoli. Adottando una dieta ottimale, ottimizzando la produttività e sfruttando i suoli inattivi tale superficie potrebbe bastare per nutrire l’intera popolazione mondiale. Allo scopo di tutelare l’ambiente e la biodiversità occorre quindi porre fine alla deforestazione e all’occupazione di ambienti naturali incontaminati con nuovi terreni adibiti all’agricoltura.

5. Biodiversità

Il tasso di estinzione delle specie viene oggi valutato da 100 a 1.000 volte superiore a quello delle epoche storiche passate. Quali siano i valori compatibili con l’ambiente non è ancora chiaro, ma è certo che il fenomeno sia molto preoccupante dato che la diversità e la ricchezza degli organismi viventi garantiscono la stabilità degli ecosistemi, compresi quelli agricoli. Per esempio, negli ultimi 30 anni la biomassa degli insetti è diminuita del 75% mettendo in crisi l’impollinazione naturale. La riduzione degli habitat naturali e la loro frammentazione per usi agricoli sono la principale causa della progressiva, allarmante diminuzione della biodiversità.

Allora, che fare?

Si sa che la gente è piuttosto riluttante a cambiare le abitudini alimentari ma attenersi alla dieta ideale non dovrebbe essere troppo difficile. Essa, infatti, consente un’ampia varietà di preparazioni che tengono conto dei gusti personali, delle tradizioni, della stagionalità e dei prodotti reperibili sul mercato locale. In questo senso la dieta mediterranea che s’ispira a ciò che mangiavano le popolazioni povere dei Paesi mediterranei è un buon esempio di dieta equilibrata, tanto che nel 2010 l’Unesco l’ha inserita tra i patrimoni culturali dell'umanità dell’Italia e di altri Paesi del Mediterraneo. Gli alimenti della dieta sono piuttosto differenziati e sono in linea con quelli suggeriti dal Rapporto degli esperti del Lancet: cereali integrali, frutta e verdura, legumi, olio d’oliva, frutta secca, poca carne, pesce, formaggi, yogurt e vino.

Per ridurre l’impronta ecologica delle pratiche agricole, oltre a limitare gli sprechi, bisogna invece rispettare i 5 ecosistemi sopra richiamati, tenendo conto del contesto locale, dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche, del progresso tecnologico e del fatto che le azioni che si esercitano su di essi sono largamente interdipendenti. A questo fine la produzione dovrebbe prediligere la coltivazione di cereali, legumi, frutta e verdura il cui impatto complessivo sull’ambiente è molto minore rispetto all’allevamento di animali. I bovini, in particolare sono responsabili da soli di oltre la metà delle emissioni inquinanti dell’intero settore agroalimentare.

Si dovrebbe poi cambiare in modo radicale il modello agricolo basato su monoculture e sul largo impiego di concimi chimici e pesticidi che si è sviluppato quando si pensava che energia e acqua fossero inesauribili, l’ambiente potesse assorbire qualsiasi aggressione e il clima rimanesse stabile. Requisiti che si sono rivelati irrealistici per cui occorre orientarsi verso nuovi modelli produttivi eco-sostenibili come l’agroecologia: una scienza transdisciplinare che si richiama ai principi sistemici e che include le dimensioni ecologiche, tecnologiche, sociali ed economiche5 . Per quanto riguarda le tecniche produttive questi nuovi modelli si basano sulla diversificazione delle colture, sulla rotazione delle coltivazioni, sull’utilizzo di adeguati sistemi d’irrigazione, sull’impiego di concimi a base di letame e residui organici, sulla sostituzione dei pesticidi con sistemi biologici di controllo dei parassiti.

Le cose da fare sono tante e coinvolgono tutti, lungo un ampio spetro di responsabilità, a partire dagli impegni internazionali fino al comportamento delle singole persone. Ognuno deve fare la sua parte, tenendo conto, come ci insegna Greta Thunberg, che spesso i grandi cambiamenti nascono dal basso, quando i cittadini prendono coscienza che è giunto il tempo di cambiare e muovendosi in sintonia generano una forza immensa capace di ottenere risultati straordinari e insperati.

Note

1 Diamond J: Armi, acciaio e malattie. Einaudi, 1998.
2 Nestle M: Corporate Funding of Food and Nutrition Research Science or Marketing? JAMA Internal Medicine 2016; 176: 13-14.
3 Willett W et al: Food in the Anthropocene: the EAT–Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems, The Lancet, gennaio 2019.
4 Chowdhury R et al: Association of dietary, circulating, and supplement fatty acids with coronary risk: a systematic review and meta-analysis. Ann Intern Med 2014;160:398-406.
5 FAO: Agroecological and other innovative approaches for sustainable agriculture and food systems that enhance food security and nutrition. Rome 2019.