La chiesa romana di San Luigi dei Francesi è oggi visitata e conosciuta soprattutto per la Cappella Contarelli, quella dipinta nel 1599 dal Caravaggio con gli episodi della vita di San Matteo. Ma, accanto a questa, c’è una cappella di altrettanto valore artistico: quella di San Luigi, realizzata da Plautilla Bricci, vissuta a Roma nel XVII secolo e che possiamo davvero considerare la prima “architettrice” della storia moderna anzi, meglio: l’unico architetto donna nell’Europa pre-industriale.

Questa figura è da pochi anni ritornata a far parlare di sé, sia grazie al romanzo storico L’architettrice a lei dedicato dall’ottima Melania Mazzucco, pubblicato da Einaudi nel 2019, sia grazie alla prima mostra internazionale a lei interamente intitolata, Plautilla Bricci pittrice e architettrice. Una rivoluzione silenziosa, inaugurata il 5 novembre 2021 e che si potrà ammirare fino al 19 aprile 2022 nei bellissimi spazi della Galleria Corsini di Roma.

Di Plautilla non è rimasto né un ritratto né una descrizione fisica: sta quindi a noi, servendosi della nostra immaginazione (del resto, chi ha immaginazione è capace di creare dal nulla un mondo), provare a vedere anche oggi questa donna nel suo studio di architettura e pittura, situato nel Lungotevere, da dove diede vita ai disegni e ai bozzetti per le sue opere e da dove seguì e diresse i suoi cantieri.

Una figura fondamentale della sua vita fu il padre, Giovanni Bricci, da tutti chiamato “il Briccio”, che fu anche il suo primo educatore e il primo promotore della sua carriera. Un artista “a tutto tondo”, potremmo definirlo oggi, visto che, oltre a dipingere, scrisse anche commedie e poesie, e fu anche attore. Giovanni era il figlio di un “materazzaro” genovese, che si era trasferito a Roma intorno al 1570 e, grazie alla sua intelligenza e all’innegabili doti artistiche, riuscì ad avere un’istruzione di un certo livello. Un “genio plebeo”, potremmo definirlo, osteggiato dai letterati in un’epoca in cui a Roma c’erano più scrittori che abitanti e poco considerato negli ambienti che contavano: un bizzarro cane randagio in un momento storico in cui era necessario avere un padrone, per fare carriera. Ed infatti, il Bricci dal suo lavoro ricavò sempre poco più dello stretto necessario del vivere: ma ebbe la consolazione, sicuramente non di poco conto, di vedere Plautilla, la figlia femmina più vicina a lui per aspirazioni e temperamento, riuscire a realizzarsi e arrivare a punti che di certo lui non avrebbe mai sperato di poter raggiungere.

Sicuramente nel Seicento per una donna, peraltro di umili origini, non era facile emergere nel panorama artistico, farsi un nome e guadagnarsi una credibilità. Ed infatti, anche il percorso di Plautilla non fu certo agevole e privo di ostacoli, anzi. E per riuscire ad essere credibile dovette sacrificare molto di se stessa, a partire dal suo essere donna: per poter essere lanciata nel mondo dell’arte a lei contemporanea con maggiore credibilità e per evitare qualsiasi “incidente” sentimentale, così come per creare intorno a lei un’aurea di eccezionalità, scelse la strada della verginità. Questo le garantì un’indipendenza che per una donna era rarissima all’epoca visto che, oltre a non sposarsi, non si fece neppure monaca.

Sicuramente, a segnare la sua esistenza e tutta la sua carriera fu un incontro che potremmo definire fortuito, anche se poi è sufficiente avere anche poca esperienza di vita per capire che certi incontri non sono mai fortuiti: una parte di noi, di certo in maniera inconsapevole, da tempo stava silenziosamente lavorando affinché quell’incontro che ci ha poi cambiato la vita avvenisse, e avvenisse nel modo e nel momento esatto in cui è successo.

L’incontro di cui stiamo parlando è quello con l’abate Elpidio Benedetti che, entrato a far parte della Curia romana con un ruolo secondario, fu mandato in Francia dove divenne il segretario del cardinale Giulio Mazzarino, riuscendo a conquistare completamente la sua fiducia. Ed infatti, dopo il ritorno a Roma, Benedetti fu incaricato di importanti compiti, tra cui sorvegliare l’operato dei giovani artisti francesi che si trovavano a Roma, e che erano stati incaricati della progettazione del Louvre, e cercare giovani artisti emergenti nel variegato mondo romano, da promuovere ed eventualmente mandare in Francia a perfezionarsi in un secondo momento. Ed ecco che si imbatté così nella giovane Plautilla, che cominciava titubante a muovere i primi passi nel mondo artistico romano. Un bell’esempio, questo, di due giovani ricchi di sogni che, unendo i loro mezzi, insieme riescono ad essere e a valere molto di più di quanto avrebbero potuto fare singolarmente.

Plautilla era già discretamente conosciuta come pittrice, nella Roma del tempo: aveva infatti dipinto una Madonna con bambino, che rientra a pieno titolo nel cliché di genere. Anche con questo dipinto, però, lei riuscì comunque a distinguersi, visto che questo fu associato ad un avvenimento miracoloso. Si sparse infatti la voce che l’artista, ancora molto giovane, dopo aver terminato il piccolo Gesù e il busto della Vergine, non riusciva però a finirne il volto. Stanca e mortificata, la giovane andò allora a riposarsi e, quando si alzò, ritrovò il dipinto completato, probabilmente per mano divina. Il dipinto fu in seguito donato alla Chiesa del Carmine e, grazie a quest’aurea miracolosa che lo circondava, divenne meta di pellegrinaggio di tantissime persone, che a questa Madonna si appellavano per chiedere qualcosa per le loro vite.

Ma, tornando alla sua vicinanza con Elpidio Benedetti, furono proprio i lavori architettonici che lui le aiutò a trovare e che le commissionò direttamente, che le garantirono una grandissima fama. Ci riferiamo soprattutto ai due gioielli della cultura barocca che ci ha lasciato: la cappella di San Luigi nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, di cui abbiamo parlato inizialmente, e Villa Benedetta, sontuosa dimora fuori porta San Pancrazio. La villa, purtroppo distrutta durante l’assedio francese del 1849, di fatto rappresentava un unicum nell’architettura civile romana. La sua forma allungata, con i lati minori prospettanti l’uno sull’Aurelia e l’altro verso il Vaticano, le fece assumere il nominativo de “Il Vascello”, che presto fu usato per indicare tutta l’area limitrofa.

…La casa deve essere costruita seguendo il progetto, con tre piani, fatto dalla Signora Plautilla Bricci Arch[it]ettrice, sia sulla fronte, sui lati e nella parte posteriore così come è nei disegni fatti da Plautilla, che sono stati dati a me [Benedetti] per accompagnare questo documento.

Così si legge in un Capitolato del 1663 tra il Benedetti, l’architetto Plautilla Bricci e il capo mastro Marco Antonio Bergiola.

Probabilmente, l’idea di un edificio a forma di nave che solca le onde era un richiamo all’Arca di Noè, nell’intento di celebrare il re di Francia come uomo giusto, paragonandolo appunto a Noè, mentre la nave aveva simbolicamente il compito di superare il conflitto tra la Chiesa ed il re di Francia. Nucleo centrale della villa era la galleria, lastricata di maioliche di tre colori e ornata di stucchi riccamente dorati e pitture: sulla volta spiccava l’Aurora di Pietro da Cortona. L’ubicazione di Villa Benedetta era davvero invidiabile: dominava Roma, con una vista a 360 gradi che spaziava dal monte Velino ai Castelli Romani, fino al Mar Tirreno. Quello strapiombo, probabilmente, da tempo stimolava la fantasia di tanti architetti, che però dovevano essere anche consapevoli delle difficoltà che una costruzione in questo luogo avrebbe portato. Chi avesse accettato questa sfida, ne avrebbe acquisito gloria per sempre: e di questo la nostra architettrice doveva essere pienamente consapevole.

Quando pose la prima pietra alla fondazione della villa da lei progettata, Plautilla Bricci fece tracciare su una lamina di piombo una scritta in cui rivendicava di essere celebre come pittrice e architettrice: è evidente la considerazione che giustamente questa donna aveva di sé, visto anche che tutti i suoi progressi erano stati solo frutto di impegno, sacrificio e tenacia.

Tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, logge, scale, prospettive, giardini. Per quanto ne sapevo, una donna non l'aveva mai fatto.

È con questa citazione tratta dal romanzo L’architettrice che vogliamo salutare Plautilla Bricci: una delle tantissime donne che, con il suo operato, ha aiutato tutte noi a prendere coscienza delle nostre capacità e del fatto che niente è davvero impossibile, se veramente ci crediamo. I costumi sono fondati sulla quantità di opinioni. Le leggi e le consuetudini cambiano quando quelli mutano: bisogna solo avere coraggio. Così come lo ebbe Plautilla tanti anni fa. E attraverso lo studio della sua vita e della sua opera, e soprattutto lasciandoci guidare dall’immaginazione, faremo in modo che quel viso incompiuto si dipinga da sé, e cercheremo di restituire a quel nome di donna una vita, una voce e una storia.