In questo articolo si parlerà di alcuni aspetti della crisi ecologica, soprattutto di quelli che hanno inciso maggiormente sugli animali a noi più prossimi, cioè le scimmie antropoidi, sebbene abbiano ovviamente avuto dei riflessi negativi anche sulla vita dell’uomo.

Nel mondo, dall’aprile del 2020 al marzo del 2021, che è stato l’ottavo mese più caldo di sempre, l’incremento della temperatura rispetto alla media 1991-2020 è stato di 0,34 °C. L’anno solare più caldo è stato il 2016 con un aumento medio della temperatura di 0,44 °C. Potrebbero sembrare delle inezie, ma purtroppo non è così. Il fatto più sorprendente è che nelle isole Svalbard (Norvegia) a 78° 13’ latitudine Nord, nel Mar Glaciale Artico, negli ultimi anni si è verificato un aumento della temperatura di ben 3 °C, ma sembra che le grandi compagnie di trasporto container, come Maersk, MSC, CMA CGM e COSCO Shipping ne siano molto contente perché tra poco si potrà aprire la via del Nord per far viaggiare le merci via mare da Est a Ovest e viceversa, non più attraverso il canale di Suez, ma costeggiando la Siberia del Nord. Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico consentirà la navigazione, ad esempio, da Helsinki a Vladivostok in 40 giorni contro i 52 attuali via Canale di Suez, come se 12 giorni di differenza possano salvare le sorti dell’umanità. Il primo passaggio su questa rotta glaciale è avvenuta il mese di Settembre 2021. Tutti i media del mondo non ne hanno parlato nemmeno per un secondo. Nessuno però riflette sul fatto che solo negli ultimi 25 anni il livello del mare, a causa dello scioglimento dei ghiacciai e del pack artico, è cresciuto di 15 cm. Questo vuol dire che tra 100 anni Venezia, Amsterdam, Barcellona e tante altre città rivierasche del mondo finiranno sott’acqua. La diga di sbarramento Afsluitdijk, in Olanda, lunga 32 Km e a 7,6 metri sul livello del mare, e il MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) costruito per arginare le maree su Venezia, non serviranno più a niente. A volte viene da pensare che queste grandi opere, più che per difendere città e paesi dalle alluvioni, come dovrebbe essere, siano state fatte per far fare soldi alle industrie investitrici! Poi, chissà se qualche grande agenzia del turismo in futuro non penserà di organizzare delle visite a queste città sommerse con gli scafandri! Non c’è da meravigliarsi che, ad esempio, in questo caso non sotto il livello del mare, ma in superficie, le macerie del terremoto del Belice in Sicilia del 1968, che ha causato la morte di circa 300 persone, siano diventate una macabra meta turistica, ma di successo, accompagnata da tanta morbosa curiosità da parte dei visitatori.

Il 2016 è stato anche l’anno del terremoto nelle Marche, nel Lazio e in Umbria, con lo stesso numero di morti del Belice e con danni ecologici immensi e sembra che tutti se ne stiano disinteressando, a eccezione di quelli che ci stanno speculando sopra, politici, costruttori, inclusi molti terremotati sfollati e ricollocati in altri luoghi. I media non ne parlano quasi più, ma le macerie sono ancora sul luogo del disastro e la ricostruzione è praticamente ancora all’anno zero. Questa catastrofe finirà presto nel dimenticatoio della coscienza del nostro Paese, come tanti altri disastri naturali accaduti in Italia.

La biodiversità

A partire dal XX secolo il tasso di estinzione delle specie viventi è aumentato di 100 volte. Questo vuol dire che in poco più di 100 anni le specie che scompariranno sulla Terra saranno pari a quelle estinte in tutto il corso della nostra storia e della nostra civiltà. Si tratta di una quantità inverosimile e il fatto più grave è che non si stia facendo praticamente niente per invertire questa tendenza. I governi parlano, parlano, parlano ma non prendono mai decisioni serie, anzi, remano contro a guardare i sussidi che erogano per lo sfruttamento delle fonti fossili da parte di multinazionali senza scrupoli. Di recente gli stanziamenti per lo sfruttamento delle risorse fossili sono stati 5.300 miliardi di dollari, pari al 6.5% del PIL mondiale! In Gran Bretagna è da 9 secoli che si utilizza il carbone fossile e si continua a farlo con l’aiuto dello Stato. Anziché investire in fonti energetiche alternative e meno inquinanti, si è incremento il consumo di energia fossile, in primo luogo del petrolio. In questo quadro globale, non si poteva certo pensare che la natura tutta non ne risentisse.

In Ecuador negli ultimi decenni sono letteralmente scomparse per malattie e contaminazioni mortali intere popolazioni umane e autoctone, i Secoya, i Cofan, gli Huaorom e varie altre etnie, a causa dell’inquinamento provocato dalle estrazioni petrolifere; figuriamoci quello che può essere accaduto agli animali e quindi alla biodiversità! In Ecuador vivono diverse specie di scimmie sud-americane, ma, a causa dell’inquinamento dell’ambiente derivante dai pozzi e dalla conseguente deforestazione, sono in via di estinzione l’Alouatta fusca, l’Alouatta belzebul, l’Ateles fusciceps, la Pithecia monachus e purtroppo molte altre specie. Scompaiono nel più assoluto silenzio di tutti. Per quanto riguarda le popolazioni umane, si tratta di un raffinato e lento genocidio di massa, ma in Ecuador la Banca Mondiale continua ancora a finanziare le compagnie petrolifere, tutte regolarmente offshore. Quindi, per gli ecuadoregni, oltre al danno, anche la beffa.

La biodiversità favorisce la nostra salute fisica e mentale e aumenta il nostro benessere; invece, si fa di tutto per rendere la nostra vita sulla Terra sempre più difficile. A questo proposito ci sono molti esempi eclatanti. La riduzione della biodiversità in un Paese come la Mongolia (3 milioni di abitanti in una superficie di 1.556.000 km2) ha influenzato le abitudini alimentari dei lupi che si avvicinano sempre di più ai centri abitati (figuriamoci cosa può essere accaduto in altri Paesi con una densità di popolazione superiore a quello della Mongolia che è di 1,9 abitanti per km2). Abbiamo parlato dei lupi, ma avremmo potuto menzionare un’infinità di altri animali selvatici: basti pensare a quello che sta accadendo nei territori del Nord-Ovest in Canada con gli orsi bianchi o in Italia con i cinghiali, con i gabbiani e tante altre specie di uccelli che si avvicinano alle periferie della città per andare alla ricerca di cibo nei cassonetti e tra la spazzatura. Per le strade di Roma non è difficile incrociare, soprattutto all’alba, caprioli, tassi e volpi. Nel cielo di Milano recentemente sono state avvistate addirittura delle aquile. Per quanto riguarda le scimmie, soprattutto macachi, queste, per andare alla ricerca del cibo che diventa sempre più scarso nei loro territori naturali, invadono i centri urbani dell’India, del Bangladesh, delle Filippine e della Tailandia. Volpi e lupi, a causa della carenza delle prede naturali nel loro ambiente naturale, per sopravvivere, sono costretti ad aggredire pascoli, stabulari di polli, di conigli e di altri animali domestici. I parchi nazionali nel mondo sono aumentati, questo è vero, però sembra che più che per salvaguardare gli animali selvatici e la flora, siano stati istituiti per aumentare il numero dei visitatori, che pagano un biglietto spesso molto costoso, che utilizzano parcheggi asfaltati all’interno dei parchi stessi per le loro macchine, camper, motociclette e qualsiasi altro mezzo di trasporto, tutti rigorosamente a benzina. Nemmeno in questi luoghi c’è rispetto per la natura. Si vedono turisti a frotte, soprattutto nei periodi estivi, grassi e volgari con uno smartphone, a volte anche due a testa, per fotografare e parlare a voce alta, con i loro pingui bambini chiassosi e capricciosi perennemente con un hamburger nella mano destra e una bottiglia di Coca-Cola in quella sinistra, come se fossero in un parco-giochi. Altro che salvaguardia della biodiversità!

Sradicamento culturale del buon senso

Dobbiamo anche ammettere che la comunità in generale, non tutta e non in tutti i luoghi, si impegna per un’inversione di tendenza facendo costruire depuratori e fogne, incrementando la raccolta differenziata dei rifiuti, finanziando il rimboschimento e altro ancora, ma sembra che tutto questo rappresenti più che una seria presa di coscienza della situazione, un rimedio tardivo, in sostanza un chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati. Ci si doveva pensare molto prima. Si doveva capire quali sono i nostri limiti e che noi esseri umani non siamo animali speciali ma sottoposti, come tutti, alle leggi della natura. È stato questo grave errore di valutazione che ci ha portati al punto in cui siamo. C’è stato uno sradicamento culturale del buon senso, complici una politica autoreferenziale, un egoismo sfrenato della finanza, una ricerca forsennata di una felicità fittizia fatta di piccole cose, di gite lampo al mare o in montagna, di grandi abbuffate, di una scuola alla deriva, di un’educazione permissiva che salvaguarda più che l’interesse collettivo, quello individuale, quando sappiamo che l’individuo da solo non arriva mai da nessuna parte. Ma questo era già nell’aria da molto tempo, cioè da quando l’uomo ha cominciato a porsi al di sopra della natura. Un tempo, le culture pagane, sotto certi aspetti, avevano più rispetto per la natura, erano più reverenziali, avevano più soggezione al cospetto dei fenomeni naturali. Solo San Francesco ha cercato vanamente di ribaltare l’ordine delle cose, cioè di mettere sullo stesso piano tutti gli esseri viventi, tutte creature di Dio. Si può certamente affermare che San Francesco sia stato il primo santo ecologista, ma chi dopo di lui ha seguito il suo insegnamento?

Il ruolo delle scimmie

Abbiamo iniziato questo breve articolo nominando le scimmie, senza però entrare nei particolari. Perché le dobbiamo ritenere così importanti ai fini di un segnale significativo del punto al quale sono arrivati i nostri limiti di sopravvivenza nel nostro Pianeta? Perché non abbiamo preso come animali di riferimento, ad esempio, le zebre o le marmotte? Perché proprio loro? Dopo tutto le scimmie non si trovano in tutte le zone del mondo. Per esempio, in Europa non esistono scimmie autoctone (unica eccezione a Gibilterra, ma lì sono state portate dal Nord Africa dagli inglesi più di due secoli fa). Non vivono nemmeno in Nord America, nemmeno in Russia e in Corea, però si trovano in Giappone. Non vivono in Australia e in Nuova Zelanda. Allora perché preoccuparci? In effetti non dobbiamo preoccuparci più di tanto di loro, ma di noi stessi e del nostro comportamento.

Le scimmie sono le specie viventi più prossime all’uomo e quindi dovrebbero essere importanti per sondare il livello di degrado a cui è arrivato il nostro Pianeta. Nei luoghi in cui esse non riescono a sopravvivere per mancanza di spazi, sicurezza e cibo, prima o poi gli stessi problemi dovranno essere affrontati anche dagli esseri umani. Non è un caso che i Paesi in cui le scimmie sono in grande difficoltà e in via di estinzione, sono gli stessi in cui non c’è cibo per tutti gli uomini, c’è povertà, le malattie sono molto diffuse, le epidemie e le guerre sono all’ordine del giorno, come sta succedendo in molti Paesi africani. Qualcuno, per scarsità di vedute o per grettezza intellettuale, potrebbe dire che questi non sono problemi per gli europei in quanto qui da noi non ci sono le scimmie. Ora non esistono più, questo è vero, ma molte loro antenate, che ora sono scomparse, vivevano in Europa e non bisogna andare molto lontano nel tempo per trovarle. Alcune scimmie antropomorfe del Genere Ouranopithecus, i cui resti fossili sono stati trovati tra i Balcani e la Penisola ellenica, risalgono a circa 9 milioni di anni fa, un periodo che a noi sembra molto lontano, ma che per la cronologia geologica e culturale è uguale alla durata di un lampo.

Bibliografia

Pier Paolo Poggio, La crisi ecologica: origini, rimozioni, significati, Jaca Book, Milano, 2003.
Angelo Tartabini, Il mondo in bilico, Mursia, Milano, 2008.
Jason W. Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo, Ombre Corte, Verona, 2015.
Giorgio Nebbia, La Terra brucia, Jaca Book, Milano, 2020.