“Un quadro vale solo in quanto è, essere totale: non bisogna dire nulla: essere soltanto”. Se si cammina nel cuore pulsante del quartiere di Brera, in quell’isola ciottolosa di via Fiori Chiari 16 a Milano, dove aveva il suo studio, ci sembra ancora di sentirlo parlare, Piero Manzoni, l’artista italiano, che ha saputo più di altri, con il sottile gioco dell’intelligenza, identificare nell’idea che precede l’opera la vera essenza dell’opera stessa. La sua ironia e il suo spettacolare paradosso hanno contribuito a rinnovare il concetto di arte e a spingersi oltre la realtà delle cose, concentrandosi più sul processo creativo che sulla creazione stessa.

Durante la pandemia, sono molti gli artisti che, seguendo l’insegnamento di Manzoni, hanno sprigionato la propria creatività, dando vita, paradossalmente, ad una sorta di distruzione, una distruzione creativa, dove le certezze acquisite vengono distrutte e ricostruite in una nuova dimensione, surreale e reale allo stesso tempo. E’ ciò che è successo ad Antoh Mansueto, artista visionario che con le sue opere, in mostra fino al 30 novembre presso l’ex Studio di Piero Manzoni, rompe le convenzioni della società contemporanea e costruisce nuove regole pittoriche, con la stessa ingenuità di un bambino. “Pochi mesi prima della pandemia, era in corso a Roma una mia mostra, dal titolo Distruzione Creativa, dove, attraverso dei laboratori artistici, facevo sperimentare la mia arte, mostrando che la distruzione è spesso l’altra faccia della creazione. Sappiamo bene che tutti i grandi movimenti artistici, impressionismo, cubismo, astrattismo, sono nati dalla volontà di infrangere i canoni allora dominanti e di sperimentare una nuova creatività. Pochi mesi dopo la mia personale, è arrivata la pandemia, una distruzione creativa della natura, a nostro danno, all’inizio ero come paralizzato, poi gradualmente ho iniziato ad ambientarmi e a vivere questa nuova realtà, fermo come nel punto più alto della oscillazione di un pendolo, sospeso in una dimensione surreale ma reale allo stesso tempo”.

Il titolo della mostra milanese “Sospeso” fa infatti riferimento per l’artista alla realtà attuale che stiamo vivendo, non siamo più in uno stato di lockdown totale ma non siamo ancora usciti totalmente dalla pandemia e non si sa quando e se questo avverrà. Più che una mostra, Antoh la definisce un “open studio” nello studio di Piero, viste le caratteristiche del luogo, pieno di ricordi. Nelle tele esposte, i suoi soggetti principali sono delle creature mutanti e incomplete, a metà tra puppet e cartoons, deformate e ingrandite per effetto di “prospettive accentuate”, che invitano i visitatori a riflettere con ironia sulla nostra società, dove il caos organizzato è l’elemento che unifica ma che allo stesso tempo ci riversa nell’incertezza facendoci vivere in dimensioni mutevoli. “In questa fase della mia vita mi sento sospeso, come se fossi nel punto più alto dell’oscillazione di un pendolo, quando il peso si ferma e poi ricomincia la sua corsa ma in una direzione opposta, diversa da quella a cui è arrivato. Stiamo ricominciando la nostra corsa ma in una direzione diversa, non siamo completamente usciti dalla fase distruttiva ed entrati in quella fase che è la creazione di una nuova vita e di un nuovo modo di vivere. Sono rimasto confinato, distanziato, inaspettatamente, per diversi periodi nella natura, dove luce, vuoto, mare e cielo dominano.”.

Le sue tele, spesso associate all’Art brut per il rifiuto delle norme estetiche convenzionali, denotano infatti un’arte spontanea, istintiva, creata dalla solitudine e da impulsi creativi puri e autentici che rispecchiano anche l’animo puro e infantile dell’artista stesso. “Sono una persona che si entusiasma come i bambini per tutto ciò che è nuovo e affascinante e per piccole cose che possono farmi immaginare grandi progetti; il grande Bruno Munari mi diceva che si deve restare sempre un po' bambino per vedere quello che gli adulti non riescono a vedere. I miei disegni, visti anche come infantili, rappresentano per me l’indefinitezza della nostra società che non si riconosce più in un unico valore, ma vive ormai nel costante incontro-scontro di valori diversi”.

Attraverso una linea pittorica, definita dall’artista stesso “geometrico-grafica”, i suoi personaggi dipingono un mondo vivace, che evoca e suggerisce sempre nuove interpretazioni.

Durante il percorso espositivo è possibile visionare anche delle installazioni luminose in una zona sottostante dello studio, una parte quasi segreta e dismessa da tempo che Antoh ha voluto riportare alla ribalta dei riflettori come un tempo, visto che precedentemente era la famosa cantina, dove il baritono Giuseppe Zecchillo, cantante lirico al Teatro alla Scala, collezionista e ammiratore di Piero Manzoni, padre dell’attuale proprietario dello studio, si divertiva, organizzando incontri con artisti, attori e famosi registi.

I lavori luminosi giocano anche con le opere di legno riciclato e con gli specchi, riproponendo l’alfabeto grafico dell’artista in una forma più misteriosa e notturna Questo contrasto tra la luminosità delle installazioni e la penombra che avvolge lo spazio della cantina evoca, in maniera metaforica, l’esperienza teatrale dell’artista Mansueto, abituato a dividersi tra la luce e l’ombra del palcoscenico e sottolinea anche una contrapposizione tra gli Achrome di Piero, serie di quadri bianchi o meglio senza colore e i lavori policromatici del daltonico Antoh, pronti ad accogliere la ciclicità e i cambiamenti del tempo e la nuova linfa luminosa nel buio della pandemia.