Risiede nell'eclettismo il tratto distintivo di Massimo Colombo, che da qualche settimana ha pubblicato Personalities (Play & Oracle Records), un disco di piano solo in cui rivela appieno la sua concezione musicale ricca di autentico feeling dedicato a 12 famosi personaggi storici in qualche caso (Cleopatra, Pitagora, Marie Curie, Coco Chanel), anche sorprendenti :“Abbiamo tutti figure di riferimento – ribadisce - che ci fanno riflettere su argomenti e concetti; dalla musica, alla matematica, alla storia. Personaggi che ci hanno appassionato e coinvolto nella loro vita tramite libri o film. Ne ho scelti dodici, come i mesi dell’anno, ciascuno per un particolare motivo legato alla mia vita.”

Quando e come ti sei scoperto musicista e come il jazz è entrato nella tua vita? Presumo che le tue influenze ed ispirazioni siano state molto variegate.

Ho iniziato a suonare da bambino, mi piaceva il suono dell’organo elettronico, sono passato al pianoforte successivamente. Il jazz è arrivato dopo un percorso di avvicinamento a generi e di performances con gruppi differenti e repertori diversi: rock, pop, bossa nova, samba, salsa. I passaggi “fulminanti” sono stati però suscitati da Emerson, Lake & Palmer, Weather Report e Miles Davis. Con Miles si è aperto un mondo che mi ha affascinato e successivamente approfondito.

Nel tuo essere versatile hai approfondito i repertori di entità sulla carta agli antipodi come quelle di Burt Bacharach e Weather Report: qual è il tratto che le unisce?

Mi piace la bella musica a prescindere dal genere, Ellington lo ha sempre postulato ed io posso solo aggiungere che Bach è nell’anima, mi accompagna da quando ho dieci anni, non smetterò mai di suonarlo. I Weather Report sono stati l’anello di congiunzione tra la musica rock ed il jazz e di conseguenza la scoperta dell’improvvisazione. Scrivere canzoni è un’arte a parte, e Bacharach è stato un vero maestro in questo senso. Dopo di che tutto si unisce e si può fondere, senza pregiudizi o paure, semplicemente pensando alla bellezza.

I confini fra i generi sono sempre più angusti, forse inappropriati, per cui come si riconosce oggi un pianista jazz e più nello specifico qual è il significato che oggi assegni a questa parola?

La definizione di pianista jazz è, per quanto mi riguarda, assai limitata. Forse basterebbe pianista, poi possiamo approfondire. Se lavoro a un disco dedicato a Bud Powell sono un pianista jazz, se registro il clavicembalo ben temperato sono un pianista classico, se incido musica composta da me sono un pianista che comprende tutto quello che sono e quindi? A questo punto dire pianista è sufficiente.

Come imposti il tuo essere pianista quando sei all'interno di un gruppo come il trio o in formazioni più allargate?

Mi piace interagire con i musicisti; se siamo in trio voglio che esca della musica per trio, non per pianoforte accompagnato da altri due strumenti. Per quanto riguarda le formazioni allargate la penso allo stesso modo, se poi si tratta musica composta da me non è proprio detto che il pianoforte debba avere una parte principale. Tutto diventa relativo a quello che scrivo.

Che rapporto c'è fra le note che scrivi e l'improvvisazione che ne scaturisce in concerto?

Mi ricollego alla domanda precedente con un approfondimento che riguarda la composizione. Per comporre uso il pianoforte, ma non necessariamente, quindi lo considero un mezzo ma non un punto di riferimento fondamentale. Il pianoforte mi spinge ad improvvisare e a sviluppare idee e “sorprese dalle mani”, ma se pensi solo alla musica e ai rapporti matematici che intercorrono tra le note tutto cambia: entrano in ballo la riflessione e la logica. Concludo quindi sostenendo un connubio tra le due posizioni, sempre in una direzione artistica e mai “asettica”.

Mi parli in maniera specifica di Trio Grande, esperienza che hai condiviso con il grande Peter Erskine e Darek Oleszkiewicz?

Si è trattato di un momento fondamentale sia dal punto di vista della composizione sia per l’incontro con musicisti che ho sempre amato, in particolare mi riferisco ad Erskine. Le composizioni rispettavano l’equilibrio di cui ho parlato in precedenza, i musicisti erano in perfetta sintonia, abbiamo registrato senza nessuna prova ed in diretta. Naturalmente avevo spedito in precedenza ai miei compagni le partiture ed una registrazione dei temi al pianoforte. Il risultato mi sorprende ancora oggi, è la continuità fra composizione ed improvvisazione che si amalgamano tra loro.

Come hai vissuto il periodo difficile che abbiamo alle spalle? Ti sei votato maggiormente alla composizione?

In questi ultimi mesi ho completato un altro ciclo di brani per pianoforte solo intitolato Numbers, è musica scritta che vorrei far registrare a pianisti dell’area classica. Poi ci sono una serie di brani per orchestra e pianoforte che usciranno singolarmente su Spotify e altre piattaforme.

Cosa ti aspetta invece? Cosa vorresti concretizzare per il tuo futuro artistico?

Al momento sto lavorando ad un concerto per pianoforte e orchestra d’archi e a un ciclo di brevi composizioni di musica da camera. Ho in cantiere da qualche tempo alcuni brani originali per un disco in trio. Con chi? Una bella idea ce l’ho ma al momento la tengo nascosta per scaramanzia.