Enciclopedia Treccani alla voce Francesco Corteccia: “[…] Organista di San Lorenzo a Firenze e maestro di cappella dei Medici, compose molta musica, specialmente madrigalistica, ancora oggi interessante esteticamente e storicamente […]”. E allora ascoltiamola! Ce la porge L’Homme Armé, fondato nel 1982 da Fabio Lombardo e Renato Baldassini, che ha appena realizzato la prima incisione discografica al mondo della Passione secondo Matteo di Corteccia, scritta nel 1532, bellissimo esempio dello speciale stile fiorentino che si andava sviluppando in quegli anni in parallelo all’invenzione del madrigale.

Francisco Corticio florentino (Firenze 1502-1571), figlio di Bernardo, donzello della Signoria, e di Bartolomea Cristofora, compose la prima passione polifonica della storia che è tuttora inedita: la trascrizione è stata effettuata da Fabio Lombardo dal manoscritto conservato all’Opera di Santa Maria del Fiore. Un’edizione che il musicista non ha pubblicato né intende pubblicare ma che ha utilizzato per la registrazione del CD che s’intitola Una passione per il popolo (Andrès Montilla-Acurero, Niccolò Landi, Luca Mantovani cantus; Paolo Fanciullacci, Neri Landi, Francesco Tribioli altus; Riccardo Pisani, Luca Barni tenor, Gabriele Lombardi, Andrea Berni bassus; direttore Fabio Lombardo; Pietro Bartolini voce recitante. EMA Vinci Classica).

“Nella ricostruzione di questa passione è stata seguita l’ipotesi a suo tempo avanzata da Mario Fabbri secondo il quale a Firenze, ancora negli anni prima della Controriforma, il Passio non veniva letto o cantato solo in ambito strettamente liturgico ma anche in altre circostanze secondo una prassi diffusa tra le Compagnie dei Laudesi - scrive Fabio Lombardo. La parte dell’Evangelista, cioè la parte preponderante del racconto, viene quindi letta in lingua volgare, usando una traduzione curata dal domenicano Santi Marmochino e pubblicata a Venezia nel 1538. La maggior parte del testo, non cantato secondo il tono della lectio, viene letto solennemente secondo un’antica tradizione a cui accenna Sant’Agostino quando parla di solemniter legere”.

Incontrando il maestro Lombardo pare di viaggiare nel Rinascimento. Il che non vuol dire andare solo indietro, anzi. Dal passato remoto s’intravede il futuro meglio che dal presente.

Che sensazione si prova davanti a un manoscritto così antico?

Tanti tipi di sensazione. Un oggetto di 500 anni fa, nella fattura e nella grafia, rimanda a un mondo veramente lontano. È sempre emozionante. Si vedono i segni, le pagine sciupate ed è inevitabile pensare a quale poteva essere l’uso pratico di questo manoscritto: forse ancora pensiamo che a quell’epoca la lettura fosse la stessa cosa che facciamo noi quando leggiamo la musica, e su questo ho dei dubbi. Penso che leggessero la traccia di qualcosa di già noto perché lo stile che vigeva in quegli anni era parlato da tutti, quantomeno da tutti quelli che potevano permettersi di avere davanti quell’oggetto. Quando ricostruisci un’opera del genere, pur con l’attenzione ai dati del tempo, sai che stai facendo un’altra operazione perché provi a ricreare le condizioni sonore e musicali, ma il contesto è totalmente diverso. Basti dire che senti in forma di concerto un’opera destinata a un contesto liturgico. Per quanto mi riguarda cerco sempre di fare attenzione ai luoghi: un ambiente sonoro è una parte del suono. Non mi pare una questione in generale molto sentita: la concezione moderna del concerto lo ritiene un formato che si può fare dappertutto e allora si fa il concerto pianistico in chiesa, un concerto di musica sacra in teatro e mi sembra… fuori luogo. Quindi chiedo subito: dove si fa?

Hai scritto della Passione: “Ha uno stile semplice che, nonostante la raffinatezza delle relazioni armoniche, sembra adatto a ‘raccontare’ in musica anche per un uditorio meno colto delle élite locali”. La musica di Corteccia arriverebbe pure adesso a un pubblico meno colto, se questo fosse messo in condizione di ascoltarla?

Una domanda bellissima, complicata. Faccio una premessa: io sono curiosissimo dei pareri e delle impressioni delle persone non esperte, possibilmente di chi viene a sentire la musica antica per la prima volta. Purtroppo questi feedback sono rari, casuali. Non esistono orecchie vergini però esistono orecchie vergini rispetto a un ambito e mi interessa capire da che sono colpite: ho sentito usare parole e immagini che dimostravano che quella persona aveva ascoltato. Perché va detto che l’ascolto è difficile, tutti possiamo essere distratti da mille cose. Poi comincio ad avere dei problemi a definire l’ascoltatore colto. Abbiamo un’infinità di aree musicali per cui: chi è l’ascoltatore non colto? Chi ascolta un rapper, un cantante ha quella cultura e abitudini che, ne sia consapevole o no, gli hanno generato una serie di modelli e di fantasie. Quindi, cercando di tornare alla tua domanda: quando dico che m’immagino che questa scrittura, in particolare proprio parti della Passione, potesse essere comprensibile non solo ai circoli delle famiglie aristocratiche, alle persone vicinissime a queste famiglie, ai mecenati, ma anche potenzialmente all’artigiano che entrava in chiesa, mi riferisco al fatto che il testo viene quasi detto sincronicamente da tutte le voci e scandito da tutte le voci. E persino i responsori, pagine più elaborate che ho definito madrigalistiche (e nell’esecuzione evidenzio questo aspetto), immagino potessero essere accessibili all’artigiano, al servitore che credo dovesse rimanere sbalordito. Cosa capiva? Non lo so, magari non tutte le relazioni, ma penso quello che oggi chiamano il sound.

Nella musicologia attuale si punta sul fare emergere le simbologie delle proporzioni, e quant’altro, che sono importanti nell’origine delle creazioni di quelle musiche ma sulle quali io mi interrogo dal punto di vista della ricezione. Ci entusiasmiamo, comprensibilmente, ma un conto è capire la genesi, un conto è apprezzarne l’esito. Quello che sto per dire è un po’ paradossale, visto che abbiamo fondato un festival di musica rinascimentale [FloReMus n.d.r.] e che ho fatto programmi sempre molto particolari, ma il pubblico non orientato su questa musica mi può dire delle cose sull’oggi di questa musica più del pubblico informato. Non per farci cambiare l’area in cui operiamo, ma forse il modo che potrebbe sclerotizzarsi o entrare in una routine.

FloReMus 2021 è stato nel segno di Josquin Deprez (1450 circa-1521) a 500 anni dalla morte.

L’anniversario importante di un compositore universalmente riconosciuto straordinario, per quello che era il concetto di universale al tempo, in vita e, soprattutto, alcuni decenni dopo la morte. Tutti i programmi serali sono stati incentrati su di lui e anche nei concert à boire c’è chi lo ha inserito. Alcuni brani sono tornati nei vari programmi (all’inizio qualcuno aveva sollevato perplessità e suggerito di togliere le ripetizioni) e ho trovato interessante poter sentire interpretazioni diverse di una musica che noi, con il concetto moderno di opera d’arte, pensiamo definita mentre non lo è assolutamente. All’epoca un brano poteva essere eseguito in tanti modi…

Facevano le cover?

In un certo senso facevano anche le cover [sorride]. Potevano eseguire le musiche con un organico diverso, in contesti diversi. L’opera musicale aveva un profilo molto diverso da quello che noi ci siamo formati in epoca moderna, diciamo da fine ‘800 in poi. Per certi versi simile, ed è un’analogia che va presa con le molle, a quello che succede nel jazz. Se sentissi una melodia di Duke Ellington suonata da altri potrei non riconoscerla subito. Mentre se ci avviciniamo a un’opera definita come una sonata di Brahms c’è tutto uno studio per non cambiare un segno. Tornando al discorso su Josquin: ho trovato molto stimolante ascoltare le varie interpretazioni perché quando noi oggi parliamo di prassi filologica parliamo del tentativo di mettere in pratica tutta una serie di informazioni, dati e indizi che abbiamo su questa musica, ma il lavoro interessantissimo sul senso che la musica ha avuto nel tempo ci porta a formulare sempre e solo ipotesi. Quando sento qualcuno che dice: non ho dubbi quella musica si fa così… confesso che io invece ho sempre qualche dubbio su come si fanno le musiche del ‘400, ‘500, ‘600. Più si va avanti nei secoli e più elementi sono precisati, ma mi viene da dire che la certezza è impossibile. Presto metteremo sul nostro canale YouTube le registrazioni, purtroppo di qualità molto bassa perché a uso archivio, e l’ascoltatore curioso potrà sentire le differenze.

Spero, insomma, che FloReMus non sia un festival museale e, dato che facciamo alcuni concerti nello splendido Museo di San Marco, specifico che sto usando la parola museale intendendo qualcosa di statico.

I Concerti al Cenacolo che s’inaugura a breve?

Ci sono tre programmi. Les Voix Humaines, les voix des Anges con Vittorio Ghielmi, uno di quei musicisti per i quali uso la parola virtuoso che di solito non mi piace molto. Per me virtuoso non è solo un grandissimo che sfodera una tecnica ma è colui che usa la tecnica per un pensiero musicale che arriva a essere virtuosistico. Poi abbiamo il progetto molto affascinante, ideato e diretto da Gianluca Lastraioli, La novità del suono e’l grande lume sul paesaggio musicale in Dante e intorno a Dante. Spesso si dice che non è rimasto niente delle musiche di allora e qualcuno aggiunge che probabilmente i testi non erano musicati. Invece Gianluca spiega che documenti chiarissimi fanno capire come Dante si aspettasse che i suoi versi fossero musicati perché in quell’epoca e per molto tempo ancora la funzione della poesia era molto più vicina, non vorrei essere frainteso, a quella dei parolieri di oggi. Un’idea innovativa che potrebbe far discutere. A novembre, con Architetture sonore nella musica sacra di Josquin Desprez, suggeriremo al pubblico di essere dentro uno spazio sonoro. Così come in un’architettura noi ci troviamo dentro uno spazio, credo che nei casi migliori questo avvenga anche nella musica, tanto più che le musiche di quel periodo erano proprio costruite con criteri che possono essere avvicinati a criteri architettonici; spesso si parla di proporzioni.

Non dimentichiamo che Leon Battista Alberti faceva delle analogie fra architettura e musica.