Il lavoro è ed è stato sempre un argomento caldo, dove diverse politiche si sono confrontate, senza mai raggiungere uno stato di cose equo per tutte le parti. Hanno fallito, inutile girarci intorno.

Se consultiamo il sito del Ministero del Lavoro, si parla di inclusione sociale, diritti dei lavoratori stagionali, di approvazione di piani contro lo sfruttamento dei lavoratori. Gli aggiornamenti parlano di tavolo sulla sicurezza nei luoghi di lavoro (ma i lavoratori continuano a morire), decreto semplificazione, decreto sostegni. La politica è lontana dai veri problemi e anni luce dalle soluzioni.

Tante azioni e misure messe in atto, purtroppo, non servono, se non si cambia prospettiva e se non s’inizia a comprendere che dinamiche vecchie non sono più compatibili con un mondo nuovo, né con le ultime professionalità e con i mestieri che non hanno più mercato.

Basti pensare, che i bambini che nascono oggi, andranno a fare lavori che non esistono ancora e che nemmeno possiamo immaginare.

Qual è la nuova cultura del lavoro e dell’economia che non tutti hanno ancora ben compreso e che dovrebbe essere più diffusa?

Oggi, ci piaccia o no, al centro del nostro stile di vita e del nostro futuro c’è l’ambiente, per innumerevoli motivi. Già molti economisti e antropologi illuminati e inascoltati, parlano da anni di un sistema economico preistorico, di una crescita economica studiata solo per i ricchi e di un circolo vizioso, del quale la maggior parte dei cittadini del mondo sono ignare vittime.

Le politiche, il marketing, il comune sentire profuso a più mani da giornali e Tv ci ricordano continuamente che dobbiamo acquistare, consumare e se qualcosa non funziona o non ci piace più va sostituito. Per comprare più cose (spesso inutili), bisogna produrre di più, e lavorare di più per potersele permettere; e il cane che si morde la coda continuerà a farlo in un loop infinito. Le fabbriche che producono incessantemente inquinano, i consumatori buttano via cose dopo poco, queste finiranno nelle discariche abusive, nella maggior parte dei casi, intossicandoci polmoni e umore.

Nonostante ciò, qualcuno vuole ancora convincerci di quanto sia bello acquistare, usare, distruggere, ma nessuno dice, che la produzione e la crescita servono solo ai ricchi. Sono loro che crescono, mai noi umani. Se ci concentrassimo, invece, su obiettivi ambiziosi (raggiungibili e alla nostra portata) come riduzione dei consumi e della produzione, troverebbero soluzione mille e più problemi, legati all’occupazione, alle aziende che de localizzano, per fare un esempio. Cambiamento radicale di stili di vita e assidue campagne di boicottaggio costringerebbero certi fabbricanti di profitti a sparire dalla faccia della terra. Invece, alimentiamo la loro sete di denaro, ostinandoci a restare in condizioni di vita insostenibili.

Alcune realtà imprenditoriali (poche!) da qualche tempo hanno capito che bisogna rispettare l’ambiente e i lavoratori, hanno introdotto la settimana di quattro giorni e numerose misure per migliorare la salute psico-fisica dei lavoratori, ma questo ancora non basta.

Purtroppo, nel terzo millennio c’è ancora chi ha troppo e chi non ha nulla, e questo dovrebbe costringerci a riflettere, a saltare dalla nostra comoda sedia, e a tentare di costruire in tutti i modi, un nuovo stile di vita, essenziale, sostenibile e più sano.

Se comprendiamo che la corsa sfrenata al consumismo, al “tutto e subito”, al “tutto è necessario” porta al nulla, capiremo anche che possiamo arricchirci di cose a basso costo, senza aggredire la natura e noi stessi, senza generare infelicità nel genere umano.

Sotto questa prospettiva, è facile intuire le ragioni di chi ha scelto di vivere l’essenziale, attraverso la decrescita, il less is more e altre filosofie simili. Non bisogna necessariamente scegliere una corrente e sposarla, ma una propria strada, simile alla nostra natura e ai nostri bisogni, sì, questo si può fare. Le occupazioni che possono cambiarci, rendendo il mondo, un posto migliore sono molte e tutte praticabili.

Siamo sull’orlo di un baratro, bisogna tornare indietro e riscoprire ciò che conta veramente, e guardare oltre gli eccessi. Dobbiamo superare le barriere dell’incomunicabilità e della povertà di un pensiero che non considera altre forme di vita e altre dimensioni dell’animo umano, che banalizza e semplifica temi importanti. La catastrofe ambientale che si consuma ogni giorno davanti ai nostri occhi è la prova schiacciante che il mondo deve cambiare rotta e noi abbiamo il compito di governare questa trasformazione.