L’Esquilino è il più alto dei sette colli di Roma, l’etimologia deriva probabilmente dal nome latino Esquilinus che trae origini dalla parola Aexculi, gli arbusti di leccio cari a Giove che ricoprivano il colle. In epoca romana era occupato da abitazioni di ceto elevato come gli Horti di Mecenate con ninfeo-auditorio tuttora conservato e gli enormi giardini annoverabili tra i più belli del mondo antico, gli Horti Lamiani, Maiani, Pallantiani, Torquatiani, Tauriani, e* Liciniani*, che presto entrarono a far parte del patrimonio imperiale, sommandosi alle costruzioni palatine.

Nel 1870 Roma diventa capitale d’Italia e il Piano Regolatore del 1873 prescrive per l’Esquilino lo sviluppo di un quartiere residenziale borghese. Vengono realizzati isolati a scacchiera con edilizia abitativa a corte e la più grande piazza della città, intitolata al primo re d’Italia Vittorio Emanuele II. Costruita tra il 1882 ed il 1887 è stata progettata dall'architetto Gaetano Koch con l’utilizzo di 280 colonne nei portici e può considerarsi l'emblema della cosiddetta "cultura" umbertina.

Nella vicina piazza Manfredo Fanti si trova un tratto dell’Aggere Tulliano (prima metà del IV sec a.C.) e l’Acquario Romano, oggi Casa dell’Architettura.

Il progetto dell’architetto Ettore Bernich

Pietro Carganico, da Como, esperto di piscicoltura, inviò nel 1880 relazioni alle autorità cittadine per far presente i vantaggi che sarebbero derivati da un’industria ittiogenica per la produzione di pesce adatto ad una alimentazione di qualità a basso costo.

Dopo un primo progetto che prevedeva allo scopo la costruzione di una fabbrica in via Nazionale, nel 1882 il Comune reputò utile l’impianto e concesse gratuitamente l’area centrale di piazza Manfredo Fanti. Il progetto venne affidato all’architetto romano Ettore Bernich (1850-1914) e nel 1884 iniziarono i lavori che si conclusero l’anno successivo. Per la gestione si costituisce la “Società Anonima dell’Acquario Romano”, negli intenti della società l’Acquario doveva rispondere a differenti funzioni che comprendessero, oltre alla piscicoltura, l’organizzazione di feste, concerti e spettacoli.

L’inaugurazione avvenne alle ore 15 del 29 maggio 1887, quando una folla elegante partecipò all’avvenimento. I giornali dell’epoca riportarono che “una quantità di belle signore circolava con stento nell’ampio salone, facendo ressa intorno ai cristalli i quali, per il gran caldo, erano appannati, così che a fatica si potevano intravedere i pesci e i molluschi all’interno”.

L’Acquario Romano costituisce uno dei più rilevanti esempi di applicazione del ferro nell’edilizia della Roma umbertina. L’edificio è costituito da due parti distinte ma interrelate: un corpo cilindrico a base ellittica, un avancorpo parallelepipedo con arco a nicchione centrale ed un podio, con due rampe di scale, antistante.

All’esterno era presente un pittoresco giardino con laghetto nel quale erano presenti centinaia di pesci, barchette, ponticello e scogliere artificiali. La recinzione era in ghisa e il padiglione d’ingresso in stile romano.

Il Pantheon fonte progettuale

L’impianto tipologico rinvia al Pantheon per la sala a pianta ellittica e ad un arco trionfale per l’avancorpo d’ingresso. Sulla parete esterna della sala, all’ordine dorico è sovrapposto un minore ordine di paraste corinzie su piedistallo. Tra le colonne dell’ordine dorico troviamo una parete a bugne, nel superiore, bugne lisce; il tono minore del secondo ordine si coglie dalle proporzioni degli elementi e dalla schematicità dei dettagli, come i piatti capitelli e la semplificata trabeazione. Il doppio ordine avvolge con continuità la superfice esterna interrompendosi all’incastro con l’avancorpo d’ingresso.

L’impianto costruttivo dell’Acquario risente anche di due precedenti importanti esperienze architettoniche, il teatro Costanzi (Teatro dell’Opera di Roma) di Achille Sfondrini e il teatro Quirino di Giulio De Angelis, tuttavia in assenza di un preciso modello cui riferirsi, Bernich inventa una nuova tipologia, nella pianta evoca temi antiquari, come il Colosseo (che aveva studiato), nel prospetto l’Arco di Trionfo, arricchito dalla calotta a conchiglia che copre il vestibolo d’ingresso.

L’ossatura interna annovera 14 colonne di ghisa su due ordini destinate a sorreggere tanto la loggia sporgente del secondo livello, quanto la copertura a lucernaio con lastre di vetro rigato della sala. La volta anulare era decorata da pitture con figure allegoriche e mitologiche di Giuseppe Toeschi.

Lungo le pareti dell’invaso centrale decorato con pavimento in mosaico alla veneziana, emergevano con effetto spettacolare, 20 acquari a forma di grotta chiusi da lastre vitree con superiori specchiature dipinte da Silvestro Silvestri.

La superficie coperta complessiva, escluso il podio, è di 1.212 metri quadri, di cui 1.060 coperti dall’ellisse e 152 dal rettangolo di base dell’avancorpo. Il podio e le rampe di scale occupano una superficie di 162.

Le dimensioni generali del corpo cilindrico sono di 42,50 metri secondo l’asse maggiore e di 32 metri secondo il minore, l’altezza è di 15,50 metri.

La decorazione

Il fronte principale è tripartito con un vano centrale arcuato tra pile laterali. Queste vedono due edicole coronate da frontone triangolare. Al centro due colonne restano libere a formare un portico che accentua il senso chiaroscurale l’ingresso. Un secondo ordine vede cariatidi con piedistallo e capitello ionico, è coronato da un’alta trabeazione dimensionata sull’altezza dell’intero corpo di fabbrica. Un piano attico con capitelli ionici chiude in alto l’edificio e fa da base ad un gruppo scultoreo centrale.

Il prospetto è costruito sullo schema dell’arco trionfale, con la singolarità dell’inclusione della calotta a nicchione, in modo da combinare l’arco d’ingresso con la chiusura absidata del fronte di un ninfeo o d’una fontana. Il fregio annovera motivi di delfini, tridenti, conchiglie, palmette.

Entrando nella sala si vede un doppio ordine di colonne corinzie in ghisa a sostegno della galleria superiore e del soffitto, che corrisponde a un doppio ordine di semicolonne e paraste corinzie sui setti murari perimetrali.

Al carattere austero e massiccio dell’esterno si contrappone la ricchezza decorativa dell’interno, dove l’immagine traslucida degli acquari si componeva con il rivestimento policromo dell’architettura. Nella decorazione troviamo segni immediatamente riconoscibili come tartarughe, granchi, ippocampi, animali marini.

La struttura in ghisa è formata di colonne e di una bassa trabeazione, ornata di foglie d’acanto, festoni e spirali di viticci, brillanti per il rivestimento di colori. Il capitello è arricchito da elementi figurativi in tema con la destinazione dell’edificio, come coppie di delfini al posto delle volute angolari, conchiglie e tridenti nel fregio centrale, mentre nell’ordine minore sovrastante ancora una conchiglia orna il capitello. Il fusto delle semicolonne è parzialmente scanalato e sostiene capitelli decorati con motivi di delfini. Figure marine come conchiglie e tridenti compaiono anche nei capitelli del sovrapposto ordine di lesene sulla parete interna della galleria.

Sotto la volta affrescata, il pavimento a mosaico “pompeiano” con conchiglie e teste di Medusa, convergeva alla fontana centrale.

Nell’atrio si trovano raffigurazioni dell’Acquario Romano e del Progetto del Vittoriano di Giuseppe Sacconi realizzate dallo spoletino Silvestro Silvestri (1859-1924) autore anche delle specchiature della sala centrale.

La tipologia

La tipologia dell’Acquario è determinata dalla combinazione di due volumi geometrici, il corpo cilindrico della sala ad anfiteatro ed il parallelepipedo del portico d’ingresso con arco. Sono latenti anche punti di contatto con il Palazzo delle Esposizioni iniziato da Pio Piacentini nel 1880. Anch’esso presenta una vasta sala centrale illuminata da un lucernario, un doppio ordine di paraste che scandisce il prospetto esterno e l’arco monumentale che sottolinea l’ingresso.

Nell’Acquario la sostituzione nella parte centrale dell’arco trionfale con una nicchia con calotta a conchiglia che richiama il Ninfeo e la collocazione nelle edicole laterali delle due statue allegoriche della Navigazione e della Pesca contribuisce a mettere in evidenza la sua destinazione.

D’altra parte, l’adozione della pianta ovale e l’uso del ferro all’interno dell’edificio tendono, invece, a rievocare la tipologia teatrale. Bernich non avendo un preciso riferimento di un palcoscenico introduce una innovazione rispetto alla tradizionale tipologia teatrale, orientando l’ellisse di pianta secondo l’asse minore e rendendo preferenziale, rispetto all’ingresso una visione panoramica dell’interno per consentire una immediata percezione delle superfici di esposizione.

L’impianto costruttivo è risolto mediante un involucro murario esterno e un’ossatura interna metallica a travi e pilastri, riprende una soluzione ottocentesca canonica per musei, teatri, biblioteche, grandi magazzini; soluzione già codificata da Viollet Le Duc nel 1863 come la più idonea per edifici “che devono contenere parecchie persone”.

Tuttavia, nell’Acquario, di tutti gli elementi portanti metallici interni rimangono in vista solo le colonne. L’orditura dei travetti dei solai è celata da controsoffitti e intonaci; le travi che portano i travetti del ballatoio anulare sono annegate completamente in un’alta cornice in stucco. Altri esempi, come l’Ufficio Geologico (R. Canevari, 1874) e il magazzino Bocconi (Giulio De Angelis) su via delle Vergini mostrano maggiormente il ferro come materiale da costruzione.

La decadenza e la rinascita

La funzione di stabilimento di piscicoltura con le vasche per l’alimentazione era confinato nei sotterranei (associato all’allevamento ittico del lago di Nemi) e nel laghetto esterno, mentre il piano dell’ingresso esponeva le vetrine degli acquari, adibita anche come sala teatrale e da ballo, e certamente come luogo d’incontro per la classe borghese del nuovo quartiere Esquilino. Era prevista una scuola pratica di ittiogenica con abitazione per il direttore e il personale. Inoltre, allevamento, commercio, pesca sportiva, ristorazione destinata con pesce fresco appena pescato ai visitatori.

Già nel 1890, solo tre anni dopo l’inaugurazione, l’attività di piscicoltura era abbandonata e la direzione vacante. Per questo il Comune chiese la restituzione dell’area. Non trovando alternativa migliore, nel 1895 l’Acquario fu trasformato in bagni pubblici, mentre i giardini subirono varie manomissioni.

Nei primi anni del Novecento si tentò, grazie ad una convenzione tra Comune e Ministero dell’Agricoltura avallata dal Museo di Zoologia dell’Università di Roma, di realizzare di nuovo una stazione di piscicoltura a scopo didattico, ma l’iniziativa non decollò.

Qualche anno dopo cominciarono le sue trasformazioni, soprattutto all’interno: lo scopo era quello di destinare l’ambiente a spettacoli teatrali e cinematografici.

Anche il Governatorato lo usò per “servizio”, mentre successivamente fu adibito a deposito per scenari e attrezzistica del Teatro dell’Opera. Con tale uso restò fino a che, nel 1976, non si concepì un progetto per la sua riqualificazione.

Nel 1981 l’edificio venne vincolato dalla legge 1089/39. Nel 1986 venne avviato il restauro su progetto dell’Ufficio Speciale Interventi sul Centro Storico, redatto sulla base di studi e rilievi dell’Istituto di Architettura e Tecnica Urbanistica della Facoltà di Ingegneria di Roma, pubblicati in un volume curato da Vittorio De Feo e Silvano Stucchi (L’Acquario Romano, Kappa, 1983). Le decorazioni vennero restaurate con la consulenza dell’Istituto Centrale del Restauro. Nel 1990 i restauri sono conclusi e si avvia una destinazione come “laboratorio culturale” dell’Esquilino con spettacoli teatrali e musicali.

Nel 2003 l’Acquario Romano diventa “Casa dell’Architettura” gestita dall’Ordine degli Architetti di Roma che ha all’interno dell’edificio la sua sede.