Siamo incorreggibili. Peggio: irriducibili e ostinati nel gettare ovunque la nostra immondizia. Non solo la vetta dell'Everest è invasa da corde, lattine e tende strappate, abbandonate dai rari scalatori, ma non siamo riusciti a tenere puliti nemmeno i 150 milioni di chilometri di spazio che ci separano dal Sole. Oggi gli scienziati fanno l'inventario della spazzatura che ci ruota intorno quotidianamente e si trovano di fronte a tonnellate di rifiuti.

“La quantità di detriti aumenterà nei prossimi anni e le collisioni a cui darà origine provocheranno molta altra spazzatura, fino al momento in cui la Terra sarà avviluppata da una densa coltre di detriti che non consentirà di svolgere ulteriori attività spaziali per molte generazioni future”. Lo aveva previsto Donald Kessler, astrofisico americano, scienziato della Nasa, che per primo aveva dipinto uno scenario ritenuto inizialmente catastrofico, ma poi divenuto sempre più reale.

Detto in numeri l'immondizia spaziale conta 34.000 oggetti di dimensione superiore a 10 cm, 900.000 detriti più piccoli, grandi tra 1 e 10 cm, e circa 128milioni di frammenti infinitesimi la cui misura è compresa tra 1mm e 1 cm. In totale 8000 tonnellate di cianfrusaglie che orbitano a 40.000 chilometri all'ora intorno al nostro pianeta. C'è di tutto: oltre a pezzi di satelliti che hanno concluso il ciclo di attività per cui erano stati “spediti” nelle alte sfere, troviamo chiavi inglesi, bulloni e pinze gettati durante le riparazioni. I telescopi hanno individuato anche macchine fotografiche sfuggite dalle mani degli astronauti. C'è persino un guanto perduto da uno di loro, Edward White, durante la prima passeggiata extraveicolare.

Ma, a parte gli oggetti più o meno curiosi, finiti per caso a girare intorno alla Terra, la nostra orbita è “abitata” da numerosi satelliti. Abbiamo cominciato a lanciarli 60 anni fa, all'inizio dell'era spaziale, e il loro numero è in continuo aumento perché dalla loro attività dipende una parte sempre maggiore della nostra vita. L'osservazione della Terra, le previsioni metereologiche, e la geolocalizzazione sono solo alcuni dei “compiti” svolti dai satelliti di cui abbiamo dimostrazioni quotidiane.

Il problema è che, una volta usate, queste macchine spaziali vengono abbandonate nella loro orbita e sostituite con altre più efficienti. Ma queste, a loro volta, dovranno essere rimpiazzate al termine del loro ciclo di attività, pur continuando a girare intorno alla Terra. Un sovraffollamento pericoloso per le possibili collisioni, che infatti si verificano spesso.

“Il 10 febbraio 2009 i due satelliti Cosmos e Iridium, uno statunitense e l'altro russo, si sono scontrati a 789 chilometri di altezza. L'impatto ha provocato 1700 frammenti spaziali”, ricorda Alessandra Celletti, docente dell'Università di Tor Vergata, durante una conferenza per il ciclo “I pericoli della Terra” organizzata a Pisa dalla Fondazione Palazzo Blu e dall'Infn.

“Due anni prima, nel 2007, la distruzione di un satellite cinese, aveva portato alla produzione di altre migliaia di frammenti. Senza dimenticare che il 2 aprile 2018 un satellite cinese è caduto nell'Oceano Pacifico, ma fino all'ultimo momento siamo rimasti col fiato sospeso perché non sapevamo dove sarebbe avvenuto il rientro”. Al termine del loro ciclo di vita si cerca infatti di riportare sulla Terra i satelliti più vicini. È vero che una buona parte di questi esplode al momento dell'impatto con l'atmosfera, ma i componenti in titanio e in acciaio resistono alla combustione e precipitano sulle nostre teste, senza che nessuno sia in grado di dirigerne la traiettoria. Non solo: le migliaia di detriti grandi e piccoli che viaggiano nello spazio a velocità strabilianti, funzionano come proiettili e possono danneggiare gli oltre 2000 satelliti funzionanti, compresa la stazione spaziale, spesso costretta a compiere manovre di spostamento per evitare impatti che potrebbero mettere in pericolo la vita degli stessi astronauti.

Insomma, oltre al timore di chiudere la Terra in una “gabbia” di detriti, secondo la “profezia” conosciuta come “sindrome di Kessler”, questa immondizia costituisce ormai un rischio per l'intera avventura spaziale. Lo sanno bene i tecnici dell'Esa, l'Agenzia Spaziale Europea, e quelli dell'Asi, Agenzia Spaziale Italiana, che impiegano sempre più tempo e risorse alla ricerca di soluzioni, che non sono né facili, né veloci, né a buon mercato.

Prima di tutto, ovviamente, bisogna smettere di inquinare il nostro spazio, così come le nostre montagne e il nostro mare. In che modo? Imponendo alle aziende che producono satelliti di costruire macchine il cui processo di disintegrazione possa essere controllato e produca una quantità minima di detriti. Niente di semplice. In realtà ci vogliono nuove tecnologie e nuovi materiali da lanciare nello spazio, ma per il momento nessuno ha raggiunto questo obiettivo.

“Riusciamo, però, a spostare i detriti spaziali, in particolare quelli più grossi, in zone non pericolose, che vengono chiamate orbite-cimitero”, ha spiegato ancora Alessandra Celletti. Dall'Esa ricordano che è anche in programma la possibilità di produrre direttamente nello spazio alcuni materiali destinati alle macchine celesti. Evitando di andare avanti e indietro con la Terra, non solo si risparmiano finanziamenti, ma si produce anche meno spazzatura. Non a caso un progetto della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, in collaborazione con l'Esa, prevede la “colonizzazione” della Luna grazie alla realizzazione di case tipo igloo fatte di mattoni “spaziali” costruiti con la stessa sabbia lunare e prodotti da remoto con una stampante in 3D.

Ma questo è il futuro. Per il presente ci vogliono spazzini. Come CleanSpace One, un “signore” con 4 braccia robotiche che afferra i detriti e li accompagna fino all'atmosfera, dove si bruceranno a causa dell'attrito. Stando alle attuali previsioni questo primo spazzino dell'Agenzia spaziale europea comincerà ad operare nel 2025. Intanto altri progetti prevedono la cattura dei rifiuti più piccoli attraverso reti da lanciare sulle “prede” in movimento, proprio come fanno i pescatori in mare.

Però, mentre si aspetta che gli operatori ecologici spaziali siano pronti a fare il loro lavoro, si cerca di vedere meglio. Così un potente telescopio scruterà il cielo alla ricerca di tutti quei pericoli celesti che mettono a rischio il pianeta Terra. Perché, oltre ai detriti lasciati dall'uomo, intorno al nostro pianeta gravitano anche 25561 asteroidi, di cui 1559 sono catalogati nella risk list, a causa di orbite preoccupanti per il destino di noi esseri umani. “Ma i rischi sono stati calcolati e per almeno 100 anni non avremo problemi”, assicura Ramona Cennamo, del centro di coordinamento dell'Esa. Evviva! Comunque, Flyeye, l'enorme telescopio costruito in provincia di Como su progetto delle Agenzie spaziali europea e italiana, sorveglierà il cielo alla ricerca di tutto ciò che si muove in maniera sospetta. È alto sei metri e mezzo, largo quattro e pesa 24 tonnellate. Lui non vola, ma sarà ben piantato sul monte Mufara, nel parco astronomico delle Madonie, vicino a Palermo per fare da sentinella grazie alle numerose lenti che gli danno la potenzialità di 16 telescopi. Non sempre il cielo stellato è fonte di meraviglie e prevenire è sempre meglio che curare. Flyeye sarà il nostro detective.