Laureata in Medicina e Chirurgia nel 1993 e poi specializzata in Pediatria presso l'Università degli Studi di Milano nel 1998. Ha lavorato fino all’ottobre del 2002 come dirigente medico presso il reparto di Pediatria dell’Ospedale San Paolo di Milano. Nel novembre del 2002 diventa ricercatore e dal 2018 professore associato di Pediatria della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano. Lavora in ambito neonatologico presso l’unità operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva della Fondazione IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore di Milano, dove si occupa in particolar modo della promozione dell’allattamento e delle problematiche nutrizionali del neonato ad alto rischio. La sua attività clinica è affiancata dalla grande passione per il mondo della ricerca e della formazione pre e postlaurea.

Ho 51 anni, sono medico, specializzata in pediatria. Mi sono avvicinata all’ambito della neonatologia ormai diversi anni fa dove mi si è palesato un mondo nuovo, ricco di spunti meravigliosi per quanto riguarda l’ambito clinico e di ricerca a cui mi sono particolarmente appassionata. La mia esperienza lavorativa è stata accompagnata e arricchita dalla presenza di mio marito e dei nostri meravigliosi tre figli.

I suoi sogni, i suoi interessi, le sue passioni…

Il mio interesse scientifico è rivolto prevalentemente all’ambito nutrizionale in età evolutiva. È una passione iniziata in sordina. Sono partita molto scettica, con l’idea che alcuni effetti attribuiti alla nutrizione fossero “esagerati”. Con il passare degli anni ho invece compreso sempre più l’importanza della nutrizione nella modulazione dello stato di salute e malattia. Il mio sogno? Lasciare un segno del mio passaggio… riuscire a trasmettere la passione ai più giovani per questa professione che richiede impegno, passione e costante studio.

Da dove scaturisce la scelta della sua professione? Come si intersecano la storia personale e quella professionale?

Sono cresciuta in una famiglia dove ho sempre “respirato” la passione per la medicina. Mio papà, medico anch’egli, parlava spesso del suo lavoro in famiglia; nelle sue parole coglievo la grande passione che investiva nel suo lavoro, la gioia nell’essere stato di aiuto a qualcuno e la frustrazione e delusione quando non poteva o non era riuscito ad esserlo. A questo aspetto però va aggiunta anche la grande passione che entrambi i miei genitori mi hanno trasmesso per il “sapere”, inteso come straordinaria opportunità migliorativa per se stessi e chi ci circonda.

Quale percorso formativo ha fatto?

Mi sono laureata in Medina e Chirurgia presso l’Università degli Studi di Milano per poi intraprendere la Scuola di Specializzazione in Pediatria nell’ambito della stessa Università. Ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso tanti docenti e poi colleghi che hanno condiviso con me il loro impegno nella professione medica e nell’insegnamento ai più giovani. Anche le persone che ho incontrato sulla mia strada, le cui idee e modalità di lavoro sentivo fermamente di non condividere, mi hanno aiutata a capire quale strada non volevo intraprendere e che persona non volevo diventare.

Cosa ci può raccontare del suo lavoro, in che cosa consiste? Quali emozioni?

Il mio impegno lavorativo è alla costante ricerca di un buon equilibrio tra l’attività clinica e l’attività di ricerca e didattica. Sono attività complementari, necessitando una dell’altra ma, a volte, non è semplice riuscire a coniugarle in modo ottimale. Guardando gli anni passati, mi sono resa conto di avere privilegiato un ambito rispetto all’altro nei diversi momenti della mia vita lavorativa e personale. Oggi sono più che mai convinta che l’attività di ricerca non possa prescindere dalla conoscenza delle problematiche in ambito clinico così come il clinico non può non avvalersi delle nuove conoscenze portate alla ribalta dalla ricerca. Anche l’attività didattica impegna molto del mio tempo: penso sia un grande investimento non solo per i nostri giovani ma anche per noi stessi. Ammetto che è una grande soddisfazione quando i “tuoi studenti” ti ringraziano e ti apprezzano o quando, magari anni dopo la laurea, ancora ti cercano per un consiglio o comunque si ricordano di te e di quanto hai insegnato loro. Da parte mia potersi confrontare con i giovani e condividere il loro entusiasmo rappresenta una incredibile e continua esperienza arricchente.

Lavorare in neonatologia deve essere un’esperienza emotiva straordinaria: assistere al miracolo della vita che si manifesta nella realtà esterna.

Chi guarda da fuori le persone che lavorano in ambito neonatologico spesso le immagina impegnate in situazioni che si contraddistinguono per la gioia e felicità che la nascita di una nuova vita porta. Questo è senza dubbio vero. Non va però dimenticato che ci troviamo anche ad accompagnare alcune famiglie lungo percorsi articolati e difficili, che impegnano e coinvolgono mentalmente ed emotivamente anche noi operatori.

“Tra la vita intrauterina e la prima infanzia vi è molta più continuità di quel che non ci lasci credere l’impressionante cesura all’atto della nascita” come le sente queste parole di Freud?

Il continuum della vita è stupefacente, ancor più se pensiamo a come la continuità tra vita intrauterina e prima infanzia prosegua anche nelle età successive, a disegnare il ciclo della vita. Quando mi sono avvicinata all’ambito della neonatologia, sono rimasta affascinata da quanto le esperienze vissute nelle prime epoche della vita possano modulare il nostro divenire adulti. Questa consapevolezza oggi ci offre innumerevoli possibilità di intervento, soprattutto in ambito preventivo, che dobbiamo essere in grado di cogliere in tutta la loro importanza.

Anche le neuroscienze stanno facendo passi incredibili in questo ambito.

È incredibile rendersi sempre più conto di quanto il nostro sviluppo fisico, emotivo e neurocomportamentale sia influenzato profondamente dalle nostre prime esperienze già a partire dalla vita intrauterina. Negli ultimi anni il mio interesse scientifico si è particolarmente focalizzato sull’importanza e gli effetti benefici del latte materno nel nato sano e, ancor più, nel nato patologico. La natura ci ha fornito uno “strumento” importantissimo e incredibilmente efficace come il latte materno che è stato addirittura definito “medicina personalizzata”. Da giovane specializzanda mi veniva insegnato come gli allattati al seno presentassero caratteristiche peculiari nel loro sviluppo neuro-comportamentale: allora però non capivo come questo potesse accadere e quale ne fosse il meccanismo responsabile. Oggi grazie ai continui sviluppi della ricerca scientifica ho finalmente compreso, almeno in parte (sono convinta che ci sia ancora moltissimo da scoprire) come la mamma parli al suo bambino anche attraverso il latte materno, potendo in tal modo modularne alcuni aspetti dello sviluppo.

La ricerca scientifica è una delle sue passioni. Cosa vuol dire ricercare? Cosa comporta, cosa mette in gioco?

Sono fermamente convinta che la ricerca scientifica sia fondamentale per poter migliorare la comprensione dei fenomeni biologici e gli interventi migliorativi che possiamo implementare nei diversi ambiti. Dedicarsi alla ricerca in ambito clinico per me vuol dire mettersi in gioco ogni volta, confrontarsi con gli altri, scambiarsi idee ed essere capace, se necessario, di cambiare le proprie, all’interno di un confronto costruttivo con i propri colleghi.

Sente una qualche connessione tra il ricercare e il misterioso evento della nascita?

Sinceramente non ho mai pensato al ricercare come qualcosa connesso all’evento nascita. Leggendo però la sua domanda mi sono trovata a pensare che anche durante la pianificazione, svolgimento e analisi di un progetto di ricerca si concentrano moltissime aspettative, importanti investimenti emotivi e grande curiosità proprio come accade durante la gravidanza e al momento della nascita. Tutto questo naturalmente sempre tenendo conto delle caratteristiche specifiche che contraddistinguono i due differenti contesti.

Qual è l’assetto mentale di una persona che ricerca? Quale apertura all’ignoto, quali trepidazioni, quali scoperte, ma anche quali delusioni?

Penso che la soddisfazione maggiore per chi si dedica alla ricerca sia quella di poter dare un contributo alla conoscenza in quanto tale e come strumento nel miglioramento della pratica clinica. L’entusiasmo con cui si parte con un progetto nuovo è sempre grande e carico di aspettative che non sono purtroppo sempre soddisfatte. Credo che, almeno per quanto riguarda l’ambito di ricerca clinica, anche il non trovare nulla sia da considerare un risultato da cui ripartire con un progetto nuovo.

La capacità di sorprendersi e di meravigliarsi immagino sia uno strumento mentale indispensabile per aprirsi al nuovo. Può assorbire in maniera importante… quasi un innamoramento.

Potersi dedicare alla ricerca rappresenta a mio parere una grande opportunità che, se ci viene offerta, deve essere colta con curiosità, passione, determinazione ed anche un pizzico di umiltà che permettono di portare avanti le proprie idee ma anche di capire quando è necessario modificarle per raggiungere l’obiettivo prefissato.

Come riesce a far fronte all’impegno familiare e a quello lavorativo?

Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha sempre supportato in tutte le scelte che ho portato avanti. La consapevolezza di avere il sostegno di mio marito e dei miei figli mi ha quindi aiutato moltissimo nel trovare un buon equilibrio tra l’impegno familiare e quello lavorativo.

Ritiene che sia più oneroso per una donna realizzare le sue aspirazioni rispetto ad un uomo?

Credo che per una donna sia senza dubbio più oneroso realizzare le sue aspirazioni rispetto ad un uomo per diversi motivi. Alla donna viene in un certo qual modo chiesto di più non solo dagli altri (dobbiamo rassicurare che saremo in grado di assolvere i compiti lavorativi in modo indipendente da quanto ci possano impegnare quelli familiari) ma anche da sé stessa. La donna pretende di essere super efficiente su tutti i fronti e, quando questo non succede, diventa lei stessa il giudice più severo. Credo che le donne investano molto, anche da un punto di vista emotivo, in tutto ciò che fanno.

Le è costato a livello personale, familiare seguire i suoi ideali?

In questi anni mi sono chiesta molte volte se, per seguire le mie aspirazioni lavorative, avessi perso momenti importanti della vita dei miei figli. A volte mi sono trovata in difficoltà e mi sono chiesta se ne valesse la pena ma la vicinanza della mia famiglia mi ha sempre aiutata. Oggi mi ritengo una persona realizzata sia da un punto di vista personale sia lavorativo, con la consapevolezza che entrambi questi aspetti della vita siano fortemente interconnessi.

Una città come Milano può essere di aiuto ad una donna che vuole seguire le sue aspirazioni lavorative? Quali supporti offre?

Nella mia esperienza penso che Milano, pur nella sua complessità, offra numerose opportunità per famiglie con bimbi piccoli e abbia nel corso di questi anni aumentato l’attenzione a questi aspetti. Forse andrebbe incrementata l’offerta per gli adolescenti che, seppure non richiedano più la costante presenza fisica di un adulto, rappresentano sempre motivo di preoccupazione per chi deve trascorrere numerose ore fuori di casa per necessità lavorative.

Ha interessi, passioni che la accendono e che, in un certo senso, la possono ricaricare per affrontare gli impegni della vita?

Credo sia molto importante ritagliarsi uno spazio, anche piccolo, che ti permetta di distaccarti mentalmente dagli impegni quotidiani. Nel tempo ho scoperto che l’attività fisica in buona compagnia mi aiuta a liberare la mente. Quando posso amo molto praticare sci di fondo in inverno e lunghe passeggiate in bicicletta nel periodo estivo: assaporo l’incanto della natura e mi godo il suo silenzio.

C’è qualcosa che ha imparato, nella sua professione, che poi ha avuto un riverbero fecondo nella sua vita di donna, di moglie, di madre?

L’insegnamento più grande che ho tratto dalla mia esperienza lavorativa è quello di cercare di non dare mai nulla per scontato, di apprezzare ogni piccolo dettaglio della vita quotidiana, con la consapevolezza che anche un semplice gesto o una parola possono lasciare un segno profondo nelle persone che ti sono vicine.

Pensando a Milano, ci sono dei luoghi che hanno un significato particolare per lei? E ci sono dei luoghi che sente belli e pacificanti che rivisita volentieri, quasi avessero una funzione lenitiva o riparativa?

Se devo essere sincera non ci sono luoghi di Milano che abbiano un particolare significato per me. Però i profumi dei fiori nel tratto di strada che percorro abitualmente andando a casa dal lavoro, nel periodo primaverile, mi ricordano le sensazioni che provavo quando, durante la mia seconda gravidanza, mi chiedevo come sarebbe cambiata la mia vita familiare e lavorativa con la nascita dei miei due gemelli. Il risentire queste fragranze oggi mi riempie di gioia e tranquillità, ripensando alle preoccupazioni di allora e a come mi sento fortunata e grata oggi.