Oggi vorrei parlarvi di un dipinto che è andato a decorare una delle nuove 14 sale che sono state inaugurate il 4 di maggio dal direttore Schmidt alla Galleria degli Uffizi di Firenze. Si tratta dell’Entrata di Carlo VIII a Firenze dipinta nel 1517 da Francesco Granacci.

Francesco fu un pittore molto legato a Michelangelo, che aveva conosciuto presso la bottega di Domenico del Ghirlandaio durante l’anno di apprendistato nel 1513. I due, poi, frequentarono insieme l’accademia d’arte dei giardini di San Marco, messa su da Lorenzo il Magnifico.

A livello pittorico inquadrare il Granacci non è facile perché le sue opere sono in parte ispirate dal classicismo pacato del Perugino e della Scuola di San Marco ed in parte si avvicinano alla nuova corrente manierista che vide in Pontormo e nel Rosso Fiorentino i due più importanti rappresentanti.

L’Entrata a Firenze di Carlo VIII fu una delle sue ultime opere e prima di analizzarla a livello stilistico vorrei sottolinearne l’importanza a livello storico. Essa ci ricorda, infatti, un evento molto importante, vale a dire la discesa in Italia del re Carlo VIII per rivendicare il diritto al regno di Napoli attraverso la nonna paterna Maria d’Angiò. Fu l’inizio delle guerre d’Italia.

La discesa verso l’Italia iniziò il 3 settembre 1494 con un esercito di circa 30.000 effettivi che dopo varie vittorie contro l’esercito spagnolo degli aragonesi, pose sotto assedio la rocca di Sarzanello e avanzò verso Firenze. Piero dei Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e nuovo leader della famiglia, si recò ad incontrarlo per trattare con lui. Senza previa autorizzazione della Signoria gli concesse le città di Pisa e di Livorno con i loro porti e la fortezza di Sarzana; fu proprio per queste concessioni non autorizzate, che al suo rientro in città i fiorentini lo cacciarono.

Il dipinto rappresenta l’entrata del re in città il 17 novembre 1494, quando provenendo da Nord passò per la via Larga, l’attuale via Cavour, e si fermò davanti a Palazzo Medici. Il Granacci rappresenta proprio questo momento, in cui Carlo VIII si trova di fronte al Palazzo Medici.

Abbiamo quindi una testimonianza fantastica del palazzo prima delle modifiche apportate da Michelangelo, che nel 1517 aprì le logge al piano terra e creò le famose finestre inginocchiate e del successivo ingrandimento messo in atto dalla famiglia Riccardi nel 1659 dopo aver acquistato il palazzo.

Se guardiamo attentamente l’opera vediamo sullo sfondo le colline dove è situata la città di Fiesole e avvicinandosi al primo piano notiamo a destra e sinistra i palazzi che mostrano sulle facciate gli sporti in legno, necessari per sostenere le parti aggettanti, che sporgevano sulla strada.

In primo piano a sinistra vediamo Palazzo Medici, con la panca di via, su cui i cittadini in piedi assistono al passaggio del re; si nota anche il bugnato rustico sulla facciata del piano terra, che era formato da bugne enormi di pietra arenaria. L’introduzione della decorazione a bugnato insieme alla panca di via ed al cortile centrale fu una delle caratteristiche dei palazzi rinascimentali di cui quello dei Medici fu il prototipo.

Dall’altra parte della strada scorgiamo il re Carlo VIII a cavallo; egli indossa un cappello rosso ed è circondato dai suoi soldati in armatura, uno dei quali regge il vessillo azzurro con i “Fleurs de Lis”, simbolo della dinastia dei Capetingi.

Lo stile richiama molto al Manierismo, soprattutto nelle due figure centrali in primo piano, che indossano mantelli con colori cangianti e le cui proporzioni ci appaiono allungate. Altre caratteristiche manieriste le vediamo nell’eccessiva espressività del personaggio sulla sinistra, vestito di giallo e blu, che si rivolge con il braccio sinistro alzato alla persona astante, vestita di nero sulla panca di via.

Manieristi sono anche gli sguardi “muti” della maggior parte dei personaggi che guardano altrove per non incrociare lo sguardo dello spettatore.

Quest’opera quindi ci dà l’opportunità di guardare alla città di Firenze e ad uno dei suoi simboli tutt’ora visibili, Palazzo Medici, con una prospettiva “manierista”.