Scendo le scale e lungo le pareti campeggiano memorabilia dei volti del pop che hanno fatto la storia della musica dal beat all’underground. Le note che salgono dal basso, però, sono di un soprano sulle arie di Scarlatti. Chi se lo immaginava il barocco al Piper, la discoteca romana entrata nel mito dei mitici anni Sessanta. Distopie pandemiche: “Era l’unico spazio disponibile a Roma per fare le prove rispettando le norme di distanziamento anti Covid”, racconta Francesca Ascioti, ideatrice del concerto-spettacolo Donne all’opera1 le cui prove, appunto, si sono svolte in discoteca. Il debutto a porte chiuse, causa pandemia, si è però tenuto nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, un luogo che più si confà alla lirica – specie acusticamente – e dove lo spettacolo è stato registrato per la Rai. Un’iniziativa declinata al femminile in cui tutte le artiste – dal cast, all’orchestra, al maestro concertatore – hanno partecipato a titolo gratuito, per raccogliere fondi a favore delle Onlus Vite Senza Paura e We World e finanziare progetti a sostegno delle donne vittime di violenza e dei loro figli. Anche l’attrice Maria Grazia Cucinotta e la campionessa olimpica di fioretto Elisa di Francisca sono entrate in scena, ma non si può rivelare in quale ruolo. Il risultato lo vedremo prossimamente in tv.

A fine prove, nel mezzanino del Piper, si parla di Donne all’opera, progetto che è sbocciato “per ribadire il no alla violenza di genere anche lontano da celebrazioni in odore di mimosa, perché l’otto marzo è tutto l’anno”, spiega Francesca Ascioti che, oltre a essere un contralto, è un vulcano e progetta di continuo purché sia qualcosa di inusuale come la Enea Barock Orchestra formata da ventidue donne (suonano in questo spettacolo) e che Ascioti ha fondato sfidando mugugni: “Perché è al femminile, perché esegue musica barocca considerata la cenerentola dell’opera. E invece è attuale e, sai la novità? Piace ai più giovani perché ha un ritmo molto contemporaneo”. Fuori dagli schemi anche lo spettacolo: insieme alle arie barocche Ascioti mette in scena letture, performance acrobatiche e interviste video a persone comuni che dicono la loro sulla violenza di genere. E poi, cosa davvero inconsueta, riunisce in un colpo solo sei prime donne provenienti da diverse latitudini tutte con curriculum internazionale: Patrizia Ciofi (soprano), Vivica Genaux (mezzosoprano), Carmela Remigio (soprano), Anna Bonitatibus (mezzosoprano), Paola Valentina Molinari (soprano) e ovviamente Francesca Ascioti.

Nella lirica, professioniste che cantano le arie più complesse, quelle delle protagoniste (questo significa prime donne) non possono essere più di una. E l’egocentrismo non c’entra: nessuna opera è scritta per due protagoniste. Al massimo è prevista una coprotagonista. In questo lavoro si rompe lo schema: sei prime donne per farne Una. “Cantiamo arie da Vivaldi a Händel, da Hasse a Scarlatti. Un lavoro non corale, ma collettivo”, precisa Anna Bonitatibus, “d’altra parte la musica barocca si esegue come in un gruppo di solisti. È una metafora forte in questo caso: ognuno porta il proprio timbro, ma si fa in gruppo”. Spiega Ascioti: “Ciascuna di noi non interpreta un modello femminile, ma uno stato d’animo: dipendenza, sofferenza, timore, forza, vendetta e coraggio, che sono spesso una deriva dell’amore. Insieme tracciano i passaggi della vita di una donna, idealmente universale”. Le fa eco Patrizia Ciofi: “Ognuna incarna uno di questi sentimenti ispirandosi a figure femminili che si sono affrancate dalla violenza, che non hanno ceduto ai soprusi maschili alzando la testa. Nel barocco – aggiunge Ciofi – la donna è forte anche nella disperazione. E questo è un dato positivo che non esiste nelle eroine romantiche, prigioniere dell’idea che l’amore sia “essere disposte a morire per amore”. Di un uomo”, chiosa Ciofi.

Quando chiedo se hanno attinto a esperienze reali per le interpretazioni di questo spettacolo, prende la parola Paola Valentina Molinari: “Non conosco nessuna donna che non abbia subito sopruso fisico o psicologico da parte di un uomo. Privata della libertà, prevaricata sul lavoro”. Un coro di approvazione delle colleghe vira la conversazione sul tema, a prescindere dallo spettacolo. Non poteva essere altrimenti. Le declinazioni della violenza contro le donne sono infinite, ci diciamo, perché spesso sono apparentemente “solo piccole giustificate disparità”, ma rivelano un modo di pensare.

Il mondo della lirica e musica classica non è esente dalle note problematiche di conciliazione casa-lavoro-famiglia-figli: lo testimonia Molinari che con la DAD ha dovuto rivedere tempi di studio e allenamento (perché non si smette di vocalizzare anche a teatri chiusi) “per non interferire con le lezioni di mio figlio che un giorno mi ha detto: mamma la maestra mi ha chiesto di chiudere il microfono perché si sentono i tuoi gorgheggi”; e lo conferma pure Valeria Montanari (clavicenbalista e in questa occasione maestro concertatore per la prima volta) che quando aveva la bimba piccola studiava solo la notte per affrontare di giorno la gestione quotidiana, “e anche le ansie di un mestiere che non dà garanzie né durante né a fine carriera”.

Senza contare che un direttore d’orchestra donna per farsi “arruolare” deve faticare in modo esponenziale. Racconta Francesca Ascioti: “Ho dovuto convincere Valeria Montanari a dirigere la Barock, sconfiggendo i suoi timori. Perché noi per prime non siamo abituate a pensarci in quel ruolo, perché ce ne sono poche, ma sono soprattutto scarseggiano agenti e teatri che puntino sulle donne con la bacchetta – prosegue Francesca – e la ragione è sempre la stessa: le braccia di un uomo sono più forti, si fanno sentire di più, lo rendono più autorevole. La donna è vista come troppo delicata e gentile. Cliché che proviamo a sovvertire anche con questo spettacolo: chi l’ha detto che la gentilezza non sia un altro modo di dirigere? – incalza Ascioti – Per cambiare cultura però abbiamo bisogno degli uomini. Sarebbe bello ripensare Donne all’opera includendo colleghi che per ogni sentimento femminile recitano l’equivalente e contrario maschile”.

Nel canto, invece la lirica non mette in competizione i sessi: “Le partiture sono scritte per voci femminili e maschili” fa notare Carmela Remigio, “non era così un tempo quando anche i ruoli femminili venivano interpretati da uomini, evirati per mantenere il timbro di un mezzo soprano o un contralto. In un certo senso è un passo avanti: abbiamo preso il posto di castrati”. Si ride. Poi Patrizia Ciofi ci offre un’altra lettura a proposito di iniquità di trattamento: “Costa doverlo dire, ma alla base ci sono anche ragioni biologiche: un uomo può cantare fino a 80 anni, un soprano come me quando inizia la menopausa non può più cantare, o almeno non le stesse cose. La rivoluzione ormonale cambia il timbro della voce. Certi ruoli vocalmente più leggeri o “giovani” non si possono più affrontare e, a differenza del teatro di prosa o del cinema, non si può scrivere un ruolo ad hoc perché cantiamo libretti pensati secoli fa, non c’è un compositore che può riscriverli. Poi: uomini cantanti diventano padri e continuano a lavorare, le donne se decidono di partorire devono mettere in conto, ancora una volta, che la coloritura della loro voce muta in gravidanza, perché sempre di ormoni si tratta e poi, una volta trasformata, resta trasformata. Servono allenamenti doppi, bisogna sempre correre più degli uomini”.

La riflessione stimola Anna, di natura una combattente: “Concordo con Patrizia, ma è vero anche che la data di scadenza delle donne dipende molto anche da direttori artistici che scelgono i cast: sono sempre uomini e operano con la mente di uomini che, spiace dirlo, decidono sulla base di preconcetti e senza fantasia. Nell’opera, infatti, si è sperimentato di tutto: si sono ridotti libretti e partitura, si sono spostate le ouverture tra due atti e via di seguito. L’unico sovvertimento non ancora affrontato è lasciar cantare un’artista al di là del genere e dell’età, anche se ha tutte le carte in regola per farlo. Anche ai maschi cambia il timbro con l’età, ma più raramente sono lasciati in panchina per questo”, tutte annuiscono e Anna prende l’occasione per lanciare un’istanza: “Pur essendo le retribuzioni abbastanza equanimi tra i sessi, perché sono determinate davvero dalla reputazione che deriva dal talento, questa storia dell’età resta punitiva solo per noi e allora dico: vogliamo una legge europea per andare in pensione artisticamente come le danzatrici o gli atleti Se si finisce di lavorare a 45/50 anni che si fa? Come si campa? Serve una pensione in anticipo, qualcosa che aiuti. Ci sono cantanti famosissime che assumono ormoni per avere una giovinezza vocale, ma a che prezzo? Ci sono anche settantenni che grazie all’allenamento mantengono freschezza, ma è più raro. E dunque, ci pensi una legge a ristabilire equità”.

Silenzio assenso in sala. M’infilo con un’ultima domanda: A che suono assocereste la violenza, i soprusi? “A quello che in musica si chiama cluster: rumore dissonante”, tira fuori ficcante Anna Bonitatibus e Valeria Montanari dopo un istante aggiunge: “Un cluster, sì, ma la violenza ha anche il suono del silenzio: quello di chi vede e non denuncia”.

In Italia oltre 6 milioni di donne hanno subito violenza e ogni 2 giorni una donna viene uccisa da un uomo a lei vicino, ma solo l’11% trova il coraggio di denunciare l’aggressore. Il lockdown dovuto all’emergenza Covid-19 ha purtroppo inasprito questa drammatica situazione di violenza domestica.

1 Donne all’opera, prossimamente su Rai5. Sponsor ufficiale Eni gas e luce con il patrocinio del Municipio Roma II Capitale.